DU MIRACLE EN ECONOMIE (Del Miracolo in Economia) – di Alain Peyrefitte (Recensione)

In uno dei miei frequenti viaggi in Cina, fra le compagnie che mi hanno reso meno lunghi gli spostamenti, mi sono fatto accompagnare da un’altra meravigliosa lettura di Alain Peyrefitte.L’autore de LA SOCIETE DE CONFIANCE (La Società Della Fiducia) che ho ripetutamente citato in alcuni articoli pubblicati fin dai tempi di Legno Storto, è uno di quei liberali che meriterebbero maggiore notorietà anche da noi. Si tratta di un competente critico del mondo socialista e delle sue contraddizioni; infatti, dopo aver coperto diversi incarichi nella diplomazia francese nei Paesi ad economia collettivista, come l’Unione Sovietica e la Cina, e dopo essere stato Ministro di De Gaulle – il generale che aveva saputo interpretare bene le debolezze dei nostri cugini transalpini – e del suo successore Pompidou, già decenni fa, metteva il dito nella lesione esposta – ed oggi forse in stato di necrosi – dei “mali francesi” (e probabilmente europei).

In uno dei suoi saggi di maggior successo che s’intitolava, appunto, LE MAL FRANÇAIS (Il Male Francese), l’autore denunciava già allora molti dei malesseri presenti anche nel nostro modello italiano, tanto è vero che poi li elencherà magistralmente durante una conferenza data a Roma ed in seguito pubblicata con il titolo Y-A-T’IL UN MAL LATIN (Esiste un Male Latino?) – dall’Accademia Nazionale dei Lincei e di cui ho già commentato su questo stesso sito.

Dunque, a chi è caro il liberalismo – così ingiustamente criticato dai soliti indottrinati – e che, allo stesso tempo, legge in francese, vorrei vivamente raccomandare il saggio DU MIRACLE EN ECONOMIE (Del Miracolo in Economia) – Editions Odile Jacob – 250 pagine. Si tratta di una bellissima raccolta di lezioni date dall’ex ministro della V Repubblica, nel 1994 al College de France.

Peyrefitte è ciò che si può benissimo definire come intellettuale autenticamente cosmopolita; infatti, avendo girato il mondo in qualità di diplomatico, aveva potuto fare una solida conoscenza, dal vivo, di quell’ambiguo ambiente che la nostra sinistra dottrinaria non esitava a spacciare per un presunto Paradiso Terrestre del proletariato. Alla Cina che allora pochi conoscevano, egli dedicherà migliaia di oltremodo interessanti pagine, fra le quali anche il famosissimo saggio QUAND LA CHINE S’ÉVEILLERA… LE MONDE TROMBLERA (Quando la Cina si Sveglierà… il Mondo Tremerà) un’opera davvero profetica e di grande ripercussione alla quale gli eventi dell’attuale realtà ora danno piena ragione.

Ma veniamo al mio compagno di viaggio, ”DEL MIRACOLO IN ECONOMIA“, saggio che ripercorre la lunga strada coperta dalla storia dello sviluppo economico mondiale: che, partendo dalla Grecia passa all’Italia per poi proseguire in Olanda; attraversa la Manica, dove sosta nel Regno Unito, per raggiungere l’Atlantico ed approdare nell’ America della libertà e per finalmente continuare la sua interminabile benefica marcia, provocando lo straordinario sviluppo del Giappone e ritrovare, dopo secoli di assenza, quello che per millenni ha costituito il “centro del mondo”, la Cina che aveva inventato la bussola, il timone, i caratteri mobili, la porcellana, le armi da fuoco e che avevano già fatto il giro del mondo 70 anni prima che Colombo raggiungesse le coste americane.

Questo straordinario liberale, dunque, riepiloga le fasi e le vie percorse dalla lunga marcia del progresso generato dal miracolo dell’economia lasciata libera. Lo fa in modo sintetico ed in un linguaggio chiaro, senza lasciare che il lettore si annoi. Nel compendio spiega come ciò è avvenuto e non aiuta solo a capire i meccanismi del fenomeno dello sviluppo economico occidentale che, con il suo modello vincente, cammina a pari passo con il progresso umano, ma va oltre. Infatti, segue le diverse tappe dei distinti “miracoli economici”, in giro per il globo ed espone come il benessere abbraccia i Popoli che non rinnegano quel virtuoso “éthos de confiance compétitive” (l’etica della fiducia competitiva), capace di sconfiggere la diffidenza che purtroppo da tempo predomina nelle nostre comunità, alimentate da unossessivo pessimismo. Ed è questo che ormai caratterizza alcune delle nostre Nazioni, mentre questi nuovi “iniziati” all’ordine spontaneo del mercato – o capitalismo come altri preferiscono chiamarlo -, preferiscono adeguare le proprie economie alle circostanze dei tempi con il necessario ottimismo, comportandosi come attenti allievi che imparano la lezione dagli esempi pratici impartiti dai propi maestri per poi finalmente superarli, dopo aver da loro ereditato il testimone del progresso da portare avanti alla prossima tappa, consegnandolo alla generazione dalla mente aperta che a sua volta sarà capace di assimilare l’impartizione da questi.

Con questo saggio l’autore ci aiuta, quindi, a capire non solo le ragioni del successo altrui ,ma mette a nudo anche le cause che inducono al declino europeo e ci illumina, in modo lampante, sui motivi che hanno portato il Giappone alla vetta dello sviluppo mondiale e come questo stesso modello è stato recentemente interpretato alla lettera, permettendo ai vicini Cinesi di imitarne l’esempio. Ecco che, adottando in parte, il modello del libero mercato, senza farsi troppo influenzare dalle tendenze in senso contrario raccomandate dalle “cattedre” del vecchio – stanco – Continente, sbalordiscono il resto del mondo con tassi di crescita dell’ordine del 10% all’anno, per quasi due decenni consecutivi.

In fine, vorrei aggiungere che questa utile lettura potrà aiutare a ridimensionare pure un po’ quelle ingenue certezze di cui sono vittime i nostri pessimisti congeniti che prevedono e, magari, auspicano la prossima rottura della cosiddetta “bolla di sapone” cinese; una “bolla” che sembra resistere benissimo anche alle crisi che tolgono il sonno agli Occidentali.

Credo, inoltre, che il saggio di Peyrefitte potrebbe favorire una maggiore riflessione, soprattutto, sui mali di casa nostra, dove in modo particolare, proprio in questi tempi, la giustizia sembra abdicare alle sue particolari funzioni per insistentemente confondersi con la più ambigua lotta politica altamente “ideologizzata”, ma poco consapevole dei principi sui quali si regge la salutare economia di una Nazione. Ecco un’occasione per meditare su ciò che avviene da noi e per trarre qualche utile insegnamento che noi stessi potremmo e dovremmo assimilare dalle esperienze realizzate ultimamente dal gigante asiatico.

Chiediamoci, allora, se possiamo davvero continuare ad illuderci di essere ancora il centro dell’Universo, dove sarebbero gli altri a dover imparare piuttosto da noi? Ci saranno pure delle valide ragioni capaci di spiegare l’origine della stagnazione delle nostre economie. L’economia, l’evoluzione ed il progresso non sono mai statici, ma si spostano in continuazione. Infatti, così come si muove l’epicentro dell’economia, che non cessa di spostarsi da un ambiente favorevole all’altro ancora migliore, anche la conoscenza subisce una sua inarrestabile evoluzione che bisogna saper accompagnare se non si vuole acccettare il rischio di rimanere indietro, perché essa prosegue la sua marcia verso quegli ambienti che si lasciano guidare dai dubbi piuttosto di farsi condizionare dall’ eccessiva fiducia nelle certezze.

L’Europa, ormai da troppo tempo, persegue equivoche teorie dettate dall’ideologia; dopo aver perso l’abitudine di pensare in modo concreto e pragmatico, perdendo la fecondità che tale pratica proporziona, ci stiamo perdendo nel labirinto della sterilità delle belle e romantiche teorie. Invece, è probabilmente giunto il momento di riflettere sull’eventualità di dover sacrificare un po’ di quei privilegi sociali, per tornare a praticare la salutare tradizionale inclinazione al lavoro delle sostanze.

Dobbiamo imparare nuovamente a mettere in pratica le nostre migliori virtù, permettendo alla creatività individuale di sfogarsi, di produrre opportunità e di generare prospettive. E’ la creatività dell’innovazione che ci permette di esplorare e sfruttare il più importante patrimonio intrinseco del capitale umano. Le diveristà non sono un ostacolo; esse costituiscono un grande vantaggio. Sarà proprio attraverso le utili diversità che caratterizzano le culture del nostro continente che potremo tornare a vincere, lasciando perdere un po’ le standardizzazioni dettate da Bruxelles, da una parte, stimolando la ricerca delle società private attraverso l’accumulo di utile, senza, dall’altra parte, continuare a farci imbrogliare dalle “ideologizzazioni” politiche dei militanti pessimisti e dalle equivoche solidarietà istituzionalizzate, fra le quali si agitano negativamente gli ecologisti di piantone, contrari aqualsiasi forma di modernizzazione.

Solo con una costruttiva inversione di tendenze potremo tentare di frenare l’ormai avviato slittamento dell’ Europa, chiusa nella sua presunzione. Dobbiamo rimboccarci le maniche; solo così ci potremo liberare da quel complesso modello economico fatto di quote e di sussidi che, nella sua cecità pretende privilegiare un’agricoltura obsoleta che da sola, senza sussidi, non si sostiene più, mentre altri Paesi investono in tecnologie che da noi, non si capisce perché, dovrebbero far paura.

Non possiamo continuare a mantenere 2% della popolazione europea con le imposte pagate dal resto dei contribuenti, pur di proteggere un settore tecnologicamente ingessato è mantenuto attivo artificialmente. Una delle condizioniè proprio la necessità di ripensare le scelte politiche adottate in rapporto all’agricoltura. Se continuiamo a voler concorrere con i Paesi sottosviluppati che, di fatto, hanno più vocazione di noi per un’agricola tradizionale, perderemo sempre più terreno nei confronti di chi non teme le nuove tecniche. Inoltre, se non ci decidiamo a focalizzare altri settori più tecnologici e più avanzati, perderemo il treno del progresso ed il nostro declino sarà inevitabile; la decadenza si affretterà a passi sempre più lunghi e veloci, verso un avvenire sempre più incerto ed oscuro. I nostri politici hanno bisogno di cambiare filosofia: meno ideologia e più pragmatica, preoccupandosi subito delle probabili drammatiche conseguenze che ci aspettano se dovessimo perdere ulteriore tempo prezioso.

Alain Peyrefitte non ci fornisce le ricette pronte, ma ci offre delle spiegazioni che potranno stimolare molti a meditare ed a volgere lo sguardo più concretamente alla cruda realtà che ci condiziona e che minaccia il futuro della nostra prossima generazione.