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IL MANIFESTO DI VENTOTENE di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (Recensione)

L’Europa di pochi…

Nato e cresciuto non lontano dai confini del nostro caro Paese, convivendo intimamente con due culture totalmente distinte, comunicando con i parenti in una lingua, praticandone un’altra in famiglia, ho sempre coltivato l’idea che le differenze etniche, linguistiche e di identità – al pari delle differenze genetiche – che ci distinguono, non sono ostacoli capaci di dividerci in confronti antagonistici, bensì particolari caratteristiche che dovrebbero costituire, invece, utili punti d’incontro fra diversi che ci possono, al contrario, unire e che, se proprio non ci completano, almeno, aggiungono reciprocamente valore e, pertanto, nella misura in cui assimiliamo o trasferiamo parte di tali proprietà, ci possono rendere sicuramente più ricchi; infatti, il patrimonio più importante che un individuo – e di riflesso la comunità – possiede è la conoscenza che, in un circolo virtuoso aumenta e valorizza ulteriormente le stesse diversità; è quello che i liberali chiamano “Capitale Umano”.

Infatti, il capitale umano è costituito dalle diverse specifiche qualità che ognuno di noi possiede e non limitate solo alle caratteristiche intrinseche come forza fisica, intelligenza, sagacia, sensibilità, emotività, insomma, temperamento e carattere  o – se vogliamo in aggiunta – aspetto estetico, simpatia ecc., ma anche, se non soprattutto, capacità di assimilare, imparare, intendere, concepire, insegnare, innovare, interloquire, trasmettere e perfino di incrociare caratteristiche genetiche che ci rendono l’organismo più resistente. In sostanza, capacità di superare ostacoli, raggiungere nuovi limiti, potendo ampliare lo sguardo, estendendo anche la nostra limitata visione, oltre le apparenze. E l’insieme può portare a meglio tollerare opinioni e tradizioni distinte, accumulando continuamente nuove nozioni che proporzionano ulteriori opportunità di applicare tale conoscenza alle finalità di progredire e migliorare in multipli aspetti la nostra esistenza, in generale, potendo in particolare, ottimizzare ciò che risulta ancora perfettibile; ovvero, alterare quello che sembra possibile sviluppare ulteriormente, aggiungendo valore e rendendolo più adeguato alle nuove ed inattese necessità generate dalla dinamica realtà, incluso, rendendo più prezioso ciò che altrimenti, avrebbe solo valore primario.

Ebbene, io ho sempre ritenuto che queste diversità rappresentassero autentici valori ed oggi, dopo aver potuto girare buona parte di questo nostro meraviglioso mondo, dopo aver conosciuto ed interagito con Popoli ed individui così eterogenei, mi sento di poter non solo rifiutare categoricamente la controversa idea della distinzione razziale, ma considero perfino il concetto dello “scontro di civiltà”, del razzista americano Samuel Huntington, semplicemente equivoco e riduttivo, frutto di grotteschi preconcetti. Certo, non si possono o negare certi conflitti che si originano fra culture e costumi piuttosto contrastanti, in seguito all’incomprensione, ma se si accetta il mutuo raffronto senza irrigidirsi, possiamo sempre tentare di raggiungere un costruttivo ed equilibrato consenso. Nessuno è depositario di verità assolute e rivelate; è naturale che ogni Popolo, vivendo in ambienti specifici sviluppi interpretazioni, soluzioni, abiti, tradizioni e costumi particolari, così come ricorre ad accenti, termini e perfino linguaggi propri. Ovviamente, per una serena e pacifica convivenza è assolutamente necessario che le parti, nel rispetto reciproco, accettino che dove iniziano la libertà ed i diritti degli uni, finiscono pure i diritti e le libertà degli altri.

Perciò, in tali circostanze, avendo sempre considerato le diversità un bene concreto fin dalla gioventù e credendo con consolidata convinzione nell’utilità del libero scambio, immaginavo che sarebbe stato possibile vivere in un modello politico federativo, dove le distinte ricchezze dei Popoli sommate, formando e godendo insieme vantaggi proporzionati da una specie di consorzio in cui l’enorme patrimonio spontaneo della conoscenza – capitale umano compreso – potessero essere distribuiti equamente, secondo il merito dei singoli, senza escludere una equa solidarietà nei confronti di coloro che, non essendo dotati di tutte le normali facoltà fisiche e psichiche, hanno reale bisogno dell’ausilio di chi invece le possiede. Dunque, iniziate le note trattative fra i primi sei membri che formeranno ciò che diverrà la Comunità Economica Europea, l’idea mi aveva immediatamente entusiasmato; infatti, così come oggi mi considero cittadino del mondo, allora mi ritenevo già un autentico europeista, illudendomi tuttavia, che si sarebbe realizzato un vero federalismo e non ancora familiarizzato con il “Manifesto” di Spinelli, pensavo al sistema elvetico, a suo tempo idealizzato dall’eminente liberale Carlo Cattaneo.

Purtroppo, il tempo ci dimostrerà ancora una volta che in mano ai nostri soliti ambigui politicanti sinistroidi, bravi a sfruttare qualsiasi opportunità per trarne vantaggio, le buone intenzioni iniziali si convertivano in una deleteria “Unione Eurocratica”, dove tutto, nelle mani di un’autentica oligarchia, a proprio insindacabile criterio, viene controllato sui dettami di gente che sembra non aver altro da fare che inventare ostacoli, emettendo ed imponendo norme, fissa limiti ed escogita precetti che sovente rasentano il ridicolo. Infatti, ormai, sembra prevalere la tendenza pianificatrice socialista, dove si pretende elevare paletti e regolamentare tutto, introducendo sempre nuove direttive, improvvisando ostacoli alle libere iniziative, con l’equivoco pretesto di creare una  presunta maggiore giustizia sociale, ma che di fatto, tende a privilegiare principalmente i propri accoliti. Allora, si intromettono faccende estranee alle loro legittime prerogative ed intervengono con prepotenza un po’ in tutti i settori, credendo di poter rendere tutti i diversi sempre più simili. Ma come osservava un esimio economista – ex seminarista – brasiliano Roberto Campos, criticando una certa Chiesa di fede collettivista: “Se Dio avesse davvero voluto che fossimo tutti uguali, ci avrebbe già pensato Lui stesso“… Così, i prepotenti di turno, insieme alle loro compiacenti appendici burocratiche, emanano disposizioni per produrre cioccolato senza cacao; formaggio senza latte in stato naturale; impongono addirittura come tagliare le fette del salame e fra un po’ non ci si dovrebbe meravigliare se dovessero stabilire di uniformare perfino i formati dei preservativi, seguendo i criteri degli “euocrati” di turno, del tutto indifferenti alle diverse tradizioni regionali che costituiscono le culture delle distinte comunità locali. Infatti, con la pretesa di condizionare ogni costume delle diverse zone geografiche, pretendono di renderci sempre più simili e meno distinguibili nell’ambito di quella che costituisce una vera ricchezza: la nostra storica, utile, opportuna e naturale diversità. Ed ecco che queste perverse imposizioni, ora, rischiano di minare il progetto che gli ideatori avevano in mente, ossia, quello di creare un mondo libero dai pericoli di guerre e costituire inizialmente una più armonica integrazione fra i diversi, partendo dall’Europa, da estendere poi ai restanti Continenti.

Concluso il presente, forse troppo prolisso prologo, in questo contesto, è quasi superfluo definire come si presentano oltremodo utili ed attuali i pedagogici testi elaborati da tre personaggi che nel 1941 arrestati e confinati sull’isola di Ventotene dal regime fascista, elaboravano IL MANIFESTO DI VENTOTENE, in cui principalmente Altiero Spinelli, con l’importante contributo di Ernesto Rossi e l’opportuna revisione di Eugenio Colorni, qui in questa edizione, completata da un’ aggiunta di Lucio Levi – che mette in evidenza il grande merito di Spinelli per aver idealizzato ed aver saputo mettere nero su bianco -, la composizione dell’abbozzo di come dovrebbe essere concepito l’ideale di un’autentica Unione Federativa d’Europa: un’Europa non tanto delle Nazioni, ma piuttosto delle comunità che  democraticamente si uniscono in un consorzio per poter fomentare la pace e praticare in piena libertà lo scambio e la circolazione di idee, di beni e delle persone per uno stabile ritorno alla durevole pacifica convivenza, cominciando dai Popoli del nostro Continente, per includere poi tutti i Popoli del Pianeta.

Oggi, ciò che si constata, invece, è che questi nobili ideali sono già stati traditi e sequestrati da autentiche caste e corporazioni parassitarie che agiscono, legiferando piuttosto in causa propria. Ormai, purtroppo, possiamo osservare come esse fanno prevalere gli interessi ed aspirazioni delle diverse collettività, ed imponendo sacrifici ad alcuni, favoriscono particolari Paesi, i propri partiti e le rispettive aggregate burocratiche. Ed ecco che perorano a favore di corporativismi di ogni origine e specie, imponendo addirittura vantaggi di specifiche varietà e categorie, soprattutto di natura economica, a favore di particolari entità e settori, ma inevitabilmente in detrimento delle prerogative di altrettanti consorziati: singoli individui e le loro comunità, sia all’interno dell’Unione, ma principalmente a scapito di Paesi al suo esterno. Così, con l’istituzione di ingiusti dazi da una parte e di altrettanti sleali sussidi dall’altra, come – per esempio – quelli destinati all’agricoltura con cui si discriminano, in maniera tanto palese quanto subdola, Popoli dei Paesi vicini che sovente avrebbero ben maggiore vocazione alla coltivazione di colture o di determinati allevamenti con i rispettivi derivati, di quanto possano ambire i pochi agricoltori dei nostri Paesi altamente industrializzati, dove ormai solo un modesto 2% della Popolazione si dedica ancora al ramo agricolo, ma per produrre è mantenuta artificialmente nei campi, ricevendo iniqui vantaggi e sostegni economici, vere sovvenzioni che poi il 98% della collettività restante deve compensare con la penalizzazione di altrettante ingiuste imposte.

E, se non bastasse, con l’assurda interdizione dell’applicazione delle più moderne tecniche di coltivazione come gli OGM, questi indottrinati si aggiudicano le licenze di proibire alla scienza di seguire il proprio corso, sulla semplice base di teorie e di meri pregiudizi di pura matrice dogmatica ed ideologica; e, mentre il resto del mondo procede con le proprie utili sperimentazioni, senza timori di incorrere in errori da corregge se dimostrati dall’empirica esperienza, noi perdiamo importanti posizioni nei campi della ricerca e dello sviluppo. Perciò, per arbitraria scelta dei nostri, siamo indotti a rimanere fermi, adulandoci del nostro romantico ritardo, nella culla delle nostre ostinate ed ottuse poetiche prese di posizione, fortemente blindate dai rispettivi lobbisti ed a loro, si aggregano i puntuali militanti di piantone che esercitano le solite dottrinarie pressioni settarie. Allora, si fondono in una perversa alleanza facinorosi naufraghi del socialismo ed orfani del fallimentare collettivismo, alla disperata ricerca di una utopica rinascita, con la pretesa di imporre quella che l’ex presidente della Repubblica Ceca – Vaclav Klaus –  ha definito nel suo illuminante saggio TERRA PIANETA BLU, NON VERDE l”a nuova religione ecologista”, alla quale ahimè, ormai, perfino il papa Bergoglio in maniera equivoca aderisce, mentre nei suoi viaggi nelle Americhe sembra dimenticarsi di parlare di Gesù, ma non si stanca di sciorinare i suoi confusi quanto impropri discorsi politici, dando gratuiti consigli sull’economia mondiale, invece di occuparsi piuttosto di quella di casa sua.

Orbene, il confino sull’isola di Ventotene ha reso positiva l’evoluzione del pensiero soprattutto di Spinelli, inizialmente di fede marxista, ma di mente aperta per aver trascorso la sua prima infanzia, all’estero, in Sudamerica (Brasile) e per aver sviluppato una visione più ampia e cosmopolita, anche nella sua condizione di poliglotta, libero da certi provincialismi che affettano una buona parte degli Italiani. Ed oggi, è considerato padre fondatore dell’Europa Unita da molti. Eppure, anche lui aveva, inizialmente, militato nel P.C.I. e gli era costata una condanna ad oltre sedici anni di carcere per il suo impegno in attività politiche considerate clandestine dal regime fascista. Scontata buona parte della pena, invece di recuperare la libertà, viene inviato al confino a Ventotene, dove dopo la metà degli anni ‘30 capisce che il regime sovietico di Stalin non era più compatibile con le sue meno settarie concezioni del marxismo. Così, come capiterà più tardi ad autori importanti del calibro del Premio Nobel, Albert Camus, appena rientrato in Francia dall’Unione Sovietica, con la pubblicazione de L’UOMO IN RIVOLTA, per le sue inclinazioni eterodosse, anche i compagni di partito di Spinelli non lo perdoneranno, essendo pure lui “pericolosamente” contrario al concetto di rivoluzione; infatti, era giunto analogamente alla corretta conclusione che, analogamente alla Rivoluzione Francese, la dittatura del proletariato era sfociata nella dittatura del partito e così avverrà la sua espulsione. Nel Comunismo non c’è spazio per le opinioni indipendenti; i compagni, da buoni fedeli discepoli, devono accettare di credere ciecamente nel dogma o non vengono tollerati ed in caso di dissidenza, sono sommariamente emarginati e nella migliore delle ipotesi, condannati all’ostracismo…

Durante l’isolamento a Ventotene, dunque, avrà modo di leggere, anche scritti dell’eminente liberale – futuro Presidente della Repubblica – Luigi Einaudi, mentre, rinnegava con crescente convinzione la sua iniziale fede collettivista, si avvicinava sempre di più al liberale Ernesto Rossi. Ed ecco che nel ’41, i  due insieme, iniziano  la redazione della prima versione del suo progetto federalista, intitolato MANIFESTO PER UN’EUROPA LIBERA E UNITA, con l’apporto di Eugenio Colorni, la cui consorte, Ursula Hirschmann, successivamente, potendo recarsi a Ventotene in libertà – si dice scritto su cartina delle sigarette -, riesce a trafugare il Manifesto all’interno di un pollo, portandolo clandestinamente in terra ferma. Poi, con l’arrivo degli Alleati nel ’43, finalmente anche Spinelli riacquista la sua libertà e fonda il MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO e, dopo che il testo era stato tradotto in diverse lingue, veniva diffuso in Europa attraverso i movimenti di resistenza.

Spinelli sarà pure uno di quei rari Italiani a conoscere i primi scritti del grande pensatore liberale della prestigiosa Scuola Austriaca, Friedrich von August Hayek – purtroppo ancora oggi poco conosciuto in Italia -,  futuro Premio Nobel per l’Economia che, durante quella ammirevole quanto costruttiva gestione, tanto influirà sulle scelte politiche ed economiche realizzate dalla gloriosa Margareth Thatcher. Da una nota del Manifesto, fra l’altro, si apprende come anche l’economista russo Boris Brutzkus aveva ugualmente osservato l’insolubile problema del calcolo dei prezzi in un economia pianificata; e questo, senza conoscere la pubblicazione del famoso saggio che Ludwig von Mises aveva scritto già nel 1922: SOCIALISMO; infatti, in esso, l’importante liberale – ed amico e della stessa Scuola di Hayek – aveva magistralmente spiegato come e perché il collettivismo non avrebbe resistito alla prova dell’economia reale; ed anche Brutzkus concludeva che in un regime chiuso non è possibile calcolare i prezzi giusti, come avviene in un’economia regolata dall’Ordine Spontaneo del Mercato, proprio perché l’economia pianificata, nel tempo, non si sostiene: non potendo prevedere i costi soggetti a mutamenti, condizionati sempre dalla scarsità e dall’abbondanza che, a loro volta, sono requisiti che dipendono dalla richiesta dei singoli individui a cui l’offerta, in un’economia normale, deve sempre adeguarsi “a prescindere”. Ed infatti, una delle più problematiche caratteristiche dei regimi socialisti, è rappresentata dalle inevitabili enormi file di consumatori alla ricerca di prodotti che improvvisamente scarseggiano, proprio perché i sostenitori della pianificazione, nella loro ostinata indifferenza mossi dalla loro prepotenza, non potevano prevedere le aspirazioni dei cittadini ridotti a silenziosa sudditanza. Ed il tempo sarà ben più onesto dei teorici: ecco che nel 1989, con la caduta del Muro della Vergogna di Berlino, alla distanza di quasi settant’anni, la prematura “profezia” di von Mises si avvererà, costituendo l’inevitabile naufragio di quell’utopia.

In conclusione, dunque, oggi che ci confrontiamo con la grave crisi che l’Unione Europea attraversa, forse, la lezione di Spinelli potrebbe essere utile ai nostri distratti politicanti spreconi ed ai rispettivi insensibili, quanto esuberanti “eurocrati” parassitari che con tanta superficialità  ed  assurda ostinazione, in maniera sommaria pretendono di guidare governi interi, inducendo i consumatori ad accettare i propri dettami esigendo da loro docile rassegnazione, come se non avessero il diritto di opinare al riguardo delle proprie lecite preferenze. Così facendo, hanno ridotto l’Unione ad una specie di feudo, subordinando i sovrani cittadini alle controvertibili pretese di pura natura ideologica della casta, se non di stampo corporativista o di semplice conio burocratico, attribuendosi il diritto di ignorare di proposito, in modo consapevole, arbitrario e perverso che nessuna autorità sa meglio degli individui stessi cosa considerano prioritario nel luogo e nel tempo, potendo essi, un giorno fare una determinata scelta ed in funzione di una nuova ed imprevedibile improvvisa, anche pur futile predilezione, potersene pentire il giorno seguente per optare per qualcos’altro.

É quanto questo didattico libretto ci aiuta a capire e sarebbe davvero molto opportuno che coloro che occupano – in molti casi – anche inutilmente le comode poltrone a Bruxelles ed a Strasburgo, nonché, a Roma, Parigi e Berlino, si sforzassero a leggere queste eloquenti pagine. Chissà se ciò non li aiuterebbe – in fine – a cominciare a meditare sugli errori ed i tanti pasticci che in tutti questi ultimi anni sono riusciti a combinare, portando il nobile sogno di Spinelli ad una situazione critica quasi insostenibile che ora richiede urgenti misure correttive della rotta socializzante, nella quale hanno sprecato tanta ricchezza con la discutibile solidarietà istituzionalizzata ed imposta, seguendo criteri quanto meno dubbi, in un’avventura finora intrapresa in maniera assolutamente abusiva ed iniqua.

Un’Europa di pochi, di questo modello, può servire ai loro complici opportunisti, ai conniventi corporativismi, ai consensuali politicanti come agli apatici deleteri burocrati, ma non rende servigi alle diverse comunità; essa non fa altro che nutrire la nostra diffidenza ed a deludere perfino i più sinceri convinti europeisti che amaramente si sentono traditi. Non c’è da sorprendersi, quindi, se il numero degli anti europeisti è in forte crescita.