ARMI, ACCIAIO E MALATTIE di Jared Diamond (Recensione)

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Utile a chi nega l’Evoluzionismo…

Bella lezione di antropologia evoluzionista di lettura scorrevole, con argomenti oltremodo convincenti e chiari, in grado di mettere in imbarazzo anche i più ostinati difensori di certe tesi che sostengono preconcetti di razze inferiori e superiori. Un saggio in difesa dell’interazione fra umani di distinte origini che contribuiscono al progresso con la libera circolazione di idee, merci e persone. Sconfessa pure chi vorrebbe chiudersi nella propria torre d’avorio, in particolare chi propone di erigere ostacoli, isolando le frontiere del nostro Paese da altri continenti per impedire soprattutto l’entrata di gente dagli abiti, lingue, religioni e colori contrastanti. E qui gli argomenti di chi vede nell’invasione dei “nuovi barbari” un grave pericolo perde ogni sostegno. Scredita pure i razzisti che credono di essere stati baciati dal destino, con una presunta superiorità culturale.Senza la pretesa di ridurre meriti alla nostra civiltà – che è comunque pure essa il frutto di un’intensa e continua interazione con altri Popoli -, questo saggio ci guida nella storia dell’umanità, esponendo come e perché, nell’arco di una dozzina di millenni, distinte comunità si sono evolute in un certo modo e non in altro: passando da nomadi cacciatori e raccoglitori a pastori, mettono a punto attrezzi per la coltivazione e sviluppano l’agricoltura diventano sedentari; inventano le armi per difendere gli spazi occupati che si trasformano in centri abitati, dove si forma la specializzazione. Così, siamo giunti al livello di sviluppo attuale.

L’autore dimostra come ogni genere di scambio fra umani sia più che opportuno e che non è mai benefico isolarsi e cita fra gli altri un caso specifico – per esempio – quello dell’ Australia dove, per via della distanza da altre terre ferme abitate, gli aborigeni non hanno potuto usufruire delle scoperte e delle tecniche che, invece, hanno propiziato lo sviluppo degli Asiatici e degli Europei, sistematicamente condizionati da periodiche invasioni.

Del resto, sappiamo che le civiltà sono il risultato di tutta una serie di tappe, alle quali hanno contribuito un po’ tutti i Popoli del nostro pianeta. Infatti, grande parte delle tecniche che alla fine hanno generato il progresso occidentale, sono giunte in Europa proprio attraverso le numerose invasioni: il morso e le staffe usate dalla cavalleria degli Unni che con questi dispositivi potevano usare i loro potentissimi archi compositi, cavalcando in movimento; tecniche che rivoluzioneranno l’arte del combattimento. Ma anche le armi da fuoco arrivano in Occidente provenienti dalla lontana Cina, portate dalle cosiddette orde del probabile più grande condottiero di tutti i tempi, Gengis Kahn, il quale non era solo un primitivo guerriero sanguinario, ma anche un saggio amministratore del più vasto impero della storia, dove le diversità anche religiose erano tollerate e difese; a lui si attribuisce anche il merito di aver favorito un efficientissimo sistema di comunicazione molto simile alle nostre poste e questo in un’epoca in cui trascorrevano i nostri secoli più bui.

Inoltre, Diamond prova quanto sbaglia chi sostiene che noi Europei avremmo i principali meriti nello sviluppo umano, mentre bisognerebbe ricordare dove si sono compiuti i primi passi fondamentali della civiltà. Infatti, recentissime ricerche rivelano una civiltà orientale ancora più remota – quella di Harappa – che avrebbe dato alla luce ai primi culti solari e lunari, dai quali deriverebbero le religioni della Mesopotamia e, quindi, anche il monoteismo. E non è tutto, pare che insieme alle tecniche della coltivazione delle graminacee, perfino l’alfabeto provenga proprio da quella stessa valle dell’Indo; e con enorme sorpresa si scopre che questa cultura, per le misure ed i pesi, disponeva già di un sofisticato sistema decimale. Del resto, sappiamo che il numero “zero” era già noto sia in India e addirittura nell’America Centrale degli Olmechi e dei Maya, oltre un millennio prima che giungesse in Europa portato dagli Arabi che, a loro volta, avevano sviluppato la matematica e l’algebra, dando pure continuità alla speculazione filosofica dei Greci classici, quando noi eravamo non ancora fermi agli elementari numeri romani, mentre attraversavamo una delle più profonde decadenze della nostra storia. Purtroppo, in seguito a grandi convulsioni naturali come forti terremoti e gigantesche alluvioni – forse proprio quelle della tradizione biblica -, della civiltà Harappa non s’è salvato molto; gli archeologi che lavorano negli scavi da alcuni anni, hanno per ora scoperto solo pochi ma importanti reperti che testimoniano l’elevato grado di sviluppo dell’antichissima civiltà indiana che manteneva, fra l’altro, regolari rapporti commerciali perfino con gli Egizi.

Poi, se spostiamo lo sguardo all’antica Cina, troveremo – fra gli altri – l’uso della carta, della stampa a caratteri mobili, della porcellana, della seta, della bussola e del timone grazie ai quali, con una flotta di duecento mila persone, l’ammiraglio Zhen Hu aveva circumnavigato il nostro pianeta, attraversando oceani con imbarcazioni della capacità di fino a due mila persone ciascuna, quando la gloriosa Venezia navigava ancora a remi. Del resto, oggi, sappiamo con certezza che i Cinesi avevano visitato i nuovi continenti prima che gli Europei li “scoprissero”. Purtroppo, con l’incendio della città proibita, all’inizio del XV secolo, ed in seguito alla rivolta dei mandarini – stufi di dover finanziarli -, quei viaggi verranno interrotti; così, inizia una nuova fase del tradizionale isolamento dell’Impero Centrale e la Cina tornava a chiudersi su se stessa per proteggere i privilegi di quella potente classe dominante che preferiva ostacolare le importazioni ed allo stesso tempo temeva la partenza dei prodotti cinesi, destabilizzandone il loro rispettivo valore commerciale. Ce lo spiega Gavin Menzies in 1421, LA CINA SCOPRE L’AMERICA.

Ebbene, molte di queste conoscenze, scoperte, tecniche ed invenzioni sono giunte a noi trasmesse dai Tartari, da Popoli e da viaggiatori come Marco Polo che le avevano apprese direttamente o indirettamente dai Cinesi che, più tardi, isolandosi, subiranno perfino le invasioni europee, dalle quali a distanza di due secoli solo oggi si riscattano.

Ecco, dunque, come il progresso umano si sviluppa con l’interazione e lo scambio; inutile negare allora l’utilità del commercio, della circolazione degli individui e lo scambio; e non solo di prodotti, idee o conoscenze, sviluppati sotto l’impulso delle particolari necessità dei diversi Popoli; infatti, il processo innovativo avviene in funzione di esperienze territoriali uniche e distinte: niente in questa esistenza è stabile; tutto si muove e niente si svolge, simultaneamente, più di una volta nello stesso spazio. Perciò non possiamo interpretare la realtà negli stessi identici modi, proprio perché ognuno di noi ha un suo cervello ed una chimica che genera emozioni specifiche, con sensibilità singolari, mentre gli occhi di ciascuno vedono da prospettive singolari; per cui, sviluppiamo maniere di osservare e risposte che ai diversi dubbi separate, possibilmente del tutto originali. Ogni individuo ha la facoltà d’intuire e d’inventare soluzioni totalmente innovative. Sui meccanismi del cervello umano è interessante quanto scrive il portoghese Antonio Damasio, ne L’ERRORE DI CARTESIO.

Inoltre, per proteggere i nostri organismi da attacchi di malattie sconosciute e, per sviluppare un’utile diversità delle difese biologiche, agli umani conviene interagire, mantenendo relazioni intime con altri Popoli; questi rapporti permettono di generare negli individui, altre immunità e difese genetiche altri ambienti. L’incrocio fra individui di regioni distanti, pertanto è fondamentale. In fondo, è ampiamente dimostrato che gli individui più resistenti non sono quelli che conservano una relativa purezza genetica; lo sono, invece, quelli che riescono a scambiarsi una più completa varietà di caratteristiche, incrociandosi con individui di altre procedenze, perché è la diversità nella reciproca trasmissione genetica delle proprietà che propizia resistenze diverse da quelle dominanti.

Quest’opera ridimensiona pure dogmi e stereotipi consolidati e conferma quanto, su questi argomenti, anche alcuni importanti ricercatori italiani insegnano, lavorando per atenei esteri di prestigio e pubblicano in altrettanti pertinenti studi – più noti fuori che nel nostro stesso Paese; è il caso di Cavalli Sforza, ma forse pure di Boncinelli, Barbujani, Remotti ed altri; studiosi con tutti i titoli per sostenere con convinzione che la razza umana – in realtà – è una sola e che le differenze derivano dall’ambiente capace di condizionare lo sviluppo od il ritardo di una o più collettività. Non sono, quindi, i geni ereditati da una presunta razza superiore od inferiore a determinare il grado di progresso o di sottosviluppo dei popoli, ma soprattutto le circostanze ambientali.

Ci conferma che le difficoltà intrinseche affrontate dagli individui li inducono all’azione, cercando soluzioni per la propria sicurezza e sopravvivenza. E qui cede anche la mitica esistenza dell’età d’oro, dell’idilliaco passato migliore, in cui il cosiddetto “buon selvaggio” doveva vivere armonicamente con la natura in una specie di bucolico paradiso terrestre. Allora, anche i credenti possono meglio meditare sull’idea del mitico uomo creato buono così caro a Rousseau ed alle stesse Sacre Scritture.

Perciò, ce n’è anche per le religioni secondo che sostengono che gli umani sarebbero stati creati così come sono dal buon Dio onnipotente e che, la società e la convivenza li avrebbe corrotti, trasformando umani innocenti e buoni in malvagi egoisti peccaminosi. La realtà, invece, mostra come i primitivi non conoscevano morale né etica e che il perfezionamento è il risultato di un processo evolutivo. Infatti, è dalla coscienza – ossia dall’esperienza registrata nella memoria, trasmessa in parte dalle tradizioni che si forma la consapevolezza della nostra umana dimensione; qualità questa che ci permette di vivere oltre alla giornata, aiutandoci a guardare al di là delle apparenze, anticipando eventi con l’immaginazione; così creiamo mentalmente piani e progetti prospettati verso l’avvenire perché raffiguriamo artificialmente realtà virtuali e che di fatto, non esistono ancora.

In conclusione, quest’opera spiega anche le ragioni per cui Popoli e tribù dei tropici non progrediscono allo stesso modo e ritmo di altri Popoli meno privilegiati dalle condizioni climatiche. Non è difficile capire come il clima favorevole tutto l’anno e la generosità della natura abbia fornito loro per millenni tutto l’alimento necessario alla propria sopravvivenza, senza preoccuparsi ad accumulare viveri destinati a far fronte alle stagioni fredde e senza la necessità di doversi proteggere dalle intemperie, circostanze, dunque che hanno condizionato lo sviluppo in altri ambienti, soggetti a periodiche siccità, alluvioni e carestie, mentre la scarsità induceva a prepararsi a combattere insidie naturali, accumulando riserve per l’inverno o per le stagioni meno propizie, quando non solo poteva mancare la cacciagione che emigrava verso il caldo, ma anche le piante cessavano di produrre i propri frutti.