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L’IMMORALITÀ NO GLOBAL di Enrico Colombatto (Recensione)

Deleterie Contestazioni

In un contesto come quello di oggi, in cui indifesi e perplessi, siamo indotti ad assistere all’invasione dei facinorosi Black-Blocks provenienti da ogni dove e che vengono a manifestare con violenza contro uno dei simboli dello sviluppo e del progresso umano, frutto della globalizzazione ed in particolare contro la manifestazione di un evento che, al contrario, dovrebbe costituire un’opportunità per esaltare ciò che i 140 Paesi rappresentati mostrano all’Esposizione Universale che tutta l’Italia attendeva con il fiato sospeso e che il centro economico del nostro Paese, Milano, finalmente inaugura oggi, mi offre l’occasione di recensire un eccellente saggio che, mai come in questa data sembra così utile ed attuale per spiegare cosa in realtà rappresenta la globalizzazione.

Dunque, in totale contrasto con l’incomprensibile inclinazione di una certa magistratura, più propensa a condannare le forze dell’ordine, piuttosto di giudicare con rigore le intolleranti orde barbare che  incendiano e distruggono con violenza tutto ciò che trovano sulla loro strada, sembra ormai di assicurarne l’impunità, mi sembra opportuno commentare una lettura – anche se non recente – di Enrico Colombatto, uno dei prestigiosi economisti del nostro Paese, accademico presso l’Università di Torino e Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche e Finanziarie dell’International Centre for Economic Reseach e che dedica la sua intelligente critica ai movimenti contrari alla tanto odiata globalizzazione.

A conferma della sua competenza, Colombatto è, inoltre, membro dell’esclusiva MONT PELERIN SOCIETY – forse la più qualificata associazione a difesa del pensiero libero, della proprietà privata, come pure dell’economia di mercato aperto. Fondata nel 1947 dai più importanti economisti e pensatori liberali del secolo scorso – da quelli della Scuola Austriaca a quelli della Scuola di Chicago -, fra i quali Ludwig von Mises che già nel lontano 1922 aveva scritto il famoso saggio SOCIALISMO, in cui spiegava come e perché il modello economico pianificato adottato dai sovietici, non sarebbe stato in grado di sostenersi e che era fatalmente destinato al fallimento. Infatti, quasi profeticamente, aveva anticipato con ben sette decenni, nero su bianco, ciò che avverrà con la caduta del Muro della Vergogna di Berlino, le cui macerie segneranno definitivamente la fine dell’utopia collettivista.

Ebbene, di questa stimata entità faceva parte anche Friedrich von Hayek, il noto antagonista di Keynes l’economista britannico noto per essere fortemente favorevole all’intervento dello Stato nell’economia, quando al contrario Hayek sin dalla conferenza di Bretton Woods, difendeva il mercato libero, al quale più tardi si era ispirata anche Margareth Thatcher con la quale era riuscita a salvare il Regno Unito da una situazione ormai disastrosa generata appunto dall’equivoca politica economica dei laburisti con le loro nazionalizzazioni. Integravano l’associazione pure Milton FriedmanJames BuchananGeorge Stiegler ed  in tutto addirittura ben otto Premi Nobel, oltre ad uno dei più importanti pensatori del nostro tempo: Karl Popper; e non erano mancate altre illustre personalità come presidenti della repubblica, fra i quali il nostro indimenticabile Luigi Einaudi ed il brillante ungherese Klaus Vaclav; il cancelliere tedesco Ludwig Erhard, padre del miracolo economico della Germania liberata ed altri importanti personaggi di rilievo come uno dei più influenti politologi del Dopoguerra, Walter Lippmann; editori come Max Eastman del Reader’s DigestJohn Chamberlain della rivista LIFE e numerosi notabili ai quali verranno affidati ministeri in diversi Paesi dell’Occidente. Dunque, già la frequentazione di un circolo esclusivo di questo livello, dovrebbe bastare per indicare il credito di cui gode questo nostro economista, conferendo a Colombatto prestigio ed autorevolezza a livello internazionale.

Detto questo, passiamo al suo breve saggio ma ricco di contenuto L’IMMORALITA’ NO GLOBAL che certi magistrati farebbero bene a leggere: di un’ottantina di pagine, pubblicato nel 2003 dalla casa editrice Rubbettino – che costituisce già di per sé affidabile riferimento – pur essendo molto conciso, potendo leggerlo in poche ore, ha tuttavia la virtù di esporre con grande maestria, in maniera chiara ed altrettanto sintetica, tutta una serie di argomenti del nostro tempo, le cui ripercussioni hanno influenzato profondamente le economie del nostro Paese, ma anche di tutto il Continente. E così, l’autore punta giustamente l’indice sulle responsabilità di una classe politica che egli, a buon proposito, definisce come eredi dei giacobini, tendenza che è stata fortemente condizionata dalle idee che avevano ispirato la Rivoluzione Francese, evento fino ad oggi ancora esaltato dalle forze politiche di sinistra, nonostante ormai  si possa serenamente concludere che è proprio dalle insurrezioni rivoluzionarie che alla fine dei conti, i rispettivi catastrofici sconvolgimenti sociali che da questi derivano, non solo non sono risultati i progressi che le rivoluzioni pretendevano generare, ma al contrario, hanno condotto proprio ai peggiori regimi totalitari della storia umana.


Non dimentichiamo mai che lo stesso fascismo, tanto condannato dalle sinistre, ha trovato il suo terreno fertile – oltre che l’approvazione della grande maggioranza degli Italiani -, proprio nel disordine generato dalle manifestazioni organizzate dalla più intollerante sinistra indottrinata di allora, della quale ci parla appunto Vilfredo Pareto nel suo TRASFORMAZIONE DELLA DEMOCRAZIA. Ma a conclusioni similari, contro le rivoluzioni, non sono giunti solo storiografi contemporanei come François FuretRichard Pipes e soprattutto un personaggio dichiaratamente di sinistra come Albert Camus che difende la rivolta, ma  condanna la rivoluzione, infatti, già a rivoluzione consumata, lo avevano già messo apertamente in evidenza menti illuminate come Edmund BurkeBenjamin ConstantAlexis de Tocqueville.


Ora che il collettivismo è fallito e non fa più presa, gli orfani del socialismo, i frustrati devoti delusi dalle dottrine egualitarie che non sono state all’altezza delle loro stesse promesse nel perseguimento delle loro finalità, si affidano a nuovi miraggi e cercano una inutile sopravvivenza nei movimenti del nuovo intollerante attivismo, rifugiandosi nella contestazione della nuova dogmatica quanto ambigua religione ecologica, ed opponendosi al modello della produttività e della modernità, credono di poter ricorrere ad ogni metodo violento per contestare la globalizzazione che in fondo tende a trasferire conoscenza, benessere e sviluppo in maniera libera e spontanea anche  verso zone che senza la globalizzazione sarebbero condannate alla miseria.


Ed ecco il risultato: manifestazioni che di democratico non hanno assolutamente niente, anzi; infatti, contestatori in assetto di battaglia urbana, invadono strade e piazze pronti ad affrontarsi in aggressioni con le forze dell’ordine pubblico legalmente costituite, ed a viso coperto, distruggono vetrine ed incendiano vetture senza risparmiare niente che trovano nella loro marcia aggressiva, armati di armi bianche, di pietre, di bottiglie Molotov, estintori che lanciano contro agenti che se reagiscono, poi, rischiano di finire in carcere, mentre i veri aggressori sono scagionati e presentati come vittime. Invece, questi fanatici irresponsabili non conoscono limiti e si lanciano in inutili attacchi contro i simboli del nostro benessere scaricando la loro barbara fobica rabbia nei confronti del progresso che trova il suo miglior sviluppo proprio nella globalizzazione. Non per niente la globalizzazione è un ordine spontaneo che oltre a fomentare il libero scambio, la libera circolazione delle idee, dei beni, facilita anche  una maggiore libertà di scelta agli individui, che in questo modo possono aspirare  alle proprie preferenze, senza doversi assoggettare agli obsoleti proclami degli aspiranti profeti del pessimismo, sempre puntuali nel proporre le loro utopiche teoriche tesi, promettendo un avvenire migliore in un domani eternamente rimandato ad un ipotetico futuro che non giunge mai.


Ecco una più che opportuna osservazione dell’autore: Eppure, questi stessi attivisti, non rinunciano ai beni di consumo che la stessa globalizzazione proporziona e rende accessibili non solo alle classi privilegiate, ma anche a quelle dai redditi più bassi.
Del resto, non si capisce bene nemmeno a quale altro ipotetico sistema si vorrebbero ispirare, dal momento che l’economia pianificata si è palesemente dimostrata incapace a soddisfare le aspirazioni e le preferenze degli individui; non per niente  Colombatto sostiene: Il consumatore in un’economia globalizzata avrà dunque un doppio beneficio: quello proprio dei prezzi concorrenziali e quello del progresso tecnologico, che consente di acquistare nuove tipologie di beni e/o beni noti a prezzi inferiori, in virtù di modalità produttive innovative.

E le contestazioni da parte degli attivisti ecologisti si giustificano ancora meno quando sono rivolte alla modernizzazione della produzione agricola; infatti, è grazie alla globalizzazione delle moderne tecniche di coltivazione che Paesi che fino a qualche anno fa erano soggetti ai capricci delle condizioni meteorologiche, mentre oggi dispongono di varietà più resistenti alla siccità, più produttive sviluppate grazie all’impegno di ricercatori come Norman Borlaug Premio Nobel per la Pace che questo sì, ha realizzato con immenso successo, un’autentica quanto utile rivoluzione, quella che poi verrà definita  come la più opportuna Rivoluzione Verde, una rivoluzione che egli ha introdotto giustamente in Paesi del terzo mondo; generando un progresso che assicurerà gli alimenti non solo da noi agli individui che ormai tendono a vivere il doppio di quanto vivevano in nostri bisnonni, ma proprio ai più poveri di quelle Nazioni che vivono ancora una significativa espansione demografica, mentre nei Paesi sviluppati,nella misura in cui  aumenta la longevità, diminuiscono pure le nascite.

In conclusione, i benefici della globalizzazione sono descritti dall’autore in poche pagine in maniera magistrale, chiara e semplice e, pur non potendo illudermi che gli attivisti violenti facinorosi dedichino il loro tempo all’utile letture del saggio, sarebbe oltremodo opportuno che proprio quei magistrati sinistramente orientati, molto tolleranti con queste orde, potessero documentarsi meglio sull’argomento, affinché, in avvenire possano meglio giudicare chi sta dalla parte della ragione e di chi difende gli onesti cittadini che circolano a viso scoperto e che alla fine sono vittime di chi sta dalla parte del torto e che agisce nell’illegalità attribuendosi il diritto di danneggiare la proprietà altrui, come autentici nemici della collettività, con il pretesto di opporsi allo sviluppo, all’innovazione ed al progresso, di cui loro stessi godono i benefici.