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ECONOMICS IN ONE LESSON – L’economia di una Lezione – di Henry Hazlitt (Recensione)


Dalle Buone Intenzioni alle Conseguenze Dubbie.


Il nostro Paese, pur avendo avuto, in passato, governi di modesta ispirazione liberale, così definiti almeno in termini nominali, e pur avendo avuto pensatori di convinzione liberale come per esempio Benedetto Croce, ahimè, non solo ha perso la memoria e la cognizione di ciò che costituisca il Liberalismo, ma lo considera addirittura un’ideologia obsoleta ed in modo del tutto equivoco, perfino reazionaria.

Eppure, fra i nomi di prestigio nell’ambito del nostro pensiero delle Libertà individuali ed economiche, abbiamo avuto una figura che è più nota in tutto il mondo dove si contemplino le tradizioni liberali, all’infuori dei nostri confini che nel suo stesso Paese di nascita. Infatti, senza considerare figure politiche liberali quali l’ex presidente della Repubblica Luigi Einaudi e Luigi Sturzo -, fondatore del Partito Popolare che ha poi dato origine alla Democrazia Cristiana -, questo prestigioso liberale che è stato Bruno Leoni, in Italia, è praticamente sconosciuto salvo da chi si interessi attivamente agli ideali delle Libertà. Autore di numerosi saggi, il più famoso dei quali, frequentemente citato all’estero, è FREEDOM AND THE LAW, scritto nel 1961, è stato tradotto in italiano con il titolo LA  LIBERTÀ E LA LEGGE solo nel 1995.

Ecco un esempio di quanto poco, nel nostro caro ma travagliato Paese, il Liberalismo sia seguito ed ancor meno capito. Infatti, dopo aver sofferto il ventennio fascista che, in fondo, è stato il frutto delle frustrazioni originatesi dopo la Prima Guerra Mondiale ed i rispettivi disordini fortemente infiammati dai sindacati e dai militanti socialisti e comunisti che aspiravano alla presa del potere con prepotenti iniziative, ricorrendo alla violenza, invadevano perfino le fabbriche. Ed a proposito di quegli avvenimenti che, alla fine, grazie al diffuso malcontento, hanno favorito l’ascesa di Mussolini, potrà essere molto opportuna la lettura di TRASFORMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA di Vilfredo Pareto, pubblicato appunto alla vigilia della nascita del Fascismo – da me – recensito  in questo sito sotto il titolo LA LEZIONE DI PARETO.


In fine, l’Italia liberata dal disastro della Seconda Guerra Mondiale, dal decisivo intervento degli Anglo-Americani, minacciata da un nuovo gravissimo pericolo che, se fosse dipeso da Togliatti, saremmo stati assorbiti nel blocco collettivista, controllato dall’Unione Sovietica; invece, fortunatamente, ci siamo salvati grazie al Piano Mashall con il quale si doveva rilanciale l’economia e la ricostruzione della nostra industria. Tuttavia, dopo una indiretta tutela americana e del Vaticano, per oltre mezzo secolo, il nostro Paese è stato governato da politici quando non di ispirazione cattolica, predominantemente di tendenze sinistroidi e populiste che ultimamente vediamo sfociare nel Movimento del Grillo strillante. Così, in tutti questi anni, si è consolidato il paradigma secondo il quale, parlare di libero mercato è tabù: era come riferirsi a qualcosa di estraneo e deleterio.


Fatte queste premesse, mi preme parlare di un’opera letteraria poco nota in Italia, ma di forte effetto, in grado di esporre, in modo semplice ed efficace, come dovrebbe funzionare la buona politica economica e quali sono i demeriti di certi politicanti ed elenca le norme raccomandate per stimolare lo sviluppo e favorire la creazione di ricchezza da distribuire in maniera spontanea ed equa, secondo i distinti meriti. Invece, molti governanti del nostro tempo ignorano di proposito le più basiche norme, per farsi i propri interessi e magari rendersi popolari nei confronti degli elettori che considerano solo i risultati apparenti. Infatti, in questa eloquente lettura, si espongono i principi basici che dovrebbero regolare una sana gestione della cosa pubblica, senza farsi tentare da effetti immediati che poi possano generare problemi futuri. Mi riferisco al saggio ECONOMICS IN ONE LESSON di Henry Hazlitt, autore di modestissime origini, si è ostinatamente opposto alle tesi della disastrosa New Deal di Franklin Delano Roosevelt.


Da osservare come i primi confronti diretti della modernità, di antagonisti su posizioni opposte fra difensori dell’economia di mercato ed economia statalista, avvengono fra il Premio Nobel per l’Economia del 1974 – della Scuola Economica Austriaca (liberale) – Friedrich August von Hayek, al quale poi la Dama di Ferro, alias Margareth Thatcher, si ispirerà per le sue riforme, e l’economista britannico della Scuola di Cambridge John Maynard Keynes, notoriamente favorevole agli interventi nell’economia da parte dello Stato, quando nel 1944 durante la famosa conferenza mondiale di Bretton Woods, quando bisognava stabilire nuovi equilibri, mentre mezzo mondo ansiosamente attendeva la fine del doloroso conflitto mondiale.


Ebbene, due anni più tardi sorge una oltremodo valida conferma delle tesi delle libertà economiche con il saggio dell’economista americano Henry Hazlitt, diventando questa lucida pubblicazione una specie di guida in difesa delle libere iniziative e decisamente contrarie agli interventi da parte del potere politico nelle attività economiche e produttive. Il saggio, grazie al suo successo, viene aggiornato in due nuove versioni nel 1962 e 1979. E di fatto, attualmente, le sue tesi risultano ancora più convincenti che mai proprio perché a distanza di oltre mezzo secolo, già nel nuovo millennio, alla luce delle esperienze economiche europee – e non solo –, come allora lo stesso autore osservava alla conclusione del testo, oggi si può ugualmente concludere che questa utile lezione sembra non essere servita ai nostri politicanti pasticcioni.


Non per niente, una buona parte dei governanti in giro per il mondo, ma specialmente dalle nostre parti, con le solite ambigue buone intenzioni, continuano  ad intervenire nella gestione delle politiche economiche e nei problemi che sorgono nello sviluppo, creando stagnazione nel progresso e nel benessere delle rispettive Nazioni. Ed eccoli puntualmente  applicare le loro eterne misure populiste con le quali non fanno altro che disorganizzare ciò che il modello naturale dell’Ordine Spontaneo, di Ludwig von Mises, sa meglio adeguarsi alle dinamiche della realtà quotidiana che tanto nella politica come nella stessa economia non può essere prevista né anticipata.


Infatti, chi determina le preferenze dei consumatori, nei tempi e nei luoghi distinti, non sono gli economisti o i pianificatori politicamente – se non ideologicamente – guidati nelle loro soggettive supposizioni ma, piuttosto, le singolari scelte degli individui che i politici difficilmente sanno interpretare in tempi abili. Perciò i teorici che dettano norme a priori non riescono a seguire gli interessi della collettività in modo tempestivo ed in armonia con i cambiamenti delle loro particolari priorità, nemmeno e soprattutto a media e lunga scadenza. Infatti, nemmeno gli individui conoscono le proprie preferenze di domani, mentre il mercato, se vuole prosperare, deve avere la versatilità di adeguarsi ai cambiamenti dei capricci e delle mode che ad ogni momento sorgono, proprio per il fatto che il mercato non è teorico, bensì pragmatico.


L’autore fin dalle prime pagine fa riferimento ad un importante economista francese – Frédéric Bastiat – che nell’Europa d’inclinazione socialista, troppo distratta e confusa dalle idee stataliste, è stato praticamente dimenticato; eppure, si tratta di un autore che in America – per esempio – gode ancora di enorme prestigio. Egli denunciava già un secolo e mezzo fa, non solo gli aspetti che si vedono, mentre si ignorano quelli che non si vedono. E per spiegare questo nocivo fenomeno, espone la stravagante fallacia secondo la quale, il vandalo che rompe la vetrina del panettiere, indirettamente, pur producendo un danno ad un individuo, produrrebbe benefici a tutta la catena che produce il vetro e realizza la riparazione ecc.; invece, se non ci fosse stato il danno, il panettiere avrebbe potuto spendere quello stesso valore, dando lavoro ad altre attività, senza essere danneggiato. Analogamente a tale fallacia, l’economista Paul Krugman, sosteneva che l’aspetto positivo dell’attentato alle due torri del World Trade Center sarebbe il lavoro che derivava dalla ricostruzione dei danni; ma con le risorse di chi? Dei contribuenti che pagano le tasse, naturalmente; in questa grottesca contraddizione, infatti, egli dimentica che quello stesso patrimonio, senza l’aumento di quelle imposte, poteva essere applicato altrimenti dai propri consumatori, in diretto beneficio proprio e soprattutto, senza il grave danno subito da terzi…

Hazlitt,  inoltre, si riferisce all’altrettanto noto falso principio che era in voga in Inghilterra nel XIX secolo, secondo il quale, bisognava distruggere i macchinari moderni perché toglievano lavoro a chi produceva manualmente; un’autentica assurdità, infatti, con la modernizzazione delle tecniche, non si genera disoccupazione; è solo ciò che si vede, mentre ciò che non si vede – nell’immediato – è che con l’aumento dell’efficienza della produzione, crescono la produttività e la qualità, creando nuovi posti di lavoro di valore aggiunto, aumentando la misura della torta e delle fette, distribuendo nuova ricchezza derivata da quello che è il capitale umano che trasforma risorse elementari in innovazioni creative di valore ed utilità molto superiori.


L’autore è anche molto critico nei confronti dell’inflazione che egli definisce come meccanismo auto suggestivo, ipnotico, anestetico, oppio dei popoli; inoltre, lo definisce un metodo fiscale indiretto dissimulato che penalizza soprattutto i più poveri che non dispongono di accorgimenti di compensazione che permetterebbero ai più ricchi di specularci sopra. Non risparmia nemmeno l’ambigua generosità politica che distribuisce privilegi e destina sovvenzioni a gruppi particolari, con speciali concessioni a specifici settori produttivi o ai sindacati, perché in qualche modo, alla fine, qualcuno dovrà pur pagare il conto: ovvero, tutti gli altri che non godono di quegli stessi favori.


Sono i tipici modelli populisti in cui si spendono valori che non sono ancora disponibili, indebitando la Nazione che, quando i nodi dei debiti contratti arrivano al pettine, si dovranno pagare. Sono tutte iniziative irresponsabili, messe in pratica dai nostri governi, con la finalità di ottenere risultati immediati, senza considerare gli effetti generali e le implicazioni che ne seguiranno successivamente. Infatti, si agisce privilegiando risultati di corta durata, senza considerare le ripercussioni a lungo termine. Si distribuiscono, dunque, privilegi con i quali, poi, solo le generazioni seguenti dovranno fare i conti.


Esempi tipici dei disastrosi effetti economici e sociali, derivanti da queste perverse pratiche sono ampiamente dimostrati di recente non solo in Europa ma soprattutto in America Latina – si legga quanto descrive la giovane guatemalteca e brillante politologa Gloria Álvarez – a proposito della funesta azione di certi cacicchi, specialmente in Paesi relativamente ricchi, come il Brasile e l’Argentina, dove il devastante populismo ha mostrato i suoi peggiori aspetti di tali paranoiche politiche economiche e dove, finalmente, si sta cercando di rimediare a sacrifici e costi molto elevati, mentre il ricco Venezuela è ormai ridotto oltre i limiti dell’esasperazione e di miseria in seguito al grottesco abuso di un modello economico assolutamente privo di alcun più ragionevole criterio. Tanto è vero che, dopo essersi mangiata la coda – come si suo dire -, ormai è drammaticamente intaccato il resto del corpo, obbligando centinaia di migliaia di Venezuelani a rifugiarsi all’estero pur di per poter mangiare o di curarsi in Colombia od in Brasile, perché in Patria ormai manca veramente di tutto…

In conclusione, in questo senso, quest’opera veramente pedagogica, ma di facile lettura, disponibile in traduzione italiana solo da poco tempo – L’ECONOMIA IN UNA LEZIONE – , serve ad insegnare anche ai profani, come funzionano gli ingranaggi dell’economia reale e ciò che i politicanti non devono fare. Si apprendono le cause che, seguendo tesi semplicemente teoriche, hanno ridotto sul lastrico Paesi prosperi come Cuba e Venezuela. Invece, per evitare di disorganizzare un modello economico pragmatico che genera ricchezza in maniera del tutto spontanea e la distribuisce secondo i meriti, è necessario mantenere i piedi per terra e guardare oltre le apparenze.

Dunque, un’utilissima lettura didattica che dovrebbe essere adottata nei nostri istituti superiori, affinché le nuove generazioni si possano liberare da certi preconcetti malauguratamente consolidati che fino a qualche tempo fa avviava i nostri giovani verso le solite obsolete ed illusorie teorie collettiviste del passato o verso le equivoche tesi di conio keynesiano, i cui disastrosi risultati abbiamo concretamente sotto gli occhi. Keynes era solito a sostenere che non era opportuno pensare a lungo termine perché alla lunga saremo tutti morti. Possiamo rispondere: già, morti poveri, con i nostri posteri indebitati e privi di prospettive…