La paura dei miracoli asiatici

Opero con i Cinesi – ma anche con gli Indiani – da oltre un decennio. Ho visto le loro tristi città invase da mendicanti, da vecchie biciclette e da vacche rachitiche che mangiavano ed in parte mangiano ancora i rifiuti anche di carta e di plastica per le strade. Sono felice di apprendere che in Cina oggi ci sono oltre dieci milioni di multimilionari; sono felice di sapere che gli Indiani hanno i migliori ingegneri e fra i migliori medici al mondo e che nessuno li batte più sull’informatica. Sono felice di seguire il loro progresso fatto dallo sviluppo e di una politica economica liberalizzante. Il loro sviluppo è semplicemente straordinario ed io lo applaudo con il massimo gaudio; esso è frutto della competenza come pure dell’aggressività commerciale e dell’entuasiasmo prodotti dalla legge del MERITO. Una legge che da noi, purtroppo è stata distrutta.Conosco Paesi dove è proibito dare lavoro ai ragazzi sotto i 14-16 anni; in compensazione vi si creano problemi ben peggiori: i ragazzi stessi s’ inventano attività informali svolte per le strade, dove l’azione del potere pubblico è impotente, inefficacie, indifferente, cieco o fa finta di non vedere. Cos’è meglio avviare i giovani ad attività produttive accompagnate dall’obbligo di scolarizzazione,? Oppure è meglio avviarli al commercio degli stupefacenti, al commercio della prostituzione? Certo, se per gli Europei è meglio vedere la delinquenza giovanile che taglia il dito per rubare anelli a chi li porta, se è meglio vedere le bambine che vendono servizi indegni a vecchi -magari proprio Europei – che non trovano più altri stimoli migliori per i loro nostalgici appetiti perversi, allora applichiamo pure i criteri “umani” anche ai Paesi sottosviluppati.

Ma che sia detto una volta per tutte: lo sviluppo dei giganti asiatici non è una minaccia alle società sviluppate, le quali come tali dovrebbero essere creative e capaci di sviluppare idee, prodotti e servizi con valore tecnologico aggiunto. La libera circolazione delle idee, delle merci e delle persone è sempre stata la scintilla che accendeva la fiaccola del benessere del progresso umani. Ma sembra che la lezione di Adam Smith da noi non faccia testo. La Cina e l’ India sono una minaccia per le economie incompetenti, che temono la concorrenza, quelle che vanno avanti a forza di sussidi, con i protezionismi comodi, con i monopoli incoraggiati dai politicanti e dall’ intromissione del corporativismo sindacale nell’economia controllata dallo Stato invadente ed presumibilmente “imprenditore” ma di fatto a media e lunga scadenza è un vero distruttore.

Dobbiamo rompere questo ambiguo ed obsoleto paradigma che è quella deleteria e controversa solidarietà. Se noi diamo da mangiare a degli animali selvatici che vivono in libertà, sempre allo stesso posto, questi impareranno solo a recarsi puntualmente sullo stesso luogo per saziare la propria fame. Ma se per caso quella brava persona che prende questa iniziativa, per chissà quale motivo, tutto ad un tratto non sarà più in grado di continuare, quegli animali rischiano di morire per non aver mai imparato ad aiutarsi da soli.

L’Europa e l’America non sempre praticano l’economia liberale che difendono a parole. In Europa si producono prodotti agricoli ed i loro derivati, facendo una spietata concorrenza sleale proprio ai Paesi che più ambiscono alle attività agricole, proprio per la loro scarsa qualificazione tecnica, oppure per il rispettivo clima molto più favorevole del nostro. Chiediamoci, piuttosto cosa fa l’ Europa con la produzione dello zucchero estratto dalle barbabietole? Essa concorre con gli Africani, con gli Indiani, con i Brasiliani che sarebbero molto più produttivi con la canna da zucchero ed ottengono una qualità infinitamente superiore… Dall’altra parte, il governo degli Stati Uniti, che non è esente da errori, di solito oltremodo generoso sulle importazioni, non si comporta da liberale quando ripassa il valore di un kg. di cotone per ogni kg. raccolto sul suo suolo, concorrendo proprio con i Paesi più poveri al mondo.

Sì, è vero, in Cina il turista può acquistare i falsi, ma non diciamo che la Cina esporta i falsi. Chi lo afferma non conosce i meccanismi commerciali internazionali e cinesi.

Infatti, se io voglio importare un capo firmato TOMMY HILFINGER, RALPH LAUREN, TIMBERLAND o NIKE, oppure qualsiasi marchio italiano, devo prima presentare all’esportatore una copia del contratto di licenza che dimostri che sono autorizzato a far produrre ed importare una determinata marca ed una copia di questo documento accompagnerà gli altri documenti d’esportazione.

Nei Paesi organizzati la dogana può fare questi controlli e può bloccare l’importazione nel caso in cui manchi tale attestato; ed i Cinesi lo sanno benissimo e non possono certo rischiare di essere inseriti sulle liste nere dei fornitori che molti Paesi mantengono.

Per il resto, per acquistare le borse LOUIS VUITTON, le cassette, i CD falsificati etc. prodotti da Italiani, proprio in Italia, non c’è bisogno di andare in Asia e sono pure gli Italiani che contrattano gli ambulanti che vendono queste contraffazioni che non sono certo Cinesi.

Inoltre è bene ricordare che la maggior parte dei Paesi importatori richiedono l’identificazione dell’origine dei prodotti. In Europa ci sono Paesi che si negano ad applicare tale norma. Chissà per quale motivo la Germania, il più grande importatore ed esportatore del continente, è fra proprio questi Paesi?

Suvvia, lasciamo perdere certe affermazioni sul lavoro schiavo. Certo, non hanno i diritti sindacali che ci sono in Europa. Ma se da loro esagerano per difetto, da noi certamente si esagera per eccesso. Cerchiamo di riservare un po’ di spirito critico alle nostre colpe prima di andare a sindacare a casa degli altri. Chi conosce la Cina sa benissimo che in quel Paese-Continente la gente lavora con entusiasmo sorprendente perché ha scoperto il MERITO dopo decenni di schiavitù, pertanto, non mi sembra ragionevole invertire certe verità.

La Cina è una realtà ed io posso capire che in determinati momenti i Paesi “sviluppati” in salvaguardia di interessi strategici transitori possano sospendere la libera importazione di prodotti venduti sotto il costo della materia prima. Ma se tale pratica che identiufichiamo come “dumping” non viene dimostrata, quelle barriere dovranno essere sospese immediatamente.

Pochi consumatori al mondo possono rallegrarsi con le importazioni proveniente da ogni parte del mondo come gli Americani. Dire che le avversano è ammettere di non conoscere gli Stati Uniti; certo alcuni settori ne hanno sofferto, come hanno sofferto con lo spostamento delle industrie tessili americane verso i Paesi dell’ America Centrale. Ma il consumatore americano non si lamenta delle importazioni, anzi! Non per niente negli Stati Uniti praticamente tutto costa infinitamente meno che in Europa.

Per concludere vorrei aggiungere che l’Europa, piuttosto, dovrebbe imparare soprattutto dagli Stati Uniti – fra le tante cose – anche a “sburocratizzare” il proprio modello economico, mentre sta facendo proprio l’opposto. Infatti, fra un po’ non ci si dovrà sorprendere se da Bruxelles usciranno nuove e creative norme perfino per “standardizzazione” delle misure dei preservativi e dei vibratori.