VILLAGES (Villaggi) di Richard Critchfield (Recensione)

La Virtuosa Rivoluzione e le Ingannevoli Profezie

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Durante tutto il secolo che abbiamo alle spalle, con buona dose di ingenuità da parte degli sprovveduti creduloni e di altrettanti cinici integranti della sinistrosa militanza mancina, siamo stati assediati dalle sediziose lezioni, ambiguamente spacciate per umanitari e lusinghieri insegnamenti, in cui, in disciplinata simbiosi con i proclami egualitari dalle migliori intenzioni ma cause di una miriade di prematuri decessi, provocati dai loro propri famosi metodi, in cui pretendevano anticipare eventi dell’incerto avvenire, ci annunciavano le controverse ed apocalittiche profezie, come scontate rivelazioni, che – a lor dire –  l’egoistico sistema del libero mercato riservava alla povera maltrattata umanità.

A dimostrazione della presunta attendibilità di tali assiomatiche affermazioni,  ricorrevano religiosamente alle più singolari ed emblematiche dottrine di autori di  consolidata storica rinomanza. In questo erudito Pantheon non potevano certo mancare Platone, Hegel, Rousseau, (con tanto di mitico Buon Selvaggio e nostalgica idillica Era dell’Oro) e, naturalmente, il loro divino e glorificato Marx – ed ai nobili personaggi, meravigliosamente celebrati dall’indimenticabile Karl Popper anche nelle più che eloquenti pagine de LA SOCIETA’ APERTA ED I SUOI NEMICI –  vanno aggiunti, inoltre, i soliti satrapi di turno, aspiranti a maestri prestigiatori di piantone dell’altruistica dottrina collettivista, come Stalin, MaoCastro e kompagni, per non parlare dello spietato e perverso despota Pol PotMa ciò non bastando, per dare maggior contenuto alle loro fantomatiche trovate, ricorrevano – ed ancora perseverano – con insistente vigore, diffondendo gli ambigui fantasiosi teoremi fantascientifici e le proverbiali divinatorie conclusioni sul catastrofico destino dell’umanità, nonché della vita biologica e addirittura del mondo, minacciato dalle inconfondibili colpe delle abusive attività umane, attingendo alle più eclettiche e fantasiose tesi di moda.

Oggi, una buona parte di quelle cervellotiche idee sono malinconicamente finite sotto le macerie del Muro di Berlino e fanno parte dei tragici ricordi di un crudele periodo storico angoscioso che non possiamo dimenticare, anche perché, i cocciuti seguaci di queste stravaganti teorie non si sono ancora del tutto convinti dei propri equivoci e si ostinano anacronisticamente a non arrendersi nemmeno alla più palese realtà; infatti, con la loro incorruttibile devozione all’ambigua fede, come avviene con chi ciecamente professa l’ortodossia dei dogmi religiosi, non possono liberarsi dalla gabbia in cui sono prigionieri, rinunciando alla propria incondizionata fiducia di tali verità e sono indotti a credere per vedere, in un fittizio incerto avvenire che, tuttavia, è puntualmente rimandato ad un eterno domani che, purtroppo, non giunge mai.

E siccome molte delle loro bizzarre teorie sono state confutate dai concreti fatti reali, provocando l’inevitabile tracollo dei regimi comunisti – come, del resto, aveva già messo nero su bianco Ludwig von Mises con ben settant’anni di anticipo, nella sua paradigmatica opera SOCIALISMO -, i soliti indottrinati, continuano ad arrampicarsi sugli specchi in difesa dei loro immortali vaticini, riferendosi, ancora, alle logorate teoriche dottrine delle obsolete ideologie che non possono essere dimostrate ma che, al contrario, quando sono state empiricamente applicate, nella pratica, si sono effettivamente rivelate con gli autentici ed innegabili fallimenti e ciò proprio da tutti i punti di vista umani: economici, etici, morali, sociali, ecologici, ideologici, filosofici ed a lungo termine perfino strategici.

Fra le linee di difesa abbracciate dagli impenitenti, e nel vano tentativo di resuscitare l’inutile via al deleterio collettivismo, hanno sempre giocato un importante ruolo anche le famose barcollanti teorie malthusiane, secondo le quali, già dagli inizi del XIX secolo, per il fatto che – nella loro paranoica concezione – la produzione mondiale doveva crescere a ritmo aritmetico, mentre l’espansione demografica sarebbe aumentata in progressione geometrica, secondo le sentenze emanate dai soliti noti, l’umanità era avviata verso un drammatico epilogo di disastroso esponenziale pauperismo. Già, per i loro criteri, la “torta“ costituita dalla ricchezza è di valore fisso, finito: da curiosi idealisti, considerano solo i valori materiali; per noi più pragmatici, invece, le fette possono aumentare – tanto in numero come in dimensione – grazie all’utile individuale apporto del capitale umano che, al contrario, non può essere così semplicemente contabilizzato, ma che ha la virtù di sublimare ciò che è elementare, trasformando beni e servizi economici in pregiati.

Ma la sinistra, principalmente quella al caviale – per intenderci -, non si limita nemmeno oggi a depositare tanto credito nelle geniali trovate dell’economista britannico Malthus, ed insieme agli ultimi orfani superstiti del naufragato socialismo fallimentare, attribuendosi messianiche incombenze, ora, elaborano nuovi slogan e  proclamazioni che inneggiano alla riscoperta religione pessimistica, stavolta di conio ecologico e considerata politicamente corretta, impregnata di preconcetti superficiali ed astratti che, con manica larga, soprattutto fra gli alleati militanti creduloni, potrebbero ancora passare per buoni. Ma sulla loro scienza – si sa – gli stessi studiosi fra di loro divergono.

Ebbene, leggendo l’interessantissimo saggio VILLAGES (Villaggi) di Richard Critchfield che, pur essendo scritto nei lontani inizi ’80, contiene tutta una serie di inconfutabili evidenze in grado di ulteriormente squalificare la  già screditata pseudoscienza di T.D. Lisenko, che osava addirittura negare le scoperte di Mendel. Or dunque, a chi non conoscesse ancora le grottesche misure portate a termine da questo “patriota” alla guida dell’assurda politica agricola, ideologicamente e politicamente imposta dal regime sovietico, è conveniente ricordare che questo fervoroso bolscevico, vanta la paternità dei più disastrosi risultati ottenuti, in totale contrasto con la genuina scienza biologica e genetica, invece, sostenuta anche dal ricercatore Nikolaj Vavilov, allora, fra i più competenti scienziati sovietici, per i suoi pregevoli studi, internazionalmente riconosciuto e premiato, perfino in Occidente, ma ambiguamente condannato a morte in Patria, per aver osato contraddire le tesi del suo rivale militante “benevolmente” protetto dal compagno Stalin, insieme alla testardaggine del quale, Lisenko, finalmente contribuiva alle peggiori carestie e conseguenti mortalità, colpendo tutta un’intera generazione, di cui i più discreti indottrinati non osano parlare.

Critchfield, trascorsi quattro anni come corrispondente di guerra in Viet Nam, continuando la propria carriera, scriveva per diverse importanti testate. Ed in convivenza con autoctoni, dividendo con loro la stessa vita quotidiana semplice, partecipava ai lavori manuali umili, nei più distanti villaggi in Asia, Africa ed Americhe. A distanza di molti anni, avendo continuato a coltivare i suoi interessi per gli aspetti politici, economici, culturali e sociali, presso le comunità più isolate, analizzava come il progresso tecnologico si ripercuoteva sul comportamento delle economie e tradizioni di quegli individui e rispettive famiglie, in rapporto allo sviluppo nei grandi agglomerati cittadini, dove non pochi di loro si erano definitivamente o provvisoriamente trasferiti per lavoro.

Ed ecco che in questo specifico contesto, egli riferisce come, soprattutto nell’Asia – ma non solo -, la virtuosa ed insistente opera del Premio Nobel per la Pace del 1970, Norman Borlaug, al contrario di Lisenko, applicando il metodo genetico selettivo, aveva sviluppato nuove colture: fra le quali, particolari varietà di riso ed il cosiddetto grano nano ad elevata resa -, più resistenti e produttive nei climi caldi, adatte proprio ai Paesi più carenti, aveva dato uno straordinario contributo alla lotta contro la miseria del Terzo Mondo. Si calcola che fra Egitto, India, Pakistan, Bangladesh, Cina, Malesia ed Indonesia – che avevano appunto accettato di applicare le sue esperienze – aveva salvato ben oltre un miliardo di vite umane, mentre nell’ ostinata Unione Sovietica, condizionata dalla sua ideologia fraudolenta, ignoravano le sue scoperte e preferendo dare credito alle proprie grottesche indottrinate teorie.

Così, distinguendo le rivoluzioni armate, alimentate da sterile retorica,  generatrici di lutti e dolore, egli esalta la vera e di fatto più feconda virtuosa rivoluzione, vittoriosa contro la miseria e la crescente scarsità, nel Terzo Mondo con la vera storica Rivoluzione Verde caparbiamente voluta da Borlaug, con la quale era perfino riuscito a sensibilizzare niente meno che il sabio Chou En-lai, dimostrando com’era possibile raddoppiare e triplicare la produzione di alimenti, fondamentali per la sopravvivenza di un’enorme massa  di indigenti cinesi, stremati dalla tragica  fame che produceva milioni di vittime e, dove i sopravvissuti più fortunati, di nascosto, di notte non esitavano di cibarsi dei cadaveri superficialmente seppelliti di proposito a tale finalità.

Critchfield, nella sua analisi, va oltre queste considerazioni e spiega come quella Rivoluzione Verde – tanto osteggiata dai sovietici ed dai loro rispettivi fedeli seguaci -, con la sua eccezionale produttività, non ha solo ridotto la fame nel mondo, ma ha contribuito pure a ridurre il faticoso lavoro degli agricoltori stessi che, producendo di più, vivevano meglio e più a lungo. Ed infatti, nella misura in cui la disponibilità di alimenti aumentava, nelle campagne diminuiva anche il bisogno della manodopera ed analogamente, con il benessere raggiunto pure nelle città, il rapporto di vita si allungava, anche fra gli agricoltori; così, in regime di condizioni di vita migliorate, il rispettivo benestare,in proporzione, aumentava la generale longevità. Ecco un ulteriore argomento che i soliti noti pessimisti tentano sfruttare ed aggiungere al loro policromatico decalogo. Eppure, vivendo di più si può anche lavorare più a lungo e produrre altrettanto valore aggiunto e sviluppare nuove idee, concetti e scoperte. Inoltre, siccome la natura è saggia – adeguandosi alle circostanze -, nella misura in cui aumenta la longevità degli individui, diminuisce anche la loro fertilità e questo evidente sintomo si nota già ed è confermato pure dalle statistiche che indicano un costante aumento delle sterilità femminili e delle infertilità maschili, mettendo di nuovo sotto scacco le stesse fantomatiche previsioni di Malthus.

Oggi, gli avversari del libero mercato, continuano a dichiarare che il modello di questo ordine spontaneo, costituito dal mercato libero, permetterebbe solo ai ricchi di diventare sempre più ricchi, mentre ai poveri rimarrebbe sempre meno. Invece, non è vero; infatti, già allora, l’autore percepiva l’esatto contrario, e spiega come in grande parte del mondo, le condizioni di vita sono enormemente migliorate. E se ciò è avvenuto, dev’essere accreditato proprio alla virtuosa iniziativa privata e dei singoli, ai quali il modello ha propiziato le opportunità di esprimere e dare sfogo alle diverse potenzialità, permettendo ai più intraprendenti di realizzare le loro legittime aspirazioni ed ambizioni. Mentre, al contrario, i soliti politici, per tradizione, non fanno altro che zelare per i propri particolari interessi: legiferano a favore della propria sopravvivenza nel potere, conservando i propri privilegi, sulle comode poltrone, senza generare alcuna ricchezza, sfruttano, viceversa, in maniera coercitiva, prelevando appunto i risultati delle iniziative di chi produce il frutto dell’operato, di chi con idee proprie, innovazione e sudore, aumenta la dimensione delle fette e della stessa torta, quando gli altri prepotenti, forti delle loro posizioni, ricorrono all’esproprio ed all’estorsione, con lo spurio pretesto di redistribuire un falso benessere. I risultati li abbiamo sotto gli occhi, lo spreco di una ricchezza che non è nemmeno stata generata, ma che i posteri dovranno generare per saldare i conti dei debiti contratti dai loro ciechi predecessori.

Pertanto, pur ammettendo che il progresso non ha ancora raggiunto determinate aree geografiche del mondo, ciò dev’essere attribuito non tanto alla presunta fallacia del mercato di beneficiarle, discriminando, per esempio, certe zone dell’Africa. Questo, invece, dev’essere imputato, piuttosto,  all’incapacità od alla mancanza di volontà ed all’incompetenza  da parte della stessa politica di rendere attrattivi i necessari investimenti. Infatti, il mercato potenziale esiste; anzi, proprio dove impera la scarsità il mercato in grado di proporzionare sviluppo e soddisfare le necessità, è smisurato oltre che vitale. Eppure, proprio in queste regioni, mancano le prerogative e la libertà per soddisfare l’effettiva straordinaria carenza di un po’ di tutto: dagli alimenti, ai più elementari beni di prima necessità; dall’educazione, alla salute; dalla giustizia, alla sicurezza e, non per ultimo, almeno un minimo controllo sull’applicazione delle risorse, dove prevale un altissimo tasso di corruzione, in parte alimentato dallo stesso Occidente.

E su questo tema, è utile la didattica lettura di un eccellente saggio: LA CARITA’ CHE UCCIDE, della brillante economista africana Danbisa Moyo, in cui denuncia l’equivoca pratica dell’Occidente che inibisce molte ambizioni di queste Nazioni, a cercare le proprie strade verso un equilibrato e spontaneo sviluppo, invece di abituare i rispettivi governanti ed iniqui capi tribù, a mantenere le cose come stanno, con scandalosi e deleteri aiuti economici che non fanno altro che alimentare ulteriormente l’inclinazione alla corruzione. E’ questa la vana ed ambigua azione politica che pretende realizzare un’ipocrita ed ingenua solidarietà, istituzionalizzata e politicamente condotta. Si potrebbe, al contrario – in primo luogo – stimolare gli investimenti -privati -, seguendo l’edificante esempio degli Stati Uniti – che Togliatti aveva buone ragioni di temere – con quel Piano Marshall, quando,  all’alba del Dopoguerra, ha stimolato la produzione di beni e servizi di prima necessità in loco. E, soprattutto, oggi si dovrebbe evitare di praticare quella vergognosa concorrenza sleale, con cui manteniamo artificialmente le nostre produzioni agricole con illeciti sussidi ad allevamento, produzione di latte e carne e rispettivi derivati, cereali, all’industria dello zucchero, alle piantagioni di cotone, mentre sono esattamente, proprio queste attività che costituiscono le più naturali vocazioni di Paesi sottosviluppati od in via di sviluppo, proprio per i loro costi di manodopera bassi. Infatti, nei nostri Paesi industrializzati con costi di produzione più elevati, dovremmo concentrarci sulle attività di elevato valore aggiunto e di tenore tecnologico avanzato.

Quindi, non ci sono molti dubbi che, a distanza di oltre trent’anni, VILLAGGI si dimostra ancora un’opera oltremodo opportuna quanto attuale; infatti, con molto anticipo, l’autore propone il dibattito sui principali temi che affliggono proprio la nostra odierna discussa realtà; ed egli indica, pure, le diverse contraddizioni che contraddistinguono i soliti noti seguaci delle più stravaganti dottrine, sempre puntuali ad ossessivamente accusare la pertinente azione umana dei singoli individui. Questi avversari del libero scambio, infatti, attribuendo all’industria ed all’iniziativa dei nostri migliori cittadini, perfino la responsabilità dei fenomeni più naturali  delle cicliche ed eterne mutazioni geologiche e meteorologiche a cui, da sempre, tutto il creato – il pianeta Terra compreso – è sempre stato soggetto.

E sono sempre i soliti militanti frustrati che integrano le colorite orde verdi, arancioni, rosse, nere, rosa, viola ed iridate brave a strillare creativi slogan impararti a memoria, sempre pronti a puntare il dito contro la libera iniziativa, ma mai altrettanto attenti e zelanti a proposito dei delittuosi disastri ecologici commessi dai regimi collettivisti, rimangono ipocritamente  muti. Invece, come spiegano costoro l’etimologia di Groenlandia – che in concreto significa Paese Verde – e che da secoli è coperta dalle nevi, non chiamandosi, quindi, Paese Bianco, come sarebbe più logico? Come chiarire, fra l’altro, che ad oltre quattro mila metri di altitudine, sulle montagne dell’Alaska – per citare un altro esempio – oggi si trovano fossili marini che provengono, inequivocabilmente, dalle profondità marine? O, come  giustificano l’esistenza di gigantesche riserve petrolifere o di carbone, alla fantastica profondità di oltre sette mila metri che sono, evidentemente, prove contundenti che in altri tempi il nostro Pianeta non era uguale ad oggi, e che quei giacimenti provengono da residui organici e che in passato, in superficie, costituivano immense foreste estinte milioni di anni addietro, avendo dovuto subire sconvolgimenti per naturale azione di eventi del tutto estranei all’azione umana?

In fine, e per terminare, bisogna pur ammettere che i nostri rivali egualitari, quelli che con tanta incomprensione ed intolleranza combattono con ogni mezzo, cercando qualsiasi più banale pretesto per opporsi alle libertà di produrre ricchezza da distribuire fra i diseguali, hanno sicuramente bisogno di riconsiderare le loro assurde posizioni. Fra l’altro, vorrebbero sostituire l’aleatoria ingiustizia che colpisce alla cieca, con altrettanta mala sorte intenzionale. Quanta ragione aveva quell’ esimio e simpatico economista brasiliano, Roberto Campos, distinto liberale – persuasivo difensore della Scuola Austriaca –   il quale, nel suo illuminante saggio ANTOLOGIA DO BOM SENSO (Antologia del Buon Senso) non risparmiava critiche agli interventi nell’economia da parte del potere pubblico con i suoi dinosauri – le classiche appendici statali all’equivoco servizio della politica -, quando, anche in qualità di ex-seminarista, in una sua nota critica ai militanti discepoli della radicale Chiesa bolscevica latinoamericana che professa quella Teologia della Liberazione, di dichiarata inclinazione marxista rivoluzionaria, ha fatto giustappunto notare che, se Dio avesse davvero voluto che fossimo tutti uguali, non ci avrebbe certamente fatti tutti diversi… Inoltre, se in questa esistenza possiamo indicare dei valori assoluti, uno di questi è, senza il minor dubbio, la diversità – che in  Europa vorrebbero eliminare – e che ci distingue; infatti, dove il pensiero unico si stabilizza, fortunatamente, soccombe; in ambiente di pensiero poliedrico le libertà e le leggi naturali reggono.

P.S.: Ed ecco che una lettera aperta firmata da ben 110 (centodieci) Premi Nobel denuncia l’ambiguità e le contraddizioni di GREENPEACE: http://www.ilpost.it/2016/07/02/premi-nobel-contro-greenpeace-ogm/