L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI di Raymond Aron (Recensione)

Indottrinati Radical Chic

Questo bellissimo libro per anni è stato praticamente introvabile; una lettura che dopo tanto tempo, nelle sue ancor valide osservazioni, l’indimenticabile Indro Montanelli, a buon proposito, ogni tanto amava citare. L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI, infatti, è un’eccezionale analisi critica ancora oggi straordinariamente attuale, torna finalmente disponibile sugli scaffali delle librerie, dove fino a poco tempo fa padroneggiavano opere ambigue come le bizzarre esaltazioni riservate al falso romantico eroe del crudele guerrigliero Ché Guevara.Nelle sue pagine, con grande vigore, Raymond Aron punta il dito contro una categoria di intellettuali e mette giustamente sotto accusa i sinistri mancini con il Rolex al polso; un saggio  in grado di mettere in imbarazzo ancora oggi certe nostre élites, con la puzza sotto il naso, che sovente si incontrano nei salotti a consumare  caviale e Champagne, dichiarandosi progressisti, con cui si è soliti ad intendere che sono, naturalmente, di sinistra.

L’esimio pensatore francese, a distanza di oltre mezzo secolo, con le sue opere, è ancora vivo fra noi, poveri discriminati progressisti di destra; e costituiscono parte di quella cultura che soprattutto nell’ambito di una letteratura europea ha dovuto sopravvivere all’ostracismo dettato dal pensiero unico di coloro che hanno dominato non solo la politica, ma anche la scena di una certa coscienza indottrinata. L’autore era una delle solitarie colonne portanti del liberalismo della seconda metà del secolo scorso, quando ancora solo pochi si riferivano agli economisti della Scuola Austriaca di Ludwig von Mises e dei Premio Nobel Milton Friedman insieme a Friedrich August von Hayek o del nostro, ahimè tuttora quasi sconosciuto Bruno Leoni, così frequentemente menzionato negli ambienti liberali all’estero, ma ignorato dai lettori nostrani.

Ebbene, anche Aron, dopo aver brevemente creduto al Marxismo, così come del resto,  avevano fatto gli stessi Karl PopperFrançois FuretIgnazio Silone, fra i tanti, e pure questo illustre letterato francese in breve rinnega quell’ideologia. Infatti, come numerosi altri, onesti e coerenti personaggi che avevano avuto l’occasione di visitare l’URSS opressa nel sangue dai secondini e dagli aguzzini del regime, avendo potuto constatare il surreale grado di violenza, in cui, su diretto ordine del tiranno Stalin, si praticavano sistematici i più aberranti criminosi delitti in serie, egli si affretta a condannare quel modello totalitario. Se non fosse per le aperte denunce esposte da Nikita  Kruščev successore di Stalin nel 1956 durante il XX Congresso del PCUS, gli impenitenti seguaci del più ortodosso comunismo bolscevico  avrebbero potuto tranquillamente far finta di niente, riuscendo così a salvare la loro equivoca faccia. Invece, indifferenti, facendo ostinatamente finta di niente, non solo non rinunciano a quella loro cieca devozione nei confronti dell’atroce despota, ma osano addirittura negare appena le prime indiscrezioni filtrano dall’Est.

Nel frattempo, quelli che avevano ugualmente assunto un’aperta seppur timida militanza, ben presto e più dignitosamente, cominciano ad abbandonare quella barca che, in fine solo nel 1989, affonderà nella tormenta che si era scatenata dietro la cortina di ferro con la caduta del vergognoso muro di Berlino. Così, ora, in regime di libertà, dopo aver abiurato, si affrettano a denunciare la soppressione dei più elementari diritti umani, dove la tolleranza ed il più fondamentale rispetto verso l’individuo erano semplicemente estirpati, sostituiti dall’arbitriarità, con sommari processi farse, con false accuse, sevizie e le più inconcepibili torture fisiche e psicologiche, dai carnefici al servizio deli grande fratello, da quello che metaforicamente è presentato come capo dei porci da George Orwell – pure lui fino ad allora militante marxista – nelle sue riuscitissime satire dai titoli 184 LA FATTORIA DEGLI ANIMALI. Ebbene, a queste serie critiche, dinanzi l’ambiguità degli intellettuali, si associa anche Aron che non risparmia il più severo giudizio proprio nei confronti dei più eruditi, verso coloro che sanno, ma in modo del tutto ipocrita, assolvono il deprecabile totalitarismo disumano che con tutta probabilità, in termini quantitativi, ha certamente superato addirittura il numero di vittime del proprio Nazismo.

Oggi, alla luce di ciò che si è appreso già dalle opere di Boris Pasternak od Aleksandr Solzenicyn,  ma più di recentemente diretto dagli archivi della NKVD o dalla KGB, a cui hanno avuto accesso ricercatori di tutto il mondo, fra i quali Richard Pipes Robert Conquest, ma anche diversi italiani che rivelano le divergenze caratterizzate fra chi ciecamente si associava alla violenza rivoluzionaria di Mosca (come Il Migliore alias Togliatti e compagni) e chi, dal carcere riscriveva nuove vie al collettivismo, suggerendo mezzi meno aggressivi o modi disumani, ma oltremodo sofisticati. Infatti, le equivoche tesi di Gramsci che, pur opponendosi allo stalinismo ortodosso, evitando sovversive scalate violente e sanguinose sulle barricate, raccomandava una rivoluzione del tutto singolare e nuova, discreta, strisciante, quasi silenziosa e lenta, oltremodo acuta, abile, ingegnosa, ma altrettanto efficace, capace di penetrare nel profondo importante ed influente tessuto della società; era una tattica accorta per un modello che puntava verso l’alto, senza richiamarsi alle masse, mirava dritto al cuore del potenziale potere occulto da sedurre con la retorica e consolidare una ben definita egemonia culturale, conquistando le élites piuttosto che il proletariato, ma pur sempre con lo sguardo fisso alla conquista del potere e realizzare il Comunismo, avvalendosi delle posizioni chiave, di coloro che contavano ed influenzavano la crema del Paese e della società.

Ma, non contemplava la conquista del potere democraticamente condiviso basata sulla divisione dei poteri de LO SPIRITO DELLE LEGGI di Montesquieu – Legislativo, Esecutivo e Giudiziario – che si equilibrano fra loro con senza negare l’alternanza della gestione del potere; il modello di Antonio Gramsci portava al potere assoluto, dispotico, del partito unico che non si concretizza nel governo, ma si confonde con lo Stato. Ecco come Aron molto prima di tanti altri, centra questo il bersaglio, parafrasando il famoso “Oppio dei Popoli” – notoriamente attribuito da Marx alla religione -, mentre il francese con L’Oppio degli Intellettuali, accusa la cospirazione, denunciando quella che già si annunciava come l’equivoca trama della casta erudita, così bene descritta nel 2010 da Massimiliano Parente ne LA CASTA DEI RADICAL CHIC. Una classe sociale che pretestuosamente esaltava un bizzarro ed eccentrico modernismo da cavalcare dall’alto della sua sommità. Tuttavia, con la crisi del Socialismo, pian piano sbiadiranno anche quelle artificiose tendenze rese obsolete dalla pragmatica, mentre certe idee si ispirano ad un’ideologia sulla base della pura teoria dove,  bisogna “credere per vedere” che il modello, alla lunga, dovrebbe portare all’affermazione di una utopica uguaglianza e del bene comune, avvalendosi appunto della maliziosa ricetta di Gramsci, per vie “pacifiche” ma pur sempre in detrimento delle legittime libertà individuali.

L’opera del prestigioso autore attacca a viso aperto colleghi ed amici e perfino compagni quali lo stesso strabico – anche in senso figurativo –  Jean-Paul Sartre, quell’ambiguo intellettuale che, fra l’altro, ha illuso tanti giovani studenti, con alcuni dei quali si riuniva a Monparnasse presso il locale snob al quartiere latino de La Coupole – frequentato dai simpatizzanti di sinistra, fra i cui seguaci c’era pure un ormai incallito pentito – Mario Vargas Llosa – convertitosi, pure lui all’Ordine Spontaneo del Mercato, diventando presto un altrettanto famoso liberale. Orbene, l’ottimo ipocrita mancino Sartre – come la sua compagna Simone de Beauvoir – è uno di quelli che rientrato dall’Unione Sovietica, preferisce nascondere le scomode, scottanti e dolorose verità sotto il tappeto dell’omertà, negado ogni innegabile evidenza messa a fuoco e denunciata perfino da marxisti come Albert Camus. Perciò, Aron non gli perdonerà di aver taciuto e addirittura negato: era palese come l’esistenzialista il fine giustificava addirittura i sanguinari e mostruosi mezzi, essendo necessario preservare, il raggiungimento della “nobile” finalità con la realizzazione della  società “giusta”. Così,  arrivava all’estremo di perfino legittimare le carneficine, gli orrendi delitti praticati su diretto ordine del cinico satrapo ed eseguite dai fedeli giustizieri o perfino incoraggiati dagli esecrabili servi seguaci di turno – fra i quali i nostri noti -, i quali non esitavano ad esaltare il cosiddetto Paradiso del Proletariato dove mantenendo la dovuta deferenza, godevano di privilegi, ma che in realtà, per il resto della Popolazione, l’utopico sogno si era trasformato in un vero pazzesco incubo anche per gli stessi più sinceri militanti.

Così, dinanzi a tanta ipocrisia, con L’Oppio degli Intellettuali Aron mette subito in luce le numerose contraddizioni della dottrina collettivista, e, ben presto, al pari del saggio L’UOMO IN RIVOLTA di Camus, diventava  una potente arma contro il pericolo incombente ed ipocritamente sostentato dall’equivoca categoria acculturati, contro la quale entrambi gli autori puntavano l’indice, perché, al contrario, avrebbe dovuto denunciare i più odiosi metodi portati a termine oltre la Cortina di Ferro. Infatti, La più atroce repressione non risparmiava nemmeno  gli stessi militanti comunisti che non seguivano ciecamente l’ortodossia stalinista: qualsiasi minimo e più ingenuo pretesto serviva per decretare la pena capitale.

In questo contesto, è utile ricordare i dettagli messi a nudo sui comunisti italiani – ma anche spagnoli ecc. – che non faranno ritorno, per evitare di rivelare la cruda realtà sovietica. Oggi quei particolari sono noti  grazie ad una ricca letteratura, fra la quale anche di autori nostrani, come l’ex direttore del giornale socialista Avanti!, Giancarlo Lehner che insieme a Francesco Bigazzi – già ricercatore del CRN in URSS, Polonia ed Ungheria, poi, per cinque anni capo ufficio dell’agenzia ANSA in Polonia ed altri sei anni dell’Ansa a Mosca. I due, dopo il fallimento dell’URSS avranno accesso agli archivi russi, potendo dettagliare in CARNEFICI E VITTIME tanto i nomi dei delittuosi inquirenti e di quanti affiliati al Patito Comunista d’Italia fondato da Amadeo Bordiga ed Antonio Gramsci, dopo essere stati torturati per settimane e mesi, sotto pretesto di vera o presunta dissidenza, fino a confessare durante le istruttorie surreali, anche i particolari più grotteschi. E quando le confessioni tardavano, dinanzi all’ostinata resistenza, i magistrati non esitavano ricattare gli accusati, mostrando loro consorti e figlie da torturare, non restava che firmare ammissioni dettate dagli inquisitori stessi; dopo sommari processi che non erano altro che vere farse tragicomiche, seguivano, nelle migliori delle ipotesi – condanne con l’invio nei Gulag o nella peggiore, con un colpo alla nuca sul ciglio delle fosse comuni, pur essendo la loro innocenza più che palese, tanto è vero che, a partire dal 1956 – dopo  la morte del tiranno sanguinario Stalin – degli oltre 1.000 Italiani antifascisti ingiustamente assassinati, molti di loro saranno tardivamente reintegrati. Per compensare le famiglie, il PCI che riceveva fondi neri da Mosca, ripassava la pensione in contanti, affinché, non denunciassero ciò che sapevano…

Eppure, così come in Francia anche i nostri intellettuali, insieme al nostro PCI, guidato da Palmiro Togliatti, non solo erano al corrente di tutto, ma in molti casi, il Migliore ed il suo degno cognato Paolo Robotti personalmente, avevano denunciato i loro stessi compagni connazionali e correligionari alla temuta NKVD, determinandone l’ingiusto arresto, rimanendo del tutto indifferenti alla loro ingiusta condanna a morte. Nonostante ciò, la nostra élite culturale, agli inizi degli anni ’50, per poco, attribuisce perfino il Premio Strega niente meno che alla vergognosa ed ipocrita opera agiografica di propaganda bolscevica dall’elusivo titolo “NELL’UNIONE SOVIETICA SI VIVE COSÌ” di quel Robotti, vile delatore degli stessi suoi innocenti compagni di partito esuli – in esilio come lui -, sfuggiti alle condanne e carceri fasciste, in parte perché ricercati dalla giustizia italiana, anche per delitti gravissimi, ivi rifugiatisi dalle persecuzioni in Patria, cadendo, invece, gli fra gli artigli dei ben più tremendi aguzzini sovietici; questo non per delitti, ma per semplici e vaghi sospetti di dissidenza, era accusati di tradimento per spesso coltivare presumibilmente pretestuose simpatie per Bordiga o Trockji. In tal caso, serviva pure per evitare che potessero rientrare in Italia e demolire il mito dell’equivoco egualitarismo collettivista compiuto, che invece, di fatto, era l’autentico inferno del carnefice Stalin. L’ironia ha poi voluto che lo stesso Robotti ugualmente sospettato, finisse nelle carceri dell’atroce NKVD, dove lo tortureranno fino a perdere alcune funzioni fisiche, essendo opportunamente liberato con l’intervento del potente cognato.

Tuttavia, l’eloquente ma troppo scomoda lettura, stranamente –  come sovente capita perfino con autori dissidenti di sinistra – era stata condannata all’ostracismo un ambiguo, quanto imbarazzante  silenzio, al punto che ben presto il saggio sparisce dalle librerie italiane. Ci vorranno diversi anni prima che l’oltremodo quasi profetica esemplare opera, tornasse nuovamente ad occupare il suo meritato posto presso i nostri librai. Un libro, pertanto, che molti dei nostri indottrinati ed impenitenti simpatizzanti, dirigenti e politicanti di sinistra, i soliti prepotenti messianici architetti di un fantasioso quanto utopico mondo perfetto, farebbero bene a leggere: chissà che se certe pagine, riuscirebbero a contribuire lo ristabilimento di qualche verità occultata ed illuminare qualcuno al punto di riconoscersi nei fatti ivi narrati.

E per concludere, forse non è del tutto superfluo come sia talmente triste dover constatare che ancora oggi, dopo che nell’ex Unione Sovietica e negli allora Paesi satelliti, sono state tolte le statue dedicate a StalinLenin od ai loro  degni compagni,  mentre la  nostra vergognosa mancanza di pudore è ancora tale che sembra che nessuno osi alzare gli scudi per esigere che strade e piazze tuttora intitolate all’Unione Sovietica od ai rispettivi despoti, ormai ufficialmente riconosciuti come autentici sanguinari delinquenti di quel criminoso regime, vengano finalmente ribattezzate, dedicandole a personaggi veramente degni.