La Via Per Cabul di Annemarie Schwarzenbach (Recensione)

Da tempo ero alla ricerca di questa pubblicazione. M’interessava trovare notizie sulle origini delle Popolazioni dell’Afganistan e del Kashmir. In questo senso, sono rimasto un po’ deluso perché manca qualsiasi riferimento alle 10 tribù ebraiche disperse mezzo millennio prima della nostra era; infatti, dopo che Nabucodonosor aveva distrutto Gerusalemme, ne aveva deportato buona parte degli abitanti sopravvissuti; questi, in fine, erano riusciti a stabilirsi proprio qui ed i loro successori passeranno ad essere designati come “Beni Izrael”.Una volta raggiunta la valle dell’Indo, si erano rifugiati precisamente nel Kashmir che – secondo alcune altre versioni – sarebbe la loro vera terra di origine, tanto è vero che, sempre seguendo le stesse ed anche altre fonti, diverse espressioni geografiche menzionate nell’Antico Testamento corrisponderebbero a località del Kashmir; del resto, se diamo ancora credito a tali autori, Afghana sarebbe nipote di Assaph figlio di Barachia. Ebbene, questi dettagli alimentano la mia curiosità e costituivano il mio più immediato e specifico interesse; forse, mi aspettavo troppo io. Comunque sia, devo riconoscere che si tratta di un resoconto certamente interessante, soprattutto se inserito nel suo contesto temporale.

Infatti, mentre in Europa stava per scoppiare il più doloroso conflitto armato, due donne, fatto abbastanza insolito, partono da sole per avventurarsi verso regioni isolate, alla ricerca di una certa serenità, lontano dalla civiltà occidentale che – a sentire l’autrice – corrompeva, e per poter ritrovare un determinato mondo antico, alludendo, forse, al mitico eden dell’età dell’oro… Ecco che raggiungono Paesi dove alle donne ben scarso credito e pochi diritti erano – ed ancor oggi ai nostri giorni – sono riservati. A bordo della loro Ford, adeguatamente adattata alle difficoltà che dovevano affrontare, attraversano percorsi deserti e scoscesi, su strade oltremodo precarie; si fermano in villaggi e località isolate dal mondo, dove incontrano gente con usi del tutto propri, ma sempre generosa e disposta ad accoglierle e ad orientarle. Ed allora, ci parlano della sempre puntuale ospitalità che ricevono un po’ ovunque e che è tradizionalmente riservata ai viaggiatori da parte delle popolazioni islamiche, ciò che non è molto noto in Occidente.

Se, dunque, non ci sono accenni a proposito della mia ricerca sulle tracce delle tribù ebraiche disperse, rifugiatesi da quelle parti e che poi erano state assoggettate alla religione islamica, pur conservando alcune tipiche caratteristiche degli Ebraici, di cui ci riferiscono altre fonti, mi rimane, almeno, il consolo di aver effettivamente trovato la conferma di un concreto indizio. Infatti, in rapporto a questo particolare aspetto, la stessa scrittrice svizzera rivela come, dal loro abbigliamento, le donne afgane ebraiche si distinguevano per il fatto d’indossare “tcharis” (una versione di burka che copre tutto il corpo dal capo ai piedi) di color nero e, pertanto, differente da quanto indossato dalle altre donne musulmane.

Ad ogni modo, a distanza di tanto tempo, questo libro di facile e piacevole lettura è, senza dubbio stimolante, anche perché ci descrive zone che oggi si trovano al centro dell’attenzione mondiale e presente nei notiziari di ogni singolo nostro giorno attuale.

In fine, un aspetto rilevante è costituito, pure, da quanto ci riferisce, già a quei tempi, sui timori di una probabile prossima invasione dell’Afganistan che l’Unione Sovietica stava segretamente preparando allora, tanto è vero che queste stesse insolite visitatrici erano vigilate e sospettate di spionaggio. Del resto, i piani di espansione verso queste regioni erano già nelle antiche intenzioni degli stessi zar. Tuttavia, gli eventi della guerra mondiale prima e della guerra fredda poi, ritarderanno evidentemente tale ambizione, iniziativa che i comunisti, metteranno in pratica – con risultati notoriamente più che deleteri – solo decenni più tardi, quando il loro impero totalitario si trovava ormai già fatalmente avviato verso la vigilia del proprio tramonto.