CONTRO OGNI SPERANZA di Armando Valladares (Recensione)

I Sanguinari che sopravvivono ancora…

Non siamo in pochi a chiederci come sia solo possibile che un tiranno come Fidel Castro abbia potuto godere di tante simpatie nel mondo; perciò, per meglio capire il dramma vissuto da Armando Valladares – un innocente condannato a vent’anni di duro carcere per un semplice delitto di opinione (la propria fede cristiana) – mi pare necessario riepilogare alcuni fatti, magari, paragonando il rovesciamento del governo socialista cileno di Salvador Allende (1973) a quello del corrotto Fulgencio Batista (1959) a Cuba.

Mentre Cuba, allora, pur costituendo la zona più prospera di tutto il continente latino americano, era governata da un despota che si era impadronito del Paese e faceva un po’ i suoi comodi, dopo un primo tentativo fallito, i castristi lo avevano spodestato con successo, per poi rimanere al potere per oltre 60 anni, instaurando un regime assolutamente totalitario e sanguinario, durante i quali ben un terzo della Popolazione era riuscita ad emigrare legalmente ed illegalmente, rifugiandosi principalmente negli Stati Uniti. In Cile, nel 1970 era stato eletto il socialista Salvador Allende che a poco a poco stava preparando l’instaurazione di un regime collettivista, aiutato proprio dai rivoluzionari cubani, quando, nel 1973, dopo tutta una serie di scioperi e della crescente instabilità del Paese, i militari guidati dal generale Augusto Pinochet lo avevano destituito con la forza, mantenendo il potere per quindici anni, quando nel 1988, dopo aver indetto un referendum, i militari lo avevano spontaneamente restituito ai civili, quando il Cile era ormai una Nazione organizzata, pacificata e con un’economia libera ed oltremodo fiorente, tanto da ricevere gli elogi dall’allora Dama di Ferro Margareth Thatcher.

Certo, all’inizio, i militari cileni, per combattere la minaccia comunista, avevano fatto ricorso a metodi piuttosto “energici” durante i quali decine di migliaia di attivisti di sinistra erano stati repressi, generando la morte di oltre 3.000 e tante vittime; tuttavia, se quelle loro azioni fossero paragonate alle misure messe in pratica a Cuba, quelle vittime fatali non sommano nemmeno lontanamente il 10% delle mortali vittime contabilizzate dalla repressione castrista che, oltretutto, non solo ha trasformato Cuba in uno dei paesi più poveri al mondo, ma non ha nemmeno mai dato da intendere minimamente che un giorno i fratelli Castro avrebbero restituito il potere ai civili. Tanto è vero che controllano la Nazione ancora oggi con il pugno di ferro e solo dopo la morte del comandare assoluto Fidel, sembra che si prometta una timida concessione ad alcune poche libertà. Naturalmente, con questo paragone non si può giustificare le morti generate dalla dittatura militare cilena, ma in compensazione, quei militari hanno lasciato ai civili un Paese moderno ed economicamente ricco. Inoltre, possiamo congetturare che se in Cile avessero riprodotto il modello castrista, com’era nelle intenzioni, i martiri sarebbero stati immensamente più numerosi.

Fra l’altro, una volta che in Cile i militari avevano la situazione sotto controllo, neutralizzato i collettivisti e cacciato i “consiglieri” cubani, ristabilendo equilibri e l’ordine, non s’è più parlato di repressione, di campi di concentramento, meno ancora di purghe o di torture, mentre a Cuba centinaia di migliaia individui erano imprigionati, isolati nelle solitarie ed indotti per decenni ai lavori forzati nei campi di concentramento ed in maniera particolare quei dissidenti politici incarcerati, anche solo per delitti di opinione e che, in quel modo avevano perso qualsiasi più elementare diritto, continuavano  emarginati nelle più squallide galere in solitarie infestate da ratti e scarafaggi, dovendo trascorrere anni e decenni in crudeli condizioni del tutto disumane. Infatti, la storica lezione sui metodi di repressione praticata durante la grande purga da Stalin, e che – a suo dire – era conclusa a fine anni ’30, di fatto, era terminata solo con il suo decesso nel 1953; gli stessi metodi  erano ampiamente applicati a Cuba fino agli anni ’80 ed ancora oggi, le libertà non sono ristabilite.

Di fatto, dopo aver preso il potere, in fatto di intolleranza e crudeltà, non passa molto tempo che Castro dimostra di superare alla grande anche lo spodestato Batista: lo stesso Fidel Castro era stato arrestato per il suo primo tentativo di rovesciare lo stesso Batista, il quale, tuttavia, poco dopo lo aveva graziato, mentre gli stessi più vicini compagni di lotta dei fratelli Castro, anche quelli più intimi a loro, avendo combattuto al suo fianco, appena mostrano la minima divergenza verranno puntualmente arrestati, condannati e sommariamente giustiziati ogni volta che solo il minimo sospetto di dissenso gettasse ombra sulle sul prestigio del regime, non potendo in nessun modo divergere sulle decisioni del tiranno.

Anche le purghe con fucilazioni in serie – in parte coordinate e comandate da quell’ambiguo “eroe” di Ché Guevara – di qualsiasi Cubano sospettato di non accettare le nuove disposizioni emanate, hanno fatto storia e sono diversi gli autori a descriverceli, fra i quali l’ex combattente Juan Benemelis in tutta una serie di saggi, dove l’ex diplomatico descrive minuziosamente come i Sovietici si servivano dell’influenza di Castro per infiltrare i propri servizi segreti nei diversi Paesi dell’America Latina, ma anche  con l’invio di centinaia di migliaia di soldati in Africa soprattutto in Angola a sostenere i movimenti di Sinistra, mentre per aumentare i propri introiti, dopo che i finanziamenti sovietici al regime di cubano si riducevano, per continuare a fomentar focolai di terrorismo in giro per il mondo, il regime castrista ricorreva pure al contrabbando di diamanti e di droga. Infatti, gli Americani essendo riusciti ad infiltrare un pilota taiwanese nel sistema di traffico di cocaina fra Colombia, Panama e Cuba – che poi veniva sbarcato in Florida -, Fidel Castro, temendo l’accusa diretta per tale attività, e già con la pulce all’orecchio dell’importanza dell’amico ed eroe nazionale generale Arnaldo Ochoa che Mosca, con l’avvento di Gorbaciov, teneva sott’occhio per una riforma a Cuba – in sostituzione degli irriducibili ed ostinati fratelli Castro -, si affretta all’organizzazione di un processo farsa, trasmesso in diretta dalla TV, contro i tre alti ufficiali fra cui i gemelli Patricio ed  Antonio de la Guardia, ai quali era stato promesso che dietro le quinte sarebbero stati perdonati; invece, alle tre di notte i tre erano stati prelevati da casa e fucilati in modo che il regime alle apparenze, si liberava dei presunti organizzatori del contrabbando e allo stesso tempo, eliminava lo scomodo possibile sostituto generale Ochoa.

Il processo aveva creato un vero dramma a Cuba e sono diverse le testimonianze al riguardo:  come riferisce l’autore dissidente fuggito da Cuba, Carlos Alberto Montaner, nel suo JOURNEY IN THE HEART OF CUBA https://liberalismowhig.com/2017/05/01/la-tragedia-cubana/ mentre questi fatti sono stati meticolosamente ricostruiti, oltre che nei due interessantissimi saggi: END OF THE CENTURY IN HAVANA,  di due giornalisti francesi, Jean-François Fogele Bertrand Rosenthal, come pure in CASTRO’S FINAL HOUR dell’argentino Andrés Oppenheimer. Da Benemelis  si apprende, inoltre che lo stesso ministro degli interni José Abrantes viene arrestato e fucilato e la purga prosegue nei confronti di circa circa 7.000 funzionari dello stesso ministero. Lo stesso Juan Reinaldo Sánchez che per ben 17 anni aveva fedelmente servito il Comandante in qualità di guardia del corpo N° 1, accompagnandolo ovunque nel mondo, dopo aver chiesto il pensionamento con due anni di anticipo, era stato arrestato, torturato perché sospettato di tradimento; ebbene, dopo due dolorosi anni di solitaria, ammalato, veniva trattato con veleni; fortunatamente, era stato salvato da un amico medico che ha subito fatto sospendere quelle “cure”. Non avendo mai pronunciato un’unica frase contro Castro, o contro il regime, durante la prigionia, era stato scarcerato e conoscendo i sistemi, era riuscito preparare la propria fuga in Francia dove pubblicherà i suoi ricordi in un saggio – tradotto in diverse lingue, salvo l’italiano – dal titolo LA VIE CACHÉE DE FIDEL CASTRO, qui recensito: https://liberalismowhig.com/wp-admin/post.php?post=8414&action=edit dove l’ex agente rivela particolari che solo pochi conoscevano, come per esempio, il fatto che il mandrillo nazionale aveva quasi una dozzina di figli – che non si conoscevano fra loro – con 5 compagne differenti, e manteneva 20 distinte residenze, fra cui un’intera isola privata servita da imbarcazioni speciali accessibili solo agli intimi, e non per ultimo vi si apprende del dramma creato dalla messinscena del processo al generale Ochoa ed agli altri due importanti ufficiali.

Pertanto, coloro che ancora credono che la Rivoluzione Castrista abbia giovato ai Cubani, leggendo Valladares conosceranno tale spaventosa realtà regna a Cuba. Del resto, non è per caso che ben un terzo dei Cubani, spesso rischiando di finire in pasto fra le fauci degli squali, anche su mezzi improvvisati, pur di abbandonare il cosiddetto paradiso del collettivismo si sono rifugiati in Florida, ossia, quello che per i collettivisti dovrebbe essere l’inferno del capitalismo, che al contrario era visto come un autentico miraggio per un migliore avvenire; infatti, stabilitisi negli Stati Uniti, moltissimi di loro hanno potuto realizzarsi, facendo carriera e fortuna nell’iniziativa privata, nel sistema scolastico e, nel caso di Marco Rubio – figlio di un semplice fuoriuscito cubano – perfino nella politica, arrivando addirittura a candidatasi all’elezione presidenziale americana. Quale avrebbe potuto essere la sua carriera a Cuba, dove i laureati, spesso non hanno niente di meglio da fare che condurre una carrozza trainata da un magro cavallo ronzinante per fare il giro turistico de L’Avana, com’era capitato a noi con un ingegnere nucleare?

Ebbene, Valladares che inizialmente aveva pure lui simpatizzando con la rivoluzione castrista, pensando che ne sarebbe seguito un governo democratico  ed onesto, era ed è un cattolico praticante e come tale, si rifiutava di convertirsi al comunismo, visto che l’ideologia richiedeva la rinuncia alla fede per seguire l’ateismo. E solo per questo era stato sommariamente condannato a 20 anni di carcere ed inviato immediatamente in una solitaria da dove udiva ogni giorno il passaggio del plotone che accompagnava i condannati alla fucilazione, mentre si udivano i pianti seguiti dai colpi di fucile.

Ma il suo dramma non finisce qui, da una solitaria passa all’altra, dove denudato trascorre le notti al freddo e di giorno in un soffocante caldo torrido, dormendo sul pavimento sporco. Ad un certo punto, dopo un paio di anni, uscito dalla solitaria, ed insieme ad altri due compagni e con l’aiuto di altri prigionieri, riescono ad organizzare un complesso stratagemma e di notte evadono per prendere il largo su di un’imbarcazione amica; ma qualcosa non aveva funzionato ed il contatto della fidanzata di Valladares manca all’appuntamento e così dopo un paio di giorni vengono catturati in mezzo ad una palude; per loro fortuna da un rarissimo ufficiale che, al momento, eviterà che si facesse loro del male. Ma il male non tarderà verrà dopo, in dosi più elevate, nelle solitarie, fino ad essere privati della luce, dell’acqua, per far perdere loro ogni nozione del tempo; anche i pasti sono forniti a qualsiasi orario per confonderli e per ulteriore punizione, dall’alto delle celle ricevono getti di escrementi. Naturalmente, si ammalano, e le cure tardano di proposito; i loro corpi, ormai si riducono a scheletri coperti dalla magra pelle.

Ad un certo punto, sono forzati ad indossare le tute azzurre riservate ai delinquenti comuni, mentre loro ritenendosi prigionieri politici le rifiutano, per difendere la propria dignità, preferiscono piuttosto il disagio di rimanere nudi. Poi, vengono forzati ad aderire ai programmi di riabilitazione comunista, ma Valladares resiste e non si lascia piegare, dovendo sopportare anche le continue e ripetute percosse con fili elettrici, calci e quant’altro che lacerano quel poco di tessuto che copre ancora le sue ossa.

Poi, grazie alla misericordia di qualcuno riesce a far giungere queste descrizioni alla famiglia che coinvolge amici anche all’estero che poi si rivolgono ad organizzazioni umanitarie. Allora, viene trasferito da un campo di concentramento all’altro, ai lavori forzati dove ai prigionieri politici si riservono le eterne percosse anche per scarsa produzione. In fine, conosce una giovane guardia religiosa che si commuove; allora, riesce a scrivere lettere e poesie che giungono fino alle associazioni degli scrittori fino in Svezia, da dove la pressione su Castro si fa ogni volta più forte. Torna alle solitarie per punizione, non ha più niente su cui scrivere; allora, ricorre a schegge di legno e scrive messaggi con il proprio sangue su bucce di cipolle; lo scandalo assume proporzione ogni volta più imbarazzanti per Castro e scrittori e personalità politiche s’interessano direttamente al suo caso.

Ma la reazione delle autorità, peggiora la sua situazione: il cinismo e la crudeltà non hanno fine; con trattamenti che se oggi in un qualsiasi Paese civilizzato, si riservassero ad un semplice cane randagio, si rischierebbe la galera, a Cuba, invece ai prigionieri politici si può di tutto. Specialmente a coloro che resistevano alle minacce quando si cercava d’imporre che abiurasse alla fede e si convertisse al Marxismo; alcuni compagni cedono, mentre lui si ostina. Invocando l’aiuto di Dio, pregava, per riuscire a resistere ed a più riprese, ricorre allo sciopero della fame, rischiando più volte la propria fine, ma ormai i giornali perfino in Europa ne parlavano e Castro non si poteva permettere che una vittima così famosa morisse, mentre lui non rinunciava alla propria fede, deciso a rifiutare il collettivismo, subiva con rassegnazione ogni genere di sevizie ed umiliazioni inimmaginabili; lo confortava anche un giovane prete compagno di prigionia e si rifugiava nella preghiera, spesso invocando addirittura la propria morte.

Ma il suo caso ormai era diventato pubblico e perfino diversi governanti richiedevano che fosse visitato da commissioni mediche indipendenti e che finalmente fosse liberato; ma in quelle miserabili condizioni non potevano permettere che fosse esposto; così, viene trasferito in una specie di carcere clinica, totalmente isolato, dove finalmente riceve assistenza medica ed un’alimentazione che da oltre due decenni non aveva più conosciuto ed una volta recuperato il peso, le autorità, in fine, cedono alle pressioni ed accettano di farlo visitare in un ambiente del tutto diverso da quello in cui aveva trascorso oltre vent’anni di sevizie.

Ad ogni buon conto, se per caso qualcuno dovesse ancora nutrire qualsiasi dubbio sulla spietatezza con cui i castristi tenevano ed ancora mantengono i propri sudditi sotto inaudito controllo poliziesco, c’è da consigliare la lettura di queste tragiche 380 pagine di un dolorosissimo riassunto – OLTRE OGNI SPERANZA -, scritto dall’onesto cittadino – Armando Valladares – il quale, dopo essere stato liberato su pressione internazionale, principalmente per iniziativa del presidente socialista francese  François Mitterand,  ha potuto finalmente riepilogare quei 22 anni d’inferno che gli erano stati ingiustamente inflitti dal regime. Non aveva fatto niente di speciale, la sua colpa era ideologica: infatti, una volta instauratosi il regime di Fidel Castro, in qualità di funzionario della banca postale, per il semplice fatto di essersi rifiutato di esporre sulla sua scrivania una targa che esaltava il Comunismo, lo avevano arrestato, processato, condannato, perseguitato e torturato a sangue, frequentemente percosso dai suoi cinici quanto crudeli aguzzini per qualsiasi pretesto, durante tutto il lungo e doloroso periodo di detenzione.

Se le autorità degli enti internazionali tanto sensibili nei confronti di regimi militari di Destra, fossero altrettanto solerti a protestare ed incriminare il regime castrista, e se si potesse fare intervenire davvero una giustizia internazionale ed indipendente, oggi i suoi carnefici dovrebbero essere condotti dinanzi a processo di una corte, in una specie di tribunale di Norimberga – com’era stato fatto con i responsabili dei crimini di guerra nazisti. Infatti, nei metodi, i crudeli persecutori cubani, hanno probabilmente superato perfino gli stessi nazisti.

Per questo, il racconto si legge davvero con un nodo alla gola e con lo stomaco preso, da tanta feroce brutalità i prigionieri politici come lui hanno subito sistematicamente durante anni, senza mai rassegnarsi, senza mai cedere ai ricatti, alle percosse, alle umiliazioni senza fine. Ed è triste dover constatare ci sia ancora chi esalta il regime castrista come se fosse un modello da difendere ed eventualmente emulare; si veda, per esempio, i casi attuali di Venezuela e Nicaragua…