DALLA NASCITA DEL LINGUAGGIO ALLA BABELE DELLE LINGUE di Robin Dunbar (Recensione)

Una Sfida ad Antichi Misticismi

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Questa è una delle tante letture che si possono raccomandare a chi desidera soddisfare la propria curiosità sull’interessante assunto dell’origine della parola e del linguaggio ed, indirettamente, il conseguente sviluppo delle civiltà. Come potrà risultare naturale, le conclusioni a cui conducono gli insegnamenti che se ne possono trarre, inevitabilmente, si scontreranno con i numerosi paradigmi che le nostre religioni hanno per tanto tempo pesato sui limiti della conoscenza. E’ abbastanza probabile, inoltre, che alla conclusione di queste pagine, il lettore non potrà evitare di alimentare ulteriori dubbi su certi miti, dovendosi certamente con gli incompatibili conflitti esistenti fra scienza e fede. L’aspetto positivo è che, come minimo, sarà indotto ad almeno meditare sull’effettiva concretezza delle mistificazioni bibliche, in totale contraddizione con l’evoluzionismo.Se da una parte le Sacre Scritture sostengono che l’essere umano è nato già totalmente evoluto e con completo dominio della parola e della conoscenza dei vocaboli di ciò che improvvisamente lo circondava, qui si dimostra nel modo più palese possibile, come i primitivi, al contrario, partendo da zero, hanno sviluppato il linguaggio in lente tappe. Infatti, così come l’inconsapevole neonato, appena dopo il parto e per un certo periodo, non conosce altro che versi e gesti, il bambino avendo già sviluppato un determinato grado di coscienza mentre si prepara ad entrare a frequentare la scuola, è già in grado di capire più o meno 13.000 termini; poi, uscendo dalle medie superiori, ne domina già circa 60.000; allo stesso modo, i nostri primordiali progenitori, hanno iniziato a comunicarsi, pure loro, con semplici gesti e versi e, con il passare del tempo, hanno imparato ad utilizzare con sempre maggior frequenza, gli stessi versi convenzionali dai quali, finalmente, si sono originate le prime parole. Mamma, per esempio, è un caso tipico che si origina certamente dal verso – am-am-amche i poppanti manifestano per mangiare.

Così, non è per caso che il vocabolo con cui si identifica la madre, è molto simile in un elevatissimo numero di diverse lingue come, analogamente, il termine che significa dito, in alcune lingue corrisponde alla definizione del numero aritmetico “uno”. Del resto, anche uno dei più illustri scienziati genetisti al mondo, forse, più noto all’estero che in Patria – Luigi Cavalli Sforza –, nelle sue interessantissime opere e, principalmente, nel suo illuminante capolavoro GENI, POPOLI E LINGUE, dimostra in maniera convincente e chiara, come l’umanità si avvale di diversi termini di radice comune che poi, con il tempo ed in seguito alle distanze geografiche, hanno subito le più svariate mutazioni. Non per caso, le sue celebri osservazioni non hanno solo contribuito al famoso progetto Genoma, ma hanno apportato pure una fondamentale conoscenza dell’evoluzione umana, aiutando oltretutto a comprendere determinati movimenti migratori dei Popoli nel mondo, partiti inizialmente dall’Africa.

Infatti, sono molto numerosi gli autori che hanno dedicato i loro studi a questi fenomeni e, praticamente tutti concordano, ugualmente, che il linguaggio non è nato come ordine finito, bensì consiste in un ordine spontaneo, frutto ed allo stesso tempo, soggetto ad una lunga interminabile evoluzione. Esso si è sviluppato istintivamente e nel tempo, in conseguenza delle necessità che si presentavano presso le distinte comunità dove soprattutto le donne, oltre a doversi occupare delle multiple faccende domestiche, potevano e dovevano comunicare fra di loro nella reciproca e necessaria cooperazione, in un continuo mutuo scambio di esperienze e nozioni, dando importante impulso all’evoluzione della comunicazione verbale, mentre gli uomini, alla ricerca dei mezzi necessari alla sopravvivenza, vagavano – generalmente – in discreto silenzio, nel mondo della natura, dedicandosi alla caccia per portare l’alimento raccolto che poi le donne processavano, conversando in compagnia dei figli o delle compagne. Motivo per cui – ed a ragione – si dice che il linguaggio è stato inventato dalle donne…

Ed una delle prove antropologiche più concrete di questa particolarità, a cui molti ricercatori si riferiscono, sarebbe costituita proprio dalla specifica dimensione dell’istmo – il ponte – che unisce i due lobi del cervello umano, e che, di fatto, nella donna è più largo che nell’uomo; e ciò deriva, appunto, da una maggiore induzione delle attività dei neuroni nel cervello femminile e, di conseguenza, essendo il nostro sistema centrale diviso in compartimenti separati, ognuno dei quali con specifiche funzioni di comando e di memorie, generando una concreta maggiore interazione fra i due lobi. Pertanto, quel formato anatomico encefalico costituisce certamente un particolare carattere ereditario che ha origine da tale realtà. Infatti, la donna, per tradizione e storicamente, è stata allenata dalle circostanze, non solo a convivere e ad interagire con i figli ed altre persone, ma dovendo anche convivere in un ambiente con presenza di più individui, doveva oltretutto fare più cose allo stesso tempo: occuparsi dei figli, della gestire la vita privata: cucinare e confezionare abbigliamento e così via, ma viveva in un ambiente dove era necessario comunicarsi e, quindi, vivendo quasi sempre in sinergia e compagnia di altri, quando l’uomo, invece, tendeva ad agire all’esterno, disputando spesso la limitata disponibilità di risorse, molto spesso in regime di attività solitaria: la sua interazione con i suoi simili è avvenuta solo più tardi. In fondo, non è più un segreto che la mente femminile è tendenzialmente più versatile della mente maschile; e si sa, pure, che la donna è anche più abile nell’uso del linguaggio, mentre l’uomo sembra essere più inclinato verso le specializzazioni come nel caso dell’arte, della meccanica e così via. E se in passato la letteratura era di preponderante dominio dei maschi, ciò dipendeva dal fatto che,  allora, la donna era mantenuta in uno stato di forte sudditanza e di limitata alfabetizzazione; oggi, tuttavia, nel mondo moderno e continuamente più evoluto, essa risulta ormai totalmente emancipata ed indipendente; così, nella moderna letteratura, la presenza femminile è sempre più affollata e, non a caso, con innegabile crescente meritato successo.

Ebbene, questa encomiabile opera di Robin Dunbar, pur non essendo destinata alla grande diffusione, risulta di non difficile ed alla portata di qualsiasi lettore ed è, dunque, oltremodo utile alla comprensione della storia dell’evoluzione umana anche se, conseguentemente, il suo contenuto possa generare qualche dubbio, se non addirittura qualche dilemma sulla solidità delle religioni basate sulla – oso dire – ambigua concezione del creazionismo che, per interi millenni, ha potuto proporzionare e mantenere vive fra gli umani, anche le più stravaganti credenze, che oggi non tutti oserebbero sottoscrivere e pronti a sostenere; infatti, non è difficile intendere come sia stato dato tanto incondizionato, quanto ingiustificato credito, a tutta una caterva di fantasiose credenze e quanta fiducia è stata depositata per tanto tempo ad altrettante insolenti superstizioni, pur essendo in frontale conflitto con le più irrefutabili evidenze della scienza.

Del resto, forse conviene ricordare agli irriducibili incondizionati credenti – che potranno offendersi dinanzi di tanta impertinenza – che anche definizioni come Dio, Padre Eterno, Creatore, Onnipotente e così via, sono solo semplici espressioni idiomatiche, puramente generate dalla mente umana e che si originano non dalla diretta conoscenza, ma dall’inspiegabile dubbio: dal mistero. Ovviamente, nella solita maniera astratta, potranno certo affermare che sono tutti concetti e termini ispirati dalla presenza o dall’influenza di Dio, come sostengono i difensori delle Sacre Scritture, Antico e Nuovo Testamento  compresi, Opere, attribuite alla diretta ispirazione che Dio ha trasmesso all’essere umano, arrivando al punto paradossale di attribuire a – chiamiamola pure – Misteriosa Entità, caratteristiche tipicamente umane, come aspetto fisico con barba e verbo. Eppure, qualsiasi definizione che si possa dare a tale Mistero, non costituisce altro che il frutto dell’immaginazione degli individui e della fallace e limitata capacità interpretativa umana; per natura, gli umani sono indotti ad attribuire a tutti i fenomeni un determinato significato od un origine: ogni conoscenza e la rispettiva comprensione deriva da una rispettiva esperienza ed in mancanza di una specifica prova, si tende ad inventare una giustificazione. Non è a caso che molti credenti, quando pregano, rivolgono il proprio sguardo al cielo; infatti, ciò ha una genesi precisa e facile da spiegare: non tanto perché l’esperienza insegna che la sede del Dio si troverebbe nell’alto dell’immensità dei cieli; infatti, la presenza di questa Misteriosa Entità – in ultima analisi – si trovare ovunque e la più palpabile presenza è perfettamente visibile nella concreta e tangibile esistenza che ci circonda ed in noi stessi, nella vita in generale e, principalmente nei reali fenomeni della natura e nelle sue variegate palesi manifestazioni. Tuttavia, i primitivi, osservando l’accecante bagliore del Sole, non avendo migliori spiegazioni, si rivolgevano a quella misteriosa fonte di luce e di energia, a loro del tutto incomprensibile che si rinnovava ad ogni nuova giornata, invocandone i favori; e quella sede di fuoco diventerà anche quella di Zeus, di tutte le divinità solari ed appunto, anche di Deus che spesso è rappresentato da un occhio  con i suoi illuminanti raggi – dello spirito – che tutto osserva e vede.

E per concludere, finalmente, è possibile aggiungere che se Dio è eterno, com’è lecito presupporre, indipendentemente dal significato che si possa attribuire all’Eterno Mistero, ossia <<Ciò che E’ >> – come viene definito dalla tradizione induista – ovvero, senza inizio e senza fine e, se si trova ovunque, non potendo darne una dimensione finita e, quindi, essendo infinito, come potremmo noi miseri, umili umani darne definizioni finite? Gli antichi Ebrei questo lo avevano già capito al punto che il nome di Dio non poteva essere nominato; ed io intendo che proprio per questo fatto, non esistono e non è possibile ricorrere ad espressioni finite per ciò che è eterno ed infinito. E questa pratica sopravvive ancora nella tradizione massonica – e contrariamente a ciò che si dice, i Massoni non sono affatto atei, anzi, credono fermamente nell’esistenza in Dio e ciò, magari, di più di certi fedeli che frequentano le chiese, e che fosse vanno a pregare solo meccanicamente; invece, i massoni, in senso esteso, definiscono Dio come  Il Grande Architetto Dell’Universo -, ed  in questa stessa logica, l’equivalente del termine che usano per Dio, non può mai essere pronunciato per intero.