IL MONDO DELLA STORIA SECONDO IBN KHALDUN

Di Giuliana Turroni (Recensione)

Questo è un interessante compendio che percorre il pensiero di questo importantissimo autore, sociologo, storiografo, economista e pensatore arabo del XIV secolo, purtroppo, non molto noto all’infuori dei circoli accademici, nonostante costituisca una delle importanti figure della celebrata cultura araba, ma in compensazione, è un nome citato ogni tanto anche negli ambienti occidentali che seguono lo spirito del liberalismo.

La più nota opera di questo paradigmatico autore è una specie di ampio trattato storico universale –  KITAB AL-IBAR (Il Libro Degli Esempi Storici) -, mai tradotto integralmente ma di cui è abbastanza celebrata una parte, la MUQADDIMA (Introduzione) della quale esistono diverse incomplete traduzioni in distinte lingue  e, credo, che una traduzione italiana coordinata dall’arabista torinese Michele Vaccaro, se nel frattempo non è ancora nelle librerie, stia per essere pubblicata anche in Italia.

Qui, nel frattempo, l’autrice Giuliana Turroni – ricercatrice presso l’Università di Torino – sviluppa  un’utile quanto interessante disamina sul pensiero dell’importantissimo autore arabo che per certi aspetti viene paragonato anche al nostro Machiavelli e viene altrettanto sovente presentato come precursore della sociologia come pure attento notabile osservatore dei principi economici cari a chi apprezza il modello della libera iniziativa. Ma, in generale, la sua preziosa critica storiografia è, senza dubbio, considerata emblematica nel contesto della letteratura araba e, secondo alcuni, unica ed in parte mai ripetuta nemmeno dalla tradizione letteraria occidentale.

Ibn Khaldun – pure noto sotto il nome di Haldun – nato nel 1332 a Tunisi e deceduto Al Cairo nel 1404, vanta un’avventurosa storia personale; per sua vastissima cultura, ha occupato importanti incarichi passando dalla Spagna arabizzata, per trasferirsi in Marocco e poi dalla Tunisia fino in Egitto, coprendo in questi Paesi, alternamente importanti funzioni, perfino l’incarico come Primo Ministro, autorevole consigliere di corte, fino ad Ambasciatore, dopo aver subito addirittura l’umiliazione del carcere.

L’ iniziativa divulgativa della Turroni è davvero pregevole perché offre una singolare opportunità di far conoscere questo illuminato personaggio, esponendo in un discreto riassunto, la sintesi dei contenuti dell’Opera in cui l’autore percorre lo svolgimento delle tappe della storia del progresso, in generale; lo sviluppo delle società umane ed in particolare, partendo dai semplici nuclei dei clan, dei Beduini, illustra la distinzione dell’indole derivata dal nomadismo e come in determinate circostanze si può trasformare in sedentarismo. Allora, spiega i meccanismi dell’evoluzione della civiltà propriamente detta che nasce nelle comunità ma che si può meglio sviluppare nei grandi agglomerati dove, alle elementari necessità della semplice sussistenza, gli individui tendono ad aggiungere aspirazioni che apportano nuova linfa e che vanno ben oltre ai meri bisogni della sopravvivenza e dove gli individui ambiscono anche alle credenti opportunità delle comodità ed del lusso. Ed ecco che questo fenomeno scatena tutta una serie di nuove ambizioni, di singolari desideri, generando in questo modo, una specifica richiesta di particolarità; di servizi e di prodotti che artigiani e specialisti si adeguano a soddisfare ed a produrre, dando così inizio allo sviluppo di mestieri e tecniche che non potrebbero mai scaturire in un  ambiente austero e limitato in cui la massima aspirazione degli individui si riduce a soddisfare le semplici necessità al mero mantenimento.

L’autrice non lo dice, ma in questo contesto si potrebbe anche teorizzare un’ anticipazione delle note tesi di un’altra significativa colonna portante del Liberalismo europeo, quelle dell’olandese Bernard de Mandeville e dei suoi famosi vizi privati e benefici pubblici che quell’autore difende soprattutto in quella straordinaria LA FAVOLA DELLE API che molti dottrinari egualitari farebbero molto bene a leggere.

Khadun, dunque, con al sua valorizzazione delle iniziative degli individui e dei rispettivi diritti a soddisfare le proprie  ed altrui aspirazioni, anche superflue e seppur superficiali, ma che, alla fine dei conti si rivelano non solo utili ma addirittura determinanti e fondamentali per un altrettanto opportuno contributo allo sviluppo dell’economia, del progresso, allo stimolo della creatività ed al libero scambio, la conseguente spontanea veicolazione della distribuzione ed espansione della ricchezza, si presenta a noi come un moderno pensatore che introduce con buon vantaggio già i principi del Liberalismo che ci sono pervenuti da Oltremanica sulla linea del pensiero di Adam Smith, con ben tre secoli di anticipo.

Il grande intellettuale maghrebino prosegue, quindi, descrivendo la nascita dell’Islam, ma non senza tralasciare di distinguere gli Arabi dalle altre etnie che nel frattempo si convertiranno ai precetti dettati dal Profeta Maometto. Descrive l’ascesa di questa fede, la sua evoluzione, le conquiste che raggiungono il continente europeo, le tradizioni, il pensiero e la particolare indole dei diversi Popoli che l’hanno abbracciata. Espone pure le caratteristiche di governo che derivano da quello che egli definisce un determinato “spirito di corpo” ed in fine chiarendone le ragioni, spiega come con il tempo ed al raggiungimento dell’ elevato grado di soddisfazione, fatalmente segue una predisposizione del ciclico declino, a cui nelle diverse epoche che si succedono, vertono le distinte potenze soggette ad esaurimento della fioritura del periodo che ad un determinato momento appassisce. Ed infatti, già alla sua epoca egli indicava i sintomi di decadenza che minavano la grandezza delle allora potenze dominanti. Infatti, si mostra pure consapevole dell’ormai prossimo esaurimento dell’era gloriosa dell’Islam che, dopo aver attinto alla cultura ellenica, dopo aver sviluppato e ulteriormente coltivato le scienze, trasmettendo all’Occidente la moderna matematica, che detto fra parentesi, aveva introdotto lo “zero” – che gli stessi Arabi, a loro volta, avevano ereditato dall’India – e dopo aver inventato l’algebra ed aver fatto grandi progressi anche nel campo della medicina, fra le altre discipline; e tutto questo, quando buona parte dell’Europa era ancora immersa nella piena oscurità dei Secoli Bui, mentre anche il mondo dell’Islam si stava ormai volgendo verso un inevitabile indebolimento.

Nell’esegesi della storica superiorità di certe zone geografiche, nell’ambito dello sviluppo economico e delle conoscenze, egli anticipa anche un criterio che troveremo solo tre secoli più tardi nell’opera di un’altra pietra angolare del Liberalismo – LO SPIRITO DELLE LEGGI – del grande bordolese Montesquieu, e precede pure le sue convinzioni dell’inconsistenza dei principi propriamente razzisti, – ancora attivi fra di noi oggi – precisando che le condizioni di inferiorità di certi Popoli non dipendono affatto da questioni di natura razziale, bensì dall’influenza proporzionata dalle circostanze climatiche che condizionano l’inclinazione degli individui e delle rispettive necessità e dal loro isolamento; quindi, è la vita in ambiente avverso che tempera e stimola il carattere delle collettività. Non il benessere o la sicurezza, ma il timore, la fame, i bisogni  di proteggersi sono quel fermento che stimola gli individui all’azione, indotti a reagire nelle avversità, in difesa della propria sopravvivenza e, nella misura in cui gli individui si uniscono convenientemente per collaborare nella convivenza in comunità, alcuni si specializzano nelle distinte funzioni, dando inizio alla divisione del lavoro  e quanto più numerosi sono i membri partecipanti in questo modello, più faciliteranno lo sviluppo ed il progresso delle comunità.

Tuttavia, queste società, nel loro pieno benessere, dopo aver raggiunto un determinato grado di sviluppo e di sofisticazione, godendo dei massimi privilegi e comodità, si accomodano ed indeboliranno strada facendo, mentre gli individui tendono a perdere quelle virtù e le ambizioni che li hanno guidati al progresso. Conseguentemente, quegli stimoli che li hanno portati in alto nell’ascesa della scala dei valori, rinunciano inconsapevolmente a quello spirito, cessando la progressione nelle proprie realizzazioni; soddisfatti della propria condizione agiata raggiunta, si arrendono lentamente ad un graduale abbandono e si spegne poco a poco l’impeto di quella disposizione ed iniziano la parabola in senso contrario, fino a cadere nella degenerazione e ad assistere ignari  al tramonto delle proprie glorie. E Khaldun, testimone del suo tempo, percepisce come il suo mondo ormai si stava avviando verso tale destino.

Insomma, egli intuisce il tendenziale moto dei cicli delle civiltà che si sostituiscono e si danno il cambio; infatti, così com’è avvenuto nel susseguirsi dei millenni a cominciare dai Persiani, dai quali i Greci hanno ereditato i semi delle loro conquiste, all’esaurirsi del rispettivo ciclo, a loro volta, anche gli Elleni hanno ceduto il testimone, alimentando con la loro cultura, a loro turno, la grandezza dei Romani ai quali sono succeduti gli Arabi che, ripartendo dalle basi abbandonate dai Latini, avevano saputo mantenere viva la tradizione ellenica, aggiungendo nel contempo il proprio contributo. Ma egli consapevole degli ineluttabili fenomeni delle leggi naturali, annuncia già i sintomi di stanchezza del proprio mondo islamico ed osserva come l’Occidente cristiano – della Roma rinnovata e del continente dei “Franchi” – era già pronto a raccogliere l’eredità e si preparava a coglierne quei frutti che il fertile ciclo musulmano aveva favorevolmente generato, dando in questo modo continuità ad una nuova fase ascendente. Le civiltà sono composte di onde che si espandono ma che poi si esauriscono. Oggi, che assistiamo perplessi alle difficoltà che ci perturbano e minacciano il nostro avvenire, possiamo applicare questo stesso criterio ai cicli economici; la differenza sta nella loro lunghezza e durata; se in altri tempi questi cicli potevano prolungarsi per secoli, oggi, al contrario, queste onde non si estendono nemmeno molto oltre a pochi decenni.

Ecco come il grande intellettuale arabo così precocemente già preconizza la tesi della ciclicità storica; tuttavia, non cede al pessimismo e, senza cadere nell’equivoco del movimento in circolo, lo interpreta già in maniera molto moderna e positiva, alludendo piuttosto un movimento in senso di spirale perché ad ogni ciclo i cerchi della conoscenza, delle esperienze, delle scienze trasmesse da una generazione all’altra, seguono una direzione che si allarga ad ogni nuova tappa, raggiungendo ad ognuna delle nuove fasi, estensioni sempre più ampie, dove ogni ciclo  costituisce un nuovo anello dell’eterna catena della civiltà.

Nonostante l’elevato interesse che può suscitare questo saggio di circa duecento pagine, esso non può certo essere definito di lettura dinamica; infatti, l’elevato contenuto delle frequenti note bibliografiche e gli altrettanto numerosi riferimenti etimologici, insieme alle ripetizioni a richiami delle differenti traduzioni dei testi di autori e traduttori nelle diverse lingue, per una pur migliore interpretazione dei termini arabi – che spesso non trovano un preciso equivalente -, la lettura spesso risulta piuttosto pesante. Tuttavia, non ci sono dubbi che si tratta certamente un saggio illuminante; un lavoro prezioso che ci aiuta a conoscere aspetti della filosofia islamica ed a comprendere il valore della rispettiva cultura, opportuno specialmente per chi alimenta scarsa conoscenza della ricca civiltà araba, o di chi, eventualmente, possa ancora nutrire equivoci preconcetti verso i Musulmani senza le dovute distinzioni, perché incapaci di distinguere la meravigliosa erudizione dalla negletta superstizione, un male che non è estraneo nemmeno nella cultura di noi Cristiani. Questo saggio, quindi, costituisce certamente anche un’ analisi che offre l’opportunità di confrontare fenomeni ed idee a chi, finalmente, si interessa al pensiero liberale.

In conclusione, anche se l’autrice, a mio parere, non mette affatto in evidenza questo importante aspetto – che in fondo ha condizionato la mia scelta di questa specifica lettura -, Khaldun merita di essere incluso fra gli importanti sostenitori degli ideali liberali, e questo basterebbe per irradiare ulteriori raggi di luce una cultura araba scarsamente seguita nel nostro Paese, ma che ha dato alla civiltà universale grandi nomi come Ibn Sina alias Avicenna (Medicina); Ibn Bajja alias Avenpace (Fisica ed ispiratore anche di Galilei); Averroè (filosofo, medico, matematico etc.) ed Ibn Battuta (esploratore) tanto per citarne solo alcuni.