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I PROCESSI MIGRANTORI NON SONO UNA NOVITÀ

In totale controcorrente con grande parte dei miei connazionali, autori come Vittorio Feltri Nicola Porro – che ogni tanto seguo, apprezzo ed ammiro – compresi, pur visitando regolarmente l’Italia anche più volte all’anno, vedo e giudico la mia Patria da un punto di vista diverso, dall’esterno. Infatti, dopo aver trascorso oltre 40 anni all’estero, dove risiedo, con mia grande soddisfazione – nonostante i problemi che affrontiamo in questo emisfero – sono dell’avviso che la diversità non dev’essere condannata, bensì incoraggiata, senza fomentare paure di certi fanatismi (politici, sociali, religiosi ecc.) che si alimentano nel preconcetto, nella discriminazione e che sopravvivono principalmente nel timore quando non addirittura nel sottosviluppo di una vera mancanza di cosmopolita consapevolezza.

Le polemiche che attualmente in Italia si moltiplicano sull’accoglienza e peggio ancora di più sul diritto alla cittadinanza di bambini che nascono e crescono nel nostro Paese, molto francamente, non le posso condividere; ho convinzioni formate forse perché, la mia indole libertaria e la mia formazione cosmopolita, non mi permettono di concepire certe posizioni, o forse dovrei dire astrazioni e certi, oso dire, quasi atavici, provincialismi nostrani. Sono decisamente favorevole allo Stato minimo, anzi a Stati minimi, dove ogni modesta collettività è chiamata ad amministrarsi ed a gestirsi, fuori dal guscio protettivo, coercitivo e riduttivo di un potere centrale soffocante che, con il pretesto di pensare a tutto ed a tutti, confisca le libertà individuali per cederle in formato di concessioni contro determinati tipi di licenze ai sovrani cittadini ridotti a meri sudditi e, con la falsa pretesa di rendere giustizia a tutti, finisce per penalizzare proprio i migliori, distribuendo indiscriminatamente ai molti ciò che chiama “diritti”, magari sempre a scapito di altri pochi, ai quali i propri autentici meriti sono sommariamente negati.

In altri tempi, prima che si costituissero gli attuali Stati, le cose andavano in modo diverso; il numero di leggi non si confondeva con il caotico groviglio di norme, proibizioni e protezionismi particolari che inibiscono le iniziative degli individui, quando molte regole restrittive per ambigui dettami in contraddizione si rivelano in conflitto fra di loro. Allora, ogni piccola comunità si gestiva a proprio modo e gli individui potevano circolare senza tutte le limitazioni che l’attuale potere politico costituito si aggiudica di poter imporre, considerando i propri abitanti quasi come una specie di proprietà del pubblico potere. Ragione per cui, richieste di indipendenza come quelle della Scozia o della Catalogna non mi scandalizzano affatto, anzi. Basterebbe guardare all’ordinamento della Svizzera, dove quattro comunità linguistiche distinte convivono in una federazione che può servire da esempio. E per meglio intendere il concetto basterebbe leggere OLTRE LA DEMOCRAZIA degli autori olandesi Frank KarstenKarel Beckman.

Ma veniamo all’assunto delle migrazioni: oggi si parla tanto e con crescente orrore delle nuove invasioni “barbariche” come se i movimenti migratori fossero una novità; così, come spiega il libertario Fréderic Bastiat a proposito del collettivismo, si mette in evidenza ciò che si vede e si tace su ciò che non si vede. Eppure, forse, sia utile ricordare come questi fenomeni facciano parte della più naturale delle leggi di tutto il mondo animale, umano e perfino vegetale; processi che sono sempre esistiti e, fortunatamente, per il bene dell’esistenza, non sono mai cessati. Gli umani sono dinamici come lo è l’esistenza; non ci si può isolare nella propria torre d’avorio, si rischierebbe di ingessarsi e finire nel fatale declino. Ogni volta che una collettività od una Nazione hanno scelto l’isolamento, hanno fomentato la loro inevitabile decadenza. L’esempio più eloquente ce lo fornisce la storia dell’Impero Cinese che per millenni è stato all’avanguardia della conoscenza nei più diversi campi delle scienze e tecniche, avendo inventato e scoperto di tutto, dai caratteri mobili alla carta, dalla polvere da sparo alle armi, dalla porcellana alla seta, dall’acciaio alla bussola ed all’orologio, dal timone alle correnti oceaniche, grazie alle quali l’ammiraglio Zhen He con la sua Flotta d’Oro ha fra l’altro visitato le Americhe 70 anni prima di noi, fino a quando l’Impero Celestiale è stato conquistato da Popoli che mossi da una visione aperta e sotto l’impulso della curiosità di scoprire e di raggiungere nuovi orizzonti, spinti dallo spirito di conquista e dalla necessità di scambiare conoscenze e beni, pur non essendo culturalmente superiori.

Noi, a maggior ragione oggi, non ci possiamo isolare perché, mai come ai nostri tempi tutti hanno bisogno di tutti, principalmente per ragioni biologiche, perché ogni singola comunità, nel suo ridotto cosmo, affronta, minacce, pericoli e problemi specifici per i quali sviluppa soluzioni adeguate, mentre ignora modi e metodi altrui; infatti, molto distanti da noi si acquisiscono esperienze che possono essere utili anche ad altri; inoltre, allo stesso tempo, i propri organismi in altre regioni, sviluppano difese contro i mali a cui sono stati soggetti in passato, possibilmente in grado di addirittura estinguere minoranze di altri luoghi, com’è avvenuto nelle Americhe dove il vaiolo ha decimato Popolazioni intere.  Pertanto, non è solo una questione di scambio di idee, esperienze e di beni ma anche di geni che diventa oltremodo importante per la sopravvivenza delle singole comunità e quindi per il progresso universale.

Nello specifico, il nostro Paese si sta, a lunghi passi, invecchiando pericolosamente e con il nostro modello politico, dove ad ogni anziano viene assicurata una generosa quanto costosa assistenza, le risorse si stanno drammaticamente rivelando insufficienti e ci vorranno urgentemente nuove generazioni per mantenere il crescente numero di anziani la cui longevità aumenta ad ogni lustro. E non saranno i nostri cagnolini né gatti di compagnia che amorevolmente sostituiscono i nostri bambini, in grado di generare la ricchezza necessaria ad assolvere a certe coperture. Senza nuove generazioni che producano ulteriore ricchezza, non ce ne sarà da distribuire nemmeno per i più giovani.

Il nostro Paese, il nostro continente, il mondo, l’esistenza non sono un’immagine statica come se fosse una fotografia fissa; il nostro universo è dinamico, fatto di  microcosmi in continua mutazione e non si giustificano certe prese di posizioni per le quali, ci si dovrebbe chiudere su se stessi, creando ostacoli per isolarsi dal resto che ci circonda. Non siamo un’isola felice e molto meno siamo autosufficienti; siamo, invece una ridotta parte geografica che, in modo inconsapevole per noi, si muove, evoluisce ed è in costante mutazione, dove tutto in un moto continuo cambia; cambiamo anche noi, la nostra conoscenza; anche il nostro modo di pensare si modifica, perché non può ci si può fossilizzare in un passato ormai morto. Noi siamo la storia di ieri, del presente e dell’avvenire in cui le stesse migrazioni sono parte integrante di questo incessante processo evolutivo in costante trasformazione.

A coloro che ingenuamente credono che esistano molte razze, bisogna spiegare che, come noti scienziati di prestigio internazionale del livello di Cavalli Sforza in GENI, POPOLI E LINGUE ci insegnano che la razza umana è una sola. Ci sono sì le etnie che si formano nei distinti ambienti, ognuna delle quali con le sue conoscenze e tradizioni, che a volte non comprendiamo e spesso non sono accettate; tuttavia, nessuna Nazione è depositaria della verità assoluta, perché la verità assoluta non è altro che la somma di tutte le verità relative. E, contrariamente a ciò che sostengono i collettivisti, noi non solo non siamo tutti uguali, ma, anzi, siamo tutti – Popoli ed individui – diversi con aspirazioni particolari e meriti e demeriti specifici che ci distinguono. Ogni individuo con la sua struttura ha le sue sensibilità, le sue limitazioni, le sue aspirazioni e le sue esperienze dalle quali derivano nozioni ed interpretazioni distinte e del tutto uniche. Tutti abbiamo molto da imparare dagli altri che, a loro volta, hanno tutti qualcosa da imparare da noi. Quindi, non è dall’equilibrio a cui molti alludono, né dalla stabilità che si sviluppa il benessere ed il progresso. È dallo scontro, dagli squilibri e dal confronto nella competizione che emerge il progresso. Ed a questo proposito mi sembra opportuno segnalare ed ai più scettici, raccomandare una straordinaria quanto didattica lettura di Michele SilenziMOVER – Odissea contemporanea, dove l’autore appunto dichiara che l’equilibrio e la stabilità sono solo la morte.

Purtroppo, noi Italiani eterni provinciali impenitenti siamo ancora eccessivamente conservatori, con lo sguardo rivolto su noi stessi ed alla storia de nostri predecessori,  viviamo nella convinzione di essere superiori a molti altri, ma non lo siamo… I nostri connazionali  in buona parte, soffrono di una perversa vanità congenita. È comune sentir dire che il nostro è il più bel Paese al mondo; che la nostra è la migliore cucina, che noi siamo i più bravi, i più astuti, i più abili e così via. La verità è che sì, siamo un po’ narcisisti; gelosi di ciò che abbiamo e di ciò siamo; è pur vero che molti ci invidiano, ma altrettanti ci compatiscono pure; questa è la realtà; e credendo di aver molto di più da insegnare che da imparare, siamo condizionati da una buona dose di conformismo. Chi ha messo il dito nella nostra ferita esposta è stato Tomaso di Lampedusa nel suo famoso IL GATTOPARDO in cui spiegava com’è necessario cambiare tutto affinché prevalga l’equilibrio, conservando le condizioni esistenti uguali; eppure, il tempo passa e tutto tende al cambiamento… così, vivendo nel terrore che un domani si debba affrontare un’esistenza ignota e comunque differente da quella presente, qualsiasi novità capace di minacciare lo stato esistente che scombussoli certi equilibri, ci toglie il sonno.

Il grande autore liberale messicano, Premio Nobel per la letteratura Octavio Paz, nel suo saggio EL OGRO FILANTRÓPICO (Il Mostro Filantropico), spiega come i suoi conterranei, consapevoli di discendere da una ricca tradizione storica, sono più propensi a guardare indietro, piuttosto di concentrarsi ad interpretare meglio il presente e si rendono così incapaci di prepararsi a fronteggiare l’incerto futuro. Il paradigma di adatta perfettamente anche a noi Italiani. Molti di noi, Italiani in particolare ed Europei in generale, credono ancora di vivere nell’ombelico del mondo, di essere il centro culturale del pianeta, se non addirittura la culla della civiltà umana, mentre oggi, a poco a poco, stiamo ormai diventando solo una mera periferia spaventata da tutto quello che non si identifichi con ciò che crediamo di possedere e di conoscere; temiamo di perdere la purezza della nostra identità, di contaminare ciò che è nostro e spesso siamo eccessivamente refrattari a quello che ci sembra troppo diverso.

Nel caso degli islamici radicali, certo, esistono spiegazioni per cui ci incutono forti timori e non poco rancore; eppure, per molti versi, sono in ritardo di secoli rispetto a noi e le loro obsolete superstizioni dovrebbero, piuttosto, farci sorridere perché del tutto incompatibili ed oltremodo estranee a questo mondo moderno. È da questo che dobbiamo aver paura? Figurarsi! Del resto, anche noi che ci attribuiamo tanta superiorità, abbiamo ancora una miriade di persone che invocano favori,  pregando e ringraziando un Dio dalle presunte sembianze antropomorfe, convinte che ci ascolti nelle  nostre diverse lingue e che credono e giurerebbero ancora che il mondo, come con la sua bacchetta magica, sia stato creato in sette giorni. Naturalmente, non è superstizione: è Fede sulla quale è assolutamente superfluo discutere. Tuttavia, con il progresso, con l’evoluzione, con la conoscenza, certe convinzioni non potranno resistere per sempre e da tempo,ad ogni nuovo anno che passa tendono ad indebolirsi. Infatti, ci sono sempre meno preti e le chiese sono sempre meno frequentate.

Ad ogni modo, in un Paese che drammaticamente invecchia e che stenta a rinnovarsi – se non solo nelle superficialità di certe ambigue mode frivole e passeggere – oltre che di sangue nuovo, c’è bisogno di ogni genere di confronto con l’esterno, con il diverso, anche quanto sembri non poter contribuire o servire da utili esempi, ma che comunque costituiscano sempre modi e nozioni che di fatto possono trasmettere esperienze utili ed in grado di insegnare ad evitare errori od anche a seguire nuove strade alternative a noi ignote e forse migliori e già percorse da altri. Non ci sono dubbi che se la conoscenza ha continuato il suo inarrestabile ed irresistibile percorso, oggi che anche i più umili ed ignoranti hanno accesso all’informazione, dobbiamo essere preparati a ricevere e valutare nuove nozioni ed a considerare nuovi valori, cogliendo sempre nuovi stimoli da ogni parte del mondo, incluso dai nuovi visitanti che completino un nostro sapere acquisito localmente, con quello che giunge da lontano.

Ci si lamenta delle invasioni esogene come se fossero un male, ma questo è solo un aspetto superficiale, oltre che un’interpretazione affrettata che contempla l’immediata attualità, ma che deve essere riconsiderata alla luce di più lunga scadenza. Io non credo che una religione rimasta ferma per quasi un millennio e mezzo, possa trasformare il nostro continente in una zona sottosviluppata di livello medievale. Non per niente, perfino la nostra stessa religione, sta perdendo credito, specie quando pontefici e cardinali si aggiudicano il diritto di intromettersi nelle questioni temporali, politiche, economiche, sociali ed ambientali, relegando la missione delle loro questioni spirituali come la “cura” delle anime ad un secondo piano. Perciò, credo piuttosto il contrario, ossia che con il passare del tempo, a scadenza più avanzata, queste minoranze inclinate al fondamentalismo esasperato, oltre che a portarsi addosso le loro superate concezioni per noi estranee, prima o poi assimileranno molto del nostro; questo, anche perché i tempi ormai sono troppo cambiati e sbagliano coloro che credono che si possa tornare indietro. La modernità non si può arginare; ci potrà essere un ritardo, come avviene con altre antiche comunità religiose, per esempio in India o addirittura con i Mormoni negli Stati Uniti, ma la conoscenza si imporrà e le nuove generazioni certamente non saranno disposte a rinunciarvi.

In fondo, chi conosce la storia dei migranti italiani, sa benissimo che, quando noi eravamo un Popolo sottosviluppato in piena miseria, milioni di nostri connazionali, moltissimi dei quali analfabeti, hanno invaso i “paradisi” altrui, soffrendo la stessa discriminazione che noi ora riserviamo ai “diversi” e di cui oggi non si osa parlare. Anche allora si accusavano ed attribuivano stereotipi similari ai confusi esuli italiani in terre straniere, di cui si accusano attualmente gli avventurieri che riescono a raggiungere le nostre coste. Eppure, alla seconda e terza generazione dei Nostri, nei Paesi in cui, seppur con non poca iniziale diffidenza, sono stati accolti, si sono ormai assimilati; ed oggi si confondono con tutti gli altri. Anche allora, soprattutto in seguito alla devastante epidemia pebrina che ha decimato i nostri bachi da seta, generando una tremenda crisi alla sericoltura italiana, aveva indotto milioni di individui e di famiglie ad emigrare, molti dei quali perivano nelle stive dei bastimenti, mentre molti mendicanti arrivavano ammalati e poco propensi all’igiene nei Paesi che riuscivano a raggiungere. Sono verità che non possiamo nascondere sotto il tappeto dell’ipocrisia. Ed a questo proposito, affinché gli avversari dell’accoglienza possano meglio capire il dramma di come in passato i Nostri sono stati accolti, raccomando caldamente due eloquenti opere che a tratti si leggono con un nodo in gola e con le lacrime che segnano le nostre guance: L’ORDA – Quando gli Albanesi eravamo noi, oppure ODISSEE – Italiani sulle rotte del sogno e del dolore – di Gian Luigi Stella, anche perché esse contengono ampie utilissime quanto pedagogiche bibliografie.

Ora, ci si lamenta che onde di esogeni arrivano per portare via lavoro agli autoctoni; forse, ed in parte sarà anche così; tuttavia, molti dei Nostri devono perdere la ripugnanza di sporcarsi le dita, di formarsi i calli alle mani, arrotolandosi le maniche ed imparando di nuovo a sudare la camicia come hanno fatto i nostri nonni ed i nostri genitori. È bene che capiscano come non tutti potranno guadagnare bene lavorando poco e comodamente dietro una scrivania, magari a servizio di una flemmatica burocrazia del potere politico. Molti dei Nostri hanno bisogno di intendere il significato del sacrificio, cosa che la nuova recente generazione, imbottita di falsi paradigmi che non si stanca di fare ambigue  esigenze, invocando sempre più diritti senza, però fare concessioni o cedere ai propri doveri civici.

Gli stranieri che arrivano – certo non tutti – nella grande maggioranza, sono disposti a mettersi alla prova ed accettano funzioni, sovente umilianti, che i nostri giovani molto, troppo, spesso declinano. Ciononostante, se proprio vogliamo che molti di questi “indesiderati” se ne rimangano a casa loro, è bene che la stessa Unione Europea faccia la sua parte, in primo luogo cessando magari di far loro concorrenza sleale, quando distribuisce sussidi a settori come quello agricolo per sostenere colture di poco valore aggiunto o di limitata produttività, dove gli “esogeni”, magari, sono molto più inclinati a tale vocazione, mentre, molti di questi che riescono a raggiungere le nostre coste senza perire, si adattano ad andare a fare quei faticosi e scomodi lavori manuali nelle campagne che i Nostri ormai rifiutano.

In questo contesto, gli insensibili politicanti stanziati a Bruxelles o Friburgo, insieme alle loro deleterie appendici burocratiche, hanno non poche responsabilità e gli Inglesi della Brexit le hanno sfruttate come pretesti per togliere il disturbo. Infatti, invece di riservare preziose quanto biasimevoli sovvenzioni alla produzione di latte, carne, barbabietola ed ai rispettivi derivati eccetera, per proteggere un modesto 2% della Popolazione attiva nell’agricoltura, a scapito del resto degli Europei che poi pagano prezzi più cari non solo per quei prodotti, ma sono tassati per mantenere quella gente – soprattutto nelle fattorie in Francia e Germania -, quando si dovrebbero incentivare le nuove più moderne coltivazioni a valore aggiunto; infatti, quegli stessi capitali sprecati si potrebbero destinare alla ricerca ed all’innovazione; alla modernizzazione delle colture, lasciando finalmente perdere gli assurdi pregiudizi ideologici nei confronti degli OGM che il resto del mondo ormai ha definitivamente adottato. Allo stesso tempo, si eviterebbe l’ingiusta concorrenza del tutto sleale ai coltivatori ed allevatori Africani – e non solo a loro -, mentre si ridurrebbero gli stimoli ad abbandonare le loro terre per cercare fortuna e condizioni di vita migliori in Europa.

Ora, a proposito del cosiddetto “Jus Solis“, è utile osservare che a qualsiasi individuo che nasca e cresca sul nostro suolo non può essere negato il diritto alla nostra cittadinanza. D’altra parte, il nostro Paese che non è una Nazione omogenea perché in sé già conta con minoranze tedesche, francesi, albanesi, greche, catalane ecc. ecc., ogni anno – sulla base dello “Jus Sanguinis” distribuisce migliaia di passaporti a cittadini oriundi italiani, ma pur sempre stranieri – e sono circa sessanta milioni nel mondo -, ma che nella loro grande maggioranza non hanno mai messo piede in Italia e che raramente parlano la nostra lingua; spesso non sanno nemmeno da quale parte dell’Italia provenivano i loro nonni.  E la cosa non mi scandalizza. Tuttavia, parallelamente, riconoscere il diritto di cittadinanza a chi nasce, cresce e vive  in un determinato Paese, nonostante i propri genitori forestieri, non può essere considerata assolutamente una mera stravaganza ma, a mio avviso, un sacrosanto dovere. Negli Stati Uniti, per esempio, agli stranieri che ottengono la cosiddetta “green card”, ossia, il permesso di soggiorno permanente, dopo un determinato numero di anni, il governo impone che assumano la cittadinanza americana o tale permesso non è rinnovato, dovendo lasciare il Paese. E se, per caso, in determinate circostanze, dovessero essere deportati, ed avendo figli nati negli Stati Uniti, essendo questi legittimi cittadini americani, non è affatto escluso che questi possano essere trattenuti, mentre i genitori dovranno andarsene.

Personalmente, essendo figlio di madre di lingua tedesca e di padre italiano – quindi bilingue dalla nascita – dopo aver trascorso decenni – per completare gli studi e per lavoro – in Inghilterra, Francia, Spagna ed in Africa Centrale, vivendo ormai in America Latina da molti anni, ho figli e nipoti nati in Paesi e Continenti differenti, titolari di più di una cittadinanza e che parlano diverse lingue – solo io conservo l’unica cittadinanza italiana, per mia propria scelta -; inoltre, dopo aver trascorso una vita viaggiando dalla Scandinavia al Sud Africa, dagli estremi dell’Occidente agli estremi dell’Oriente – cosa che continuo a fare ancora -, mi riesce piuttosto difficile riconoscermi limitatamente come un semplice comune cittadino italiano. Pertanto, credo di poter vantare i titoli per considerarmi un autentico individuo cosmopolita; e sento, invece, di dover assumere la mia condizione di cittadino del mondo che non solo non teme il confronto con i diversi, ma addirittura lo difende nella maniera più aperta ed ampia, proprio perché, dopo aver conosciuto tanti Paesi e tanti Popoli, non riesco a ridurre la diversità ad un male ma, al contrario, sono convinto che costituisca un bene più assoluto.