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LA VIRTÙ DELL’EGOISMO di Ayn Rand (Recensione)

La scrittrice Alisa Zinov’evna Rozenbaum, nata russa a San Pietroburgo ai tempi del primo tentativo di rovesciare con la prima rivoluzione russa l’obsoleta monarchia zarista, nella città che poi sarà ribattezzata con il nome di Leningrado, durante il regime dell’allora Unione Sovietica. Figlia di farmacisti ebrei non praticanti, di inclinazione socialista, fin da bambina viene iniziata dalla madre alla lettura dei classici russi e francesi. Quindi, studia Storia e Filosofia per proseguire gli studi dell’arte cinematografica. Poi, dopo aver ottenuto un visto per un breve soggiorno negli Stati Uniti, decide di rimanere nel presunto inferno del cosiddetto “capitalismo”, dove si rivela il suo grande talento ed ottiene, finalmente, grande notorietà come grande libertaria sotto il nome d’arte di Ayn Rand, anche per evitare che i genitori – già espropriati della farmacia dai bolscevichi -, potessero subire ulteriori persecuzioni.

L’autrice naturalizzata americana, dunque, dopo aver lavorato anche come comparsa nell’ambiente cinematografico di Hollywood, inizia a scrivere romanzi come ANATHEM (Antifona), carica di critica al collettivismo che a quei tempi piaceva pure a Franklin Delano Roosevelt, già simpatizzante di MussoliniHitler ed ammiratore perfino di Stalin. In questi ambienti il tema non sfonda; dovrà aspettare la pubblicazione in Inghilterra per, in fine, diventare famosissima in America ed in tutto il mondo per le sue particolari idee libertarie.

Ed il successo non tarderà principalmente  per le diverse opere filosofiche, due delle quali anche come successi cinematografici, soprattutto con FOUNTAINHEAD (La Fonte Meravigliosa) – film di King Vidor con l’indimenticabile Gary CooperATLAS SHRUGGED (L’Atlantide. La Rivolta di Atlante) si rivelerà perfino come uno dei romanzi di maggior successo di tutti i tempi. E così, con il tempo, diventerà un personaggio oltremodo noto ed apprezzato fra i liberali di tutto il mondo, trasformandosi in una vera icona dei movimenti libertari; ma, purtroppo, stranamente, ancora poco conosciuta in Italia.

In totale controcorrente per le concezioni del senso comune nostrano, l’autrice non esita a difendere ed esaltare l’idea dell’egoismo, considerato non come vizio o peccato, bensì come autentica virtù; come fonte di progresso, di merito, di realizzazione e di responsabilità individuale. Non  per caso il suo famoso saggio filosofico dal titolo LA VIRTÙ DELL’EGOISMO da noi non lega; infatti, si scontra con il pensiero dominate della nostra concezione religiosa. Perciò, non deve sorprendere il fatto che nel nostro Paese, non ottenga la stessa celebrità; infatti, in un paese cattolico come il nostro, un titolo del genere, dove la solidarietà – di preferenza istituzionalizzata -, rievoca solo sentimenti contrari e non può fare altro che scandalizzare, perché da noi l’egoismo è concepito come diretto ed unico interesse particolare dell’individuo e di riflesso in conflitto  con gli interessi collettivi.

Eppure, chi legge le bellissime ed eloquenti pagine rivelatrici di questa illuminante lettura, non avrà molta difficoltà di capire la logica di quanto vi si afferma. Certo, per noi Italiani, forse, non sarà tanto facile, perché siamo educati ed allenati a pensare alla virtuosa solidarietà, per cui buoni possono essere solo gli altruisti, e cattivi sarebbero gli incurabili egoisti, indifferenti; anche se poi, di fatto, nella nostra caratteristica, che più ci distingue, c’è pure una più che accentuata vanità che, in ultima analisi, non è altro che il frutto di una forma in cui, in ciascuno di noi, si cela l’egoismo più infantile. Ed ecco che uno degli stereotipi più ammessi da noi stessi, è proprio quello della vanità, da cui il nostro esibizionismo, la teatralità che sovente assume aspetti talmente puerili che tanto si prestano agli ironici commentari degli stranieri che ci osservano.

Naturalmente, noi Italiani, abbiamo molte virtù, ma siccome – diciamo pure – che  l’ “Onnipotente” è anche saggio e non dà tutto a pochi, ma  distribuisce abbastanza equamente tanto il bene quanto il male; così, la nostra creatività, la versatilità, quella nostra famosa e straordinaria capacità di improvvisare e di arrangiarci, la fantasia o la genialità – tutte caratteristiche del nostro individualismo anarchico –  sono compensate, da altrettanti vizi; e non solo quello della vanità, ma anche il nostro provincialismo, l’egocentrismo, la convinzione di essere migliori di tanti altri; tutte caratteristiche oriunde da un certo mammismo che, in parte, derivano proprio dal modo come siamo allevati dalle nostre eccessivamente attente e dedicate mamme; ed a questo si potrebbero dedicare moltissime pagine…

Ebbene, anche l’altruismo non è altro che  il lato meno evidente dello stesso egoismo; l’individuo si rivela generoso, solidale ed altruista, anche – se non in primo luogo -, per soddisfare il proprio ego, per sentirsi  intimamente  contento ed altre volte per mostrarsi più buono degli altri. Certo, nella disgrazia e nelle catastrofi sappiamo mostrarci dei veri campioni di generosità e di solidarietà, ciò che ci fa onore. Tuttavia, a prescindere dalle situazioni di emergenza, il nostro senso civico, di solito, finisce piuttosto sulla soglia di casa nostra e si estende al massimo al “clan” della parentela. In fondo, siamo un Popolo tanto egoista quanto individualista e piuttosto egocentrico, superficiale, certamente egotista, sempre pronto all’autocompiacimento ed alla commiserazione; bravi ad esaltare le nostre particolari qualità; la nostra superiorità a scapito dell’inferiorità altrui, a confronto delle nostre doti culturali, gastronomiche, i nostri eccelsi doni per il buon gusto e così via. Ah, e la nostra storia, la grandezza ereditata che abbiamo storicamente alle spalle, ma per la quale, di fatto, non abbiamo alcun merito.

E questi vizi ce li descrive bene anche il grande liberale e Premio Nobel per la letteratura messicano Octavio Paz nel suo bellissimo saggio EL OGRO FILANTROPICO (Il Mostro Filantropico), in cui spiega come anche i suoi conterranei, vivono fin troppo del passato, con lo sguardo volto all’indietro, sovente incapaci di interpretare oggettivamente la realtà presente ed in difficoltà ad allungare lo sguardo all’avvenire.

Non per niente, nelle nostre scuole, invece, di spiegare l’importanza dell’egoismo, s’insiste moltissimo ed in modo ambiguo, sul tema della solidarietà – quella coercitiva, per intendersi – e tutti coloro che difendono apertamente l’individualismo come i liberali, sono subito tacciati come elementi associali, accusati d’indifferenza, insensibilità; egoisti, inetti ad assimilare interessi comunitari. Tuttavia, per noi individualisti confessi, la solidarietà non è tale se non è espressa in modo del tutto spontaneo. Nella concezione di sinistra, al contrario, il principio di solidarietà è un tabù quasi sacro. Attributo del potere pubblico, dello Stato paternalista al quale si delega la responsabilità di organizzare la solidarietà istituzionalizzata, tende a liberare gli individui dalle loro responsabilità. Perciò, è all’autorità ed al potere costituito che si delega quello che è un dovere individuale; così il sistema provvede e promuove una equivoca ed artificiale solidarietà coercitiva in vece degli individui, presumibilmente meno capaci o scarsamente abilitati. Ed i risultati sono più che noti: indifferenza, diffidenza, scarso senso civico, indisciplina, mancanza di responsabilità individuale

Questo modo di pensare, tradizionalmente stimolato dalla sinistra egualitaria, ancora una volta, insegna a Credere per vedere, quando sarebbe ben più corretto e pragmatico incentivare la gente a Vedere per credere. Si tratta di un ambiguo paradigma che il socialismo ha difeso con tenacia e, spesso anche con violenta induzione, con il negativo risultato della deformazione del nostro stesso modo di concepire la realtà, stimolandoci a confondere mere teorie per la reale concretezza. Ed ecco che le teorie si sostituiscono alla concreta realtà.

La genesi di questa percezione ha radici arcane; così, siamo un po’ tutti vittime di un sistema cristiano male interpretato, condizionato da forte superstizione, da altrettanto pessimismo e da una diffusa invidia: ed allora, lavorare non è un’opportunità, ma è un castigo; lucrare non è un merito, ma un peccato ed essere egoista un’autentica colpa tipica dei ricchi. Secondo tale criterio, dovremmo rassegnarci a conservarci umili, accettare ciò che ci riservano le non sempre favorevoli circostanze per attendere il premio in un fittizio avvenire, magari in Paradiso. Perciò ci sfugge che l’egoismo è un meccanismo positivo, un bene naturale, una necessità biologica, senza la quale l’essere umano non avrebbe mai seguito il continuo processo evolutivo che ci ha condotti fino all’odierna modernità.

Secondo questo criterio, abbracciato anche da uno dei precursori del Socialismo, Rousseau, gli esseri umani inizialmente erano buoni e la società li ha resi malvagi; è il grottesco mito del “buon selvaggio”, mentre, la realtà ci insegna proprio l’opposto, ossia, che i selvaggi erano tali e il tempo, li ha resi sempre più umani e sempre più responsabili. Infatti, nella misura in cui imparano attraverso l’esperienza, accumulano nozioni – la conoscenza è il patrimonio più importante che si possa accumulare -, correggono le rotte, migliorano la propria condizione, perfezionando il proprio senso di responsabilità. Pertanto, se essere irresponsabili dovesse corrispondere ad essere felici, secondo chi la pensa in questo modo, dovremmo anche tornare alla vita “naturale” dei cacciatori e dei raccoglitori, accontentandoci di vivere poco meno di tre decenni, soggetti ad ogni pericolo ed incurabile malattia, mentre oggi non è più raro raggiungere cent’anni.

Il progresso, non si produce da solo; nasce dall’iniziativa dei singoli individui insoddisfatti che rompono vecchi paradigmi per stabilirne di nuovi. Mossi, dal timore, dalla fame, dall’incognita, dai dubbi, dalla curiosità, agiamo nel nostro particolare interesse e senza rendercene conto, facciamo agire quella che il grande economista scozzese Adam Smith – otre due secoli fa – ha definito mano invisibile. Infatti, nel suo famoso trattato  RICERCA SULLA NATURA, E LE CAGIONI DELLA RICCHEZZA DELLE NAZIONI descrive come ”Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio… che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del loro interesse…” Ed è loro intrinseco interesse quello di soddisfarci per poter continuare a godere della nostra fiducia e rispettiva preferenza – ed altri direbbero -, potendo continuare a ”sfruttare” le nostre necessità ed aspirazioni.

Ed infatti, non si può dimenticare che l’egoismo è una potente e naturale risorsa biologica che genera reazioni utili a proteggerci da avversità, da imprevisti, grazie alla paura ed alle incertezze. L’egoismo, dunque, non è altro che, un’arma di difesa che la chimica biologica del motore del nostro organismo sviluppa; e produce uno di più importanti elementi della nostra esistenza: la prudenza, senza la quale l’essere umano sarebbe del tutto irresponsabile e non avrebbe mai subito il benefico effetto dell’evoluzione. È l’istinto di sopravvivenza che ci ha predisposti anche della paura che a qualsiasi spavento ci fa sentire un brivido, provocando la pelle d’oca. il fenomeno ce lo spiega il neuro scienziato americano, Joseph LeDoux; in caso di spavento, l’organismo reagisce e richiama il sangue sotto la pelle per concentrarlo nei muscoli dove fornire la necessaria energia di reazione dinanzi all’improvviso pericolo. Inoltre, come completa l’autrice Barbara di Salvo nel suo saggio IN DIFESA DELL’EGOISMO, l’opposto di egoismo non è altruismo bensì autolesionismo e conferma che senza l’egoismo non ci sarebbe stato il progresso. Infatti, il progresso non è solo conservazione è, prima di tutto, accumulo e reazione; quindi, non è un processo statico, ma di movimento, di continuo cambiamento, un insieme di mutazioni.

Proprio per questo motivo le società del benessere, dove gli individui cessano di sentire fame, dove la sicurezza è garantita, ed una volta raggiunto un elevato grado di soddisfazione e d’indipendenza, privi di desideri, tendono fatalmente al declino, per arrendersi al nichilismo, mentre le società povere e sottosviluppate, progrediscono spinte dalla forza delle necessità e dalla speranza. Le tesi socialiste, invece, hanno la pretesa di creare la società priva di necessità, dove nessuno non ha più bisogno di temere perché protette dal sistema che si arroga ogni dovere, assicurando a tutti ogni bene necessario, dove l’individuo non ha più bisogno di preoccuparsi di agire, di mettersi alla prova, di occuparsi e preoccuparsi del suo domani che, tuttavia, non appartiene alla comunità, ma all’individuo stesso, il quale deve sentire il bisogno di curare se stesso, zelando per le proprie prerogative, senza lasciarsi espropriare le legittime libertà e senza rinunciare alle proprie scelte.

I socialisti hanno appunto questa pretesa di produrre una presunta, ma assolutamente utopica società felice; ma è una semplice illusione: l’individuo non è un bovino che si possa accontentare di pascolare nella natura; è un soggetto che prospetta il proprio presente verso il futuro; è previdente; dispone dell’immaginazione e diffida di ciò che gli può sembrare dubbio, ma lo ossa eventualmente ingannare; è guidato dai dubbi piuttosto che dalle certezze. Del resto, nella misura che saliamo la scala del progresso, tendiamo a guardare avanti, oltre le apparenze e creiamo nuove mete, nuovi desideri e bisogni,  per cui, la felicità non si realizza, ad esse si aspira, sotto l’impulso della speranza, cercando di realizzare e portare a termine i limiti delle proprie capacità, proprio per poter conoscere la propria dimensione nello spazio nel tempo.

Il Mercato libero – e non l’autorità – è ciò che meglio permette all’individuo di realizzarsi; esso non è un ordine coercitivo, ma come apprendiamo da pensatori moderni come Ludwig von Mises, colui che, con il saggio SOCIALISMO ha saputo prevedere, già nel 1922, come e perché, il collettivismo non si sarebbe sostenuto, insegna appunto che il Mercato è un Ordine Spontaneo, dove ogni individuo può interagire con il prossimo e fare le proprie scelte, potendo anche pentirsi e modificare a qualsiasi momento, le proprie aspirazioni, senza necessariamente cedere a terzi od altre entità, grande parte delle proprie libertà che gli impostori sono sempre pronti a confiscare, in cambio di licenze o permessi, pur di illusoriamente liberarsi dalle proprie intrasferibili responsabilità. E ce lo conferma pure l’economista Paul Ormerod nel suo interessante saggio L’ECONOMIA DELLA FARFALLA dove spiega come la farfalla si posa sul fiore che le capita a caso, senza che qualcuno la induca a fare scelte coercitive…

Se fosse per il Socialismo, non saremmo di certo qui a comunicare in tempo reale da un continente all’altro, navigando per i motori di internet accedendo a conoscenze che nemmeno scienziati dell’antichità conoscevano. Al contrario, saremmo tutti schiavi di superstizioni, a coltivare un umile orticello o ad aspettare che qualcuno ci riempisse la marmitta del poco alimento che un dato potere centrale non sarà mai in grado di generare, dove nessuno potrebbe reclamare della qualità e della porzione concessa. Era così in Unione Sovietica ed in Cina e lo è ancora oggi a Cuba ed in Venezuela. Invece, così come l’egoismo, anche l’ambizione ha la sua funzione creativa; infatti, non è l’organo che fa la funzione, bensì, la funzione che sviluppa l’organo, senza la quale ce ne staremmo tutti ad aspettare che la vita concludesse il proprio ciclo, senza ambire ad una minima condizione migliore; senza la libertà di poter soddisfare le nostre curiosità, seppur con la possibilità di sbagliare, certo, ma anche di imparare dagli errori stessi.

Questa, pertanto, è una lettura che costituisce una preziosa lezione, oltremodo utile, proprio perché aiuta a capire la nostra vera natura, l’indole umana; l’essenza e le origini delle motivazioni che inducono gli individui all’azione. Se il Socialismo fosse in grado di rendere gli individui felici, milioni di Cubani non sarebbero fuggiti in Florida, rischiando di finire nelle fauci degli squali per liberarsi dalla tirannia di Fidel Castro mentre agli altri si impedisce di circolare liberamente in Patria; altri milioni ancora, proprio oggi, non scenderebbero per le strade, affollando le piazze per liberarsi della paranoia di Maduro e dalle imposizioni del cosiddetto Socialismo del XXI Secolo – cosiddetto “bolivariano” – dove non solo non esiste più libertà, ma ormai manca di tutto, nonostante il Venezuela sia una Nazione oltremodo ricca, ma pessimamente amministrata da gente che si attribuisce il diritto di sostituire la libertà altrui con il proprio arbitrio.

Anche perché la grande risorsa del nostro Pianeta non è costituita dalle risorse naturali, bensì dalle risorse umane – la conoscenza in primo luogo -, ossia, dal Capitale Umano che è la capacità di capire, come generare nuova ricchezza, trasformando risorse naturali elementari e servizi basici in soluzioni innovative di valore aggiunto. il grande errore di chi difende le tesi dell’eguaglianza – concetto banale – è di non capire che siamo tutti diversi e tutti abbiamo sensibilità, esperienze, inclinazioni, ambizioni, preferenze particolari e distinte. Ed i socialisti fanno, da sempre, un ulteriore errore fatale: quello di considerare la ricchezza come una torta finita; sostengono che chi ha di più lo ha scapito di chi ha meno. È falso: in primo luogo c’è chi aspira ad avere, mentre altri preferiscono di essere; pertanto, già qui si osservano distinte ambizioni; poi, non è assolutamente vero che la ricchezza sia una torta finita; essa cambia di valore nel tempo e nello spazio, a seconda delle innumerevoli aspirazioni dell’insieme, della somma degli individui, dove la ricchezza cresce in funzione del valore aggiunto che il Capitale Umano – grazie all’accumulo di conoscenza – sa aggiungere alle risorse naturali ed alle idee innovative.

Il grande teorico collettivista tedesco Marx, responsabile per aver battezzato l’Ordine Spontaneo del Mercato con l’appellativo dispregiativo di “Capitalismo“, si è dimostrato pessimo profeta, su diversi fronti, come  il più illuminato osservatore – Popper – spiegherà ne LA SOCIETÀ APERTA ED I SUOI NEMICIMarx, acciecato dalle sue ingenue certezze,  non avendo saputo prevedere i meccanismi economici spontanei che non possono essere previsti né controllati, specialmente a lungo termine, ha scommesso male. Perciò oggi, forse, si farebbe guidare piuttosto dai dubbi se potesse tornare a vivere, o si dovrebbe nascondere dalla vergogna; tutto ciò che aveva immaginato e sostenuto, non si è avverato, ingannato dalla sua equivoca fede nell’equivoco storicismo.

La modernità ha confutato le tesi di molti dilettanti chiaroveggenti, una delle quali quella del valore intrinseco del lavoro. Infatti, quel lavoro improduttivo e che genera beni e servizi che gli individui non approvano, ha immensamente meno valore del lavoro che produce generi e servizi rari ed innovativi. I cosiddetti sacerdoti delle certezze, aspiranti profeti del XCIII secolo, come Malthus, avrebbero dovuto seguire l’aforisma del quasi coetaneo Goethe – col sapere cresce il dubbio… -; ed ecco che inciampano con frequenza nelle loro certezze, negli inutili e deleteri quanto stravaganti tentativi di indovinare e predire il futuro e sono puntualmente sconfessati dai fatti, proprio perché la conoscenza è infinita e non ha fine. Affidarsi ai dubbi, quindi, stimola la diffidenza che, a sua volta, fomenta la prudenza.

Perciò, scartando le certezze, possiamo concludere che non possiamo affidarci al fatto che esista un unico giorno uguale all’altro, come non esistono due individui identici, già per il numero di cellule che li compongono; infatti, ciò che vale per uno, ragionevolmente, può non valere per l’altro, ciò che vale molto  oggi, il giorno seguente, può non valere niente e viceversa… Infatti, il grande liberale Hayek spiega bene come con mezzi identici o similari è possibile ottenere risultati distinti, così come con mezzi distinti è possibile ottenere risultati similari od identici. Noi non abbiamo accesso al tutta l’autentica comprensione della realtà; sappiamo solo interpretare ciò che più ci sensibilizza in un dato momento e luogo.

Certi politici e non pochi teologi, nonché tutta una miriade di ingenui idealisti di piantone, sorte di cartomanti fallimentari, sempre pronti ad imporre i propri dogmi, sembrano dimenticare questi piccoli ma fondamentali dettagli. Proprio a loro può essere consigliata questa oltremodo utile e pedagogica, quanto straordinaria lettura.