Elogio della relatività (pubblicato su LEGNOSTORTO 7.11.2004)

C’è chi afferma che gli umani nascono per soffrire e lo giustificano elencando tutta una serie di sofferenze che affliggono l’individuo dalla nascita e lo accompagnano nel corso della sua transitoria esistenza terrena. E’ una delle tante maniere di concepire la vita.Da quando gli umani hanno imparato ad esprimersi ed a trasmettersi il pensiero sorgono puntualmente i profeti di turno; con le loro visioni incoraggiano gli infelici a superare le proprie difficoltà, a convivere con le proprie pene ed a sopportare i loro dolori. Essi predicano il bene e trasmettono un messaggio di speranza, di ottimismo; insegnano a coltivare il bene e così cercano di dare un significato ai misteri dell’esistenza, fonte di eterni dubbi e di perplessità. Non tutti comprendono, tuttavia, che il dolore è solo uno dei due poli opposti di una unica unità e quando gli esseri umani focalizzano solo questo polo negativo, è come se la loro capacità di comprensione accettasse un limite alla propria immaginazione; una specie di sipario la copre e sembra narcotizzare i propri neuroni, che perdono parte delle loro funzioni; inibiti dal rifiuto di cercar di agire, impediscono al cervello di elaborare tutti i dati che la realtà mostra. Allora, l’individuo focalizza tutto dal verso negativo, mentre ciò che si potrebbe osservare dal polo opposto e positivo, diventa invisibile, come se non esistesse.

Non esiste il male senza il bene. L’ universo è regolato da una legge imponderabile, ma che si può capire solo con lo sforzo, con il tempo, con l’ esperienza, con attenta osservazione, con immaginazione e, naturalmente, con una certa dose di buon senso. E’ la legge dell’equilibrio, secondo la quale tutto ciò che esiste non è solo ciò che le apparenze rendono evidente, ma è pure ciò che noi non vediamo o non cerchiamo di vedere. Puntuali, i profeti forniscono le spiegazioni che sono il frutto di illuminata saggezza; annunciano l’arrivo di una nuova prossima giornata radiante, oltre all’orizzonte. Ciò basta per rinnovare la speranza degli individui; i quali, fiduciosi, si avviano sulla strada indicata per realizzare un avvenire privo di pene e libera da sofferenze. I buoni profeti intendono aiutare gli individui, liberando gli umani dalle loro catene: le ansie, le paure, le incertezze.

Eppure, il dubbio che produce timore è solo uno dei due poli dell’ interpretazione di un’unica stessa realtà. E l’incertezza è un male necessario che è anche un bene biologico, senza il quale gli umani non svilupperebbero quella che noi chiamiamo “prudenza”. Ma perché noi temiamo l’incertezza? Noi la temiamo perché non possiamo sapere se il nostro domani non sarà ancora più incerto e non possiamo essere sicuri che il nostro dolore, le nostre pene non peggioreranno ancora nel più prossimo futuro.

Allora, sorgono gli intermediari, gli interpreti delle profezie e contrariamente a ciò che i saggi annunciavano, ciò che era incerto, tutto ad un tratto diventa certo; la speranza viene ceduta – e sovente venduta – in cambio di sacrifici, di promesse e di rinunce. Non è certo che l’avvenire sarà migliore; così, questi nuovi seguaci dei profeti ci presentano le loro proprie ricette per liberarci dal dolore e realizzare il bene. Alcuni di loro osano proporre che per realizzare il sommo bene noi dobbiamo imparare a fare dolorose penitenze, dobbiamo pagare con altrettanta sofferenza. Ovvero, per non soffrire, dovremmo davvero soffrire? Ma perché soffrire prima del tempo?

Ma fino a qui non ci sarebbe da ridire, perché ogni essere umano ha un cervello proprio ed è anche dotato della libertà di arrivare alle proprie conclusioni con i propri mezzi, anche per ciò che è bene per se stesso e ciò che invece non gli conviene. Ma no, questi aspiranti giudici, presunti sostituti del Padreterno non si accontentano di dare dei consigli, essi si arrogano il diritto di presentarsi come unici depositari della verità – che scrivono con lettera maiuscola – e con ciò negano il diritto agli altri di interpretare da soli la propria realtà; e mentre vociferano, essi sentenziano e condannano.

Questi presuntuosi sono despoti della ragione e della fede; hanno perfino la pretesa di perseguire il bene con la spada in mano, fino a giungere all’estremo di minacciare alla dannazione eterna, chiunque possa osare di non pensarla alla loro maniera. Sono una nuova versione degli eterni farisei, ma con abito nuovo. In nome di una presunta liberazione accatastavano pire in piazze pubbliche, credendo piamente di promuovere il bene, bruciando vivi altri esseri umani, colpevoli di non essere abbastanza obbedienti e di non osservare ciecamente le loro particolari interpretazioni della fede.

Ancora accecati dalla loro incapacità di interpretare un altro polo di una stessa realtà, annunciano al mondo di essere gli unici veri depositari dell’Onnipotente e di poter conoscere la verità rivelata. Agli increduli mostrano simboli finiti che dovrebbero incarnare i misteri infiniti; parlano di un Dio universale, ma che di fatto è solo il loro dio particolare con il quale solo loro comunicano, perché solo loro sono gli eletti, autorizzati a dirigere tutta questa miserabile specie umana peccatrice; infatti, il valore autentico dei peccati lo conoscono solo loro.

Predicano con prepotenza qualcosa che loro credono sia l’amore; e per convincere e meglio farsi intendere adottano un linguaggio pieno di assolutismi e ricorrono ad espressioni che sconfinano nell’odio, nell’ intolleranza, negando ogni diversità di opinione o di interpretazione all’infuori dei paradigmi che hanno creato su misura. A coloro che osano mettere in dubbio l’universalità delle loro verità rivelate rispondono con scherno, senza risparmiare nemmeno ciò che i loro stessi profeti considererebbero vere e proprie blasfemie.

Ma la verità è infinita, è universale ed a noi umani questa verità assoluta sfugge quasi per intero; infatti, noi non possiamo avere accesso ad essa proprio perché è infinita e, purtroppo, noi siamo solo degli esseri finiti, anzi limitatati ed incompleti. Come potrebbe, dunque un essere finito abbracciare l’ infinito? Ogni religione ha le sue particolari verità parziali, ma tutte saranno fatalmente sempre costituite solo da piccolissimi frammenti della verità universale. Chi non ammette i limiti delle proprie verità non fa altro che chiudersi in una gabbia per esaltare alcune fra le tante verità relative a cui gli è possibile accedere e quanto più si negherà di accettare le verità altrui, rifiutandosi di guardare oltre le illusorie apparenze che circondano quella gabbia e più perderà contatto con la realtà concreta, fino ad avviarsi verso un vicolo cieco senza uscita, isolandosi finalmente in un vano ermetico segregato dal resto del mondo esterno. Invece, la verità assoluta non è circoscritta, essa si espande perché è illimitata, in costante evoluzione e deve per forza essere universale.

Nessuno, quindi, possiede il monopolio della verità; e non sarà certo l’uso della maiuscola che potrà conferire a qualcuno un grado superiore della conoscenza della verità assoluta. Ogni frammento di verità si presenta a noi come un diamante da multipli riflessi e sfaccettature ed a seconda di come, quando, dove ed in quali circostanze noi la osserviamo, ne potrà scaturire un’interpretazione sempre nuova, distinta e provvisoria, perché questo universo è costantemente in movimento e nessuna azione si ripete due volte allo stesso modo o simultaneamente. Pertanto, anche le verità che si presentano sotto i nostri occhi saranno sempre verità relative. Del resto, tutti noi dipendiamo dai nostri effimeri e deboli sensi; essi costituiscono le nostre catene che ci impediranno sempre di andare oltre i nostri propri umani limiti. Certo, alcuni eletti sono meno limitati dei comuni carenti, ma pure loro sempre saranno limitati, perché di illimitato c’è solo il mistero.

L’unica verità che noi potremo conoscere, ma pur sempre con illimitata incertezza, è quella secondo la quale noi non sappiamo niente. La conoscenza a cui giungiamo è solo una modesta goccia di realtà che noi percepiamo costituisce una semplice trascurabile particella della realtà che ci circonda e che si perde in un immenso oceano in cui noi navighiamo in un brevissimo spazio di tempo, quasi in balia delle correnti che agiscono in ogni direzione. La grandissima parte di questa realtà è sommersa e ci sfugge perché non basterebbe la vita di tutto il genere umano vissuto ed ancora da nascere per scandagliarla totalmente; la nostra grossolana sensibilità può captare solo pochi semplici aspetti superficiali di questa stessa realtà apparente.

Coloro che vorrebbero, inutilmente, imporre agli altri le proprie verità, limitate dalle proprie percezioni, ricorrendo a confusi discorsi ripetitivi e contorti, e che vorrebbero giustificare con la loro soggettiva quanto biasimevole e presunta logica, senza tollerare il minimo diritto degli altri di depositare fede nelle proprie interpretazioni della loro peculiare realtà, non sono altro che tiranni totalitari. Sono de presuntuosi, quando no addirittura dei fanatici settari fondamentalisti ed integralisti, incapaci di concepire quanto limitata è la capacità di percezione umana. Essi non possono essere altro che impostori di passaggio, come effimeri lampi provocano rumori disordinati e tuonano nella burrascosa tempesta stagionale, di forte effetto ma di altrettanta breve ed alterna durata. Essi affermano che i loro lampi sono la luce eterna ed i loro tuoni sarebbero la voce legittima della verità; ed i loro isterismi sarebbero il discorso legittimo ed autentico dell’ Onnipotente, con il quale si illudono di potersi attribuire un rapporto di preferenza, per essere stati da questa trascendentale Entità misteriosa stessa e personalmente eletti o scelti. Ma quei lampi non illuminano affatto l’eterna oscurità in cui gli umani sono destinati a compiere il proprio destino, sotto forma di carne ed ossa; quei bagliori piuttosto accecano perfino coloro che con la propria capacità interpretativa potrebbero intravedere qualche sfuocata immagine della propria realtà. Anzi, loro stessi che credono di poter illuminare gli altri, sovente, si barcollano nelle più profonde tenebre della loro catastrofica certezza. I loro discorsi sono solo rumori strani che si confondono nella loro torre di Babele e non chiariscono affatto le tenebre dell’ignoranza in cui noi mortali siamo destinati a vivere. La loro azione non è altro che l’espressione più autentica della loro deleteria arroganza, che al contrario non cerca l’equilibrio e l’armonia, ma con le loro forzature si allontanano dal primo mentre negano la seconda.

Certo, essi sono ben intenzionati; ma di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Non è possibile esaltare l’amore e la fraternità, adottando metodi intolleranti ed insolenti. E’ opportuno guardarsi bene dal negare a qualcuno il diritto di predicare le proprie dottrine; non possiamo arrogarci nemmeno la prerogativa di proibire agli altri la difesa dei loro innocenti e legittimi dogmi, con i quali possiamo, altrettanto lecitamente dissentire. Ma non possiamo tollerare che ce li impongano, ferendo le nostre altrettanto legittime convinzioni e che peggio ancora lo facciano con tanta prepotenza e con la presunzione di poter calpestare i sacrosanti diritti altrui; gli intangibili diritti di guardare ai misteri con i propri occhi, dando ad essi le proprie particolari interpretazioni, oriunde dalla capacità d’intendere generate dalle specifiche esperienze in funzione delle precise sensibilità di ciascuno di noi. Non è possibile mettersi a pensare al posto di altri, né accettare che ci predichino la carità, riservando ai noi “eretici” ogni genere di squalificante offesa e tanto meno che lo facciano in nome di profeti che per primi condannerebbero certi pretestuosi illiberali atteggiamenti.

L’amore fraterno per ogni espressione di vita terrena e la carità non sono prerogative nate due millenni fa; molto prima altri profeti in Cina ed in India avevano formulato e composto un grande patrimonio di sapienza. Un patrimonio che è servito come base anche al messaggio del Messia Nazareno Gesù; e per questo si è distinto, contestando e rinnovando la propria dottrina del vecchio testamento. Anche quei profeti asiatici mostravano agli umani le vie dell’illuminante saggezza; quasi contemporaneamente, ben sei secoli prima, il Buddha con il “distacco” e Lao Tze con il Tao dell’armonia degli equilibri, hanno indicato le loro interpretazioni sulla via della saggezza, ma pur sempre raccomandando la ricerca della virtù con la moderazione, precedendo il Salvatore che oggi ammiriamo.

La vita non è necessariamente un sacrificio; lo potrà essere per coloro che vedono l’ esistenza con pessimismo; per chi focalizza il polo negativo della realtà. Per molti umani la vita costituisce un premio, un privilegio e per poterlo capire è necessario liberarsi dai pregiudizi e dai preconcetti che condizionano la nostra mente stretta ed avara. Ma com’è possibile vedere con chiarezza il nostro proprio sentiero che noi percorriamo più attenti a censurare gli altri, preoccupandoci più dei passi falsi altrui, piuttosto di prestare attenzione agli ostacoli che rendono difficile il nostro proprio percorso?

Noi tutti possiamo comporre le buone ricette per imparare a convivere con le nostre pene e con il nostro dolore. E’ sufficiente capire che tutto è costituito da due poli opposti, uno positivo ed un altro negativo. Se ci concentriamo solo su uno dei due, riusciamo ad osservare solo gli aspetti di un lato: da una parte la vita ci potrà sembrare un peso troppo pesante e dall’altra ci potremo arrendere all’euforia sfrenata dell’irresponsabilità.

Invece, è necessario saper dosare l’attenzione nella direzione corretta, senza scivolare da una parte o dall’altra, cercando di focalizzare simultaneamente i due poli con arte, camminando a brevi passi alla giusta distanza dagli estremi, sulla virtuosa via di mezzo degli antichi, per non perdere l’equilibrio necessario.

Dove c’è il male c’è anche il bene. Il dolore non è necessariamente solo una pena; quando soffriamo percepiamo solo uno dei due poli; infatti, il dolore è anche una necessità biologica come la fame; tanto uno come l’altro sono stimoli che agiscono all’interno del nostro organismo, producendo la paura per la nostra propria sopravvivenza. La fame, la paura, l’incertezza come tante altre necessità, fungono come il rimedio che è fatto di veleno, ma che deve essere preso nella giusta moderata dose. Così, anche il dolore è un mezzo che ci aiuta e ci insegna a vivere correttamente; esso è una specie di allarme, una luce lampeggiante, un avviso che ci consiglia ad essere prudenti e responsabili, evitando gli eccessi, schivando i pericoli che non sempre sono evidenti, ma sovente si celano là dove non li possiamo identificare al momento giusto perché camuffati dalle insidiose ed allettanti apparenze; non sempre l’amaro si rivela velenoso e non tutto ciò che ci sembra dolce in determinate circostanze si rivela piacevole con il passare del tempo. Se non ci fosse il dolore, se non ci fosse la fame, se non ci fossero le necessità e se gli umani non conoscessero il timore, la specie umana si sarebbe estinta da tempo.

La vita è fatta di ogni sorta di bene e di male e noi, a seconda del momento, delle circostanze e del contesto riusciamo a focalizzare solo pochi aspetti della realtà che è unica ma si rivela a noi frammentata e che spesso si presenta a noi come riflessi di luci e di colori polarizzati a seconda della nostra momentanea posizione, attraverso una serie di ripetuti prismi sovrapposti; questo generalmente ci rende difficile identificare ciò che è reale e distinguere da ciò che è solo apparente. Queste confuse immagini ed ombre ci impediscono di capire la realtà nella sua completa totalità, perché anche perché frequentemente tendiamo a concentrarci sui dettagli, incapaci d’interpretare il principale.

E’ giusto perseguire il perfezionamento, anzi, è un’altra necessità; ma è inutile illudersi che la perfezione possa essere realizzata. Se noi vivessimo in un mondo perfetto, privo di minacce o di pericoli, verrebbero a mancarci gli stimoli e la vita, perderebbe ogni significato; allora, ci potrebbe sembrare inutile e noi ci potremmo trasformare in semplici vegetali, a condizione che si possa ammettere che vegetali non siano stimolati dalla fame, dalla sete e dal timore… e quindi, rischieremmo di finire nel labirinto dell’indifferenza e del nichilismo; e peggio ancora, saremmo condannati al peggiore degli inferni: all’estinzione. Il vero segreto sta nella capacità di scelta non solo delle dosi corrette, bensì anche nei momenti opportuni e ciò dipende dalle scelte che devono necessariamente essere fatte volontariamente, in piena libertà e spontaneamente; scelte adeguate ai bisogni e necessità del momento giusto, alla misura di ognuno di noi, senza delegare tale compito ad altri che ci priverebbero non solo di un diritto, ma ci libererebbero delle responsabilità delle conseguenze.

Nelle nostre scelte, nessuno può legittimamente sostituirci; non ci sono deputati in grado di interpretare le nostro aspirazioni in un determinato luogo o momento. Le necessità momentanee, i nostri bisogni passeggeri appartengono a noi stessi e non saranno mai definitivi, perché noi cambiamo di umore come aumentano pure le nostre esperienze; solo noi possiamo decidere si da un momento all’altro le nostre priorità, se una prima aspirazione può sostituirne una seconda. Non si può rinunciare a se stessi; non si può entrare nella mentre altrui; nessuno può fare le scelte in nostra vece; abdicheremmo alla guida del nostro proprio destino terreno; nel breve viaggio della nostra effimera traversata terrestre non c’è timoniere che sia più responsabile e quindi meglio qualificato a determinare la nostra direzione se non noi stessi. Nessuno può giudicare ciò che sarà alla fine della nostra breve esistenza terrena. Nessuno non è nemmeno idoneo a determinare ciò che potrà essere bene ed utile per le generazioni che ci succederanno: ciò che verrà dopo la nostra morte, non lo potrà affermare nessuno; se il passato è confuso, il presente difficile da interpretare, come è possibile poter predire l’incerto avvenire? Sappiamo solo che questa vita terrena è una semplice veloce transizione; che siamo fatti di energia e che questa non si distrugge, ma solo si trasforma. Il resto è mera supposizione; è mito, o semplice poesia.

Per questo motivo, è utile pensare ed agire di persona; conservando sempre un po’ di spirito critico, non lasciandoci ingannare dalle apparenze esteriori e superficiali, resistendo contro le imposizioni, conservando le dovute riserve nei confronti di chi promette di liberarci dalle nostre catene e ci chiede in cambio la rinuncia alla nostra propria identità, come hanno sempre fatti i marxisti o chiedendoci la nostra anima come fanno le religioni. La nostra convinzione politica e la nostra fede religiosa, sono il frutto del complesso sviluppo intellettuale interno che ci appartiene; deve essere coltivato nella nostra intima spontaneità, mentre nel momento in cui le cediamo ad una certa militanza, cessiamo di essere individui indipendenti con volontà propria. Noi siamo individui e non possiamo sacrificare i nostri naturali criteri d’interpretazione della realtà che noi stessi viviamo per accodarci al gruppo che strilla o predica le verità rivelate ed assolute. La nostra fede, la nostra confessione qualcosa che si forma nella nostra mente e dobbiamo praticarla con i criteri delle nostre particolari sincere convinzioni che non possiamo cedere ad altri aspiranti profeti di qualsiasi provenienza o religione che non possono sostituirsi alla nostra privata coscienza.

In fine, per completare e concludere questa mia breve o troppo estesa divagazione sulle pene e sul dolore, vorrei riprodurre due pensieri di uno dei più importanti pensatori liberali; pensieri che ho scelto da uno dei più esaltanti “manuali” del liberalismo che dovrebbe essere adottato nelle nostre scuole; pensieri che potrebbero illuminare anche coloro che non comprendono l’utilità dell’ ideale della libertà degli individui.

Nella nostra epoca, il semplice esempio di anticonformismo, il mero rifiuto di piegarsi alla consuetudine, è di per se stesso un servigio all’ umanità…
Proprio perché la tirannia dell’opinione è tale da rendere riprovevole l’eccentricità, per infrangere l’ oppressione è auspicabile che gli uomini siano eccentrici.

SAGGIO SULLA LIBERTÀ – JOHN STUART MILL