Dell’Avvenire

Con l’articolo L’UMANITÀ A RISCHIO DI ESTINZIONE? Gianni Pardo, come al solito, propone argomenti oltremodo interessanti e di grande attualità e che stimolano il ragionamento ed inducono al dibattito. L’autore, ancora una volta, con la sensibilità e la perspicacia che lo contraddistinguono, suggerisce un tema spinoso, polemico ed in questo momento, per noi Italiani, anche imbarazzante.
Esso meriterebbe l’attenzione soprattutto dei pessimisti, ovvero di coloro che sovente manifestano le proprie inclinazioni al razzismo, non perché di fatto le loro idee sono impregnate di connotazioni razziste, ma forse per il semplice fatto di non essere sempre in grado di focalizzare tanto gli aspetti positivi come quelli negativi di un determinato processo. Io, per esempio, senza la pretesa di negare la gravità di certi fatti, credo che perfino negli episodi meno gradevoli è possibile identificare aspetti positivi.
Coloro che si lasciano dominare dalle emozioni primarie, delle quali nemmeno io sono esente, magari non vedono l’altro lato della moneta di una stessa realtà. Ragione per cui interpretano l’arrivo di “invasori” come un fenomeno estraneo alle leggi della natura, mentre in realtà si tratta di una delle più antiche norme fin dai giorni in cui i primi esseri umani pensanti hanno abbandonato l’Africa per distribuirsi su tutta la crosta del globo. Nei millenni seguenti ogni singolo gruppo si è adattato alle circostanze specifiche del clima e dell’ ambiente in cui si insediava, assumendo caratteri particolari in difesa della propria sopravvivenza e sviluppando lingue e tradizioni distinte.

Ora, coloro che non credono all’utilità dello scambio di esperienze, né all’importanza dei contributi che ci possono giungere dalla conoscenza altrui, o che tremano davanti all’eventualità che caratteri genetici di popolazioni diverse possano mescolarsi a quelli dominanti, in fondo, sono vittime di generico pregiudizio e di antichi preconcetti. Ragioni analoghe hanno indotto tanto i Greci come i Romani, a discriminare gli stranieri che non erano considerati cittadini, bensì barbari; barbaro significava straniero; con il tempo ha assunto carattere dispregiativo per via dell’incomprensione dei costumi e delle pratiche che distinguevano altre popolazioni. Eppure, proprio Tacito raccomandava prudenza, ricordando proprio che quei “barbari” avevano ancora lezioni da impartire ai Romani civilizzati, sì, ma ahimè orfani delle antiche virtù di cui si erano serviti per diventare importanti. Cosa sarebbe del mondo senza quei barbari? Stirpi di Greci e Romani non sarebbero sopravvissute e noi, oggi potremmo avere la fisionomia degli eredi di Attila.

Ebbene, nel tentativo di reagire al loro inconsapevole fatalismo, coloro che temono i “barbari” odierni, predicano l’erezione di barriere in difesa di una presunta inevitabile catastrofe che questi nuovi spostamenti umani potrebbero arrecare, anche se in tutta la storia umana questi spostamenti si sono – per fortuna dell’umanità – sempre verificati. Certo, tali processi hanno pure prodotto ripercussioni e traumi; ma affermare che quegli eventi sarebbero sempre stati tutti negativi è ingenuo, perché dalla stessa storia apprendiamo come ogni civiltà, nasce, evoluisce ed al suo apice tende a tramontare. Dunque, il timore che migrazioni di “impuri”, invasioni di “infedeli” e l’arrivo di masse “miscredenti”, con abiti e costumi contrastanti, che ai nostri paradigmi non sopportano il confronto di modi di pensare e del vivere comune possano, non solo contaminare la “purezza” e l’ unicità delle nostre culture – chiamiamole così – , ma che certi interventi esterni metterebbero addirittura in gioco l’avvenire della propria stirpe, è il più innocente degli equivoci.

Questa maniera di concepire la realtà non solo produce un grande malessere, banale odio ed intolleranza ingiustificata; induce la massa ad alzare gli scudi ed a gridare al nemico in coro. Il coro, secondo me, è bello quando è formato da molte voci .

Oh, sì, da un certo punto di vista si tratta di una reazione comprensibile anche se – a mio avviso – ingiustificata. Non sono nemmeno reazioni nuove: le stesse discriminazioni le abbiamo sofferte noi stessi fino a qualche decennio fa, all’ epoca in cui noi Italiani costituivamo gli Albanesi od i Maghrebini di turno. Allora, in un lungo elenco di popolazioni più o meno ospitali che ci accoglievano, c’erano gli intolleranti di piantone che dicevano di noi proprio ciò che noi diciamo oggi dei disperati della situazione. Allora, eravamo noi che gridavamo allo scandalo, all’ingiustizia.

Purtroppo, molti di noi, o ignorano i fatti di proposito, perché magari se ne vergognano, o non godono semplicemente di buona memoria per la storia. Infatti, oggi discriminano tutti coloro che non hanno avuto l’opportunità di progredire per via dei capricci degli eventi; così come in altri tempi noi eravamo visti come degli intrusi, dei mendicanti, dei banditi, dei mafiosi, degli ignoranti e straccioni, che non conoscevano le più elementari norme dell’igiene. E’ inutile che si contestino queste realtà storiche perché a questo proposito c’è una ricchissima letteratura. Se, dunque, ciò costituiva ingiustizia a quei tempi, allo stesso modo è sbagliato il nostro atteggiamento odierno.

Gianni Pardo mette, perciò, in luce un problema vivo che induce a riflettere anche i lettori più distratti. Di fatto, continuando di questo passo, l’Occidente rischia veramente di essere schiacciato dall’ invadenza numerica di un Oriente sovrappopolato. E’ tranquillizzante, intanto, proprio la spettacolare esplosione dello sviluppo economico/industriale dei due Paesi più popolosi: Cina ed India. Questi, dopo essersi liberati dei regimi in cui prevaleva l’azione collettivista e l’intervento dello stato, ora, sono avviati alla modernità, adottando i nostri modelli e cominciano a dominare anche le tecnologie più moderne e sofisticate.

Chi bazzica negli affari sa benissimo che sotto moltissimi aspetti gli Asiatici sono più efficienti, più dinamici e più aggressivi; se facciamo delle richieste ai Cinesi ed Indiani il giorno seguente abbiamo le loro risposte; e cosa ci aspettiamo dagli Europei? Merito loro e colpa dei nostri sistemi paternalisti. Come conseguenza più logica e naturale c’è da attendersi, quindi, sì, un’ invasione fisica dai Paesi meno ricchi, e non solo con prodotti industrializzati.

Possiamo supporre, inoltre, che adotteranno pure stili di vita sempre più simili ai nostri, in cui gli individui potranno finalmente aspirare alla propria realizzazione personale, perseguendo il proprio progresso, per conquistare un tenore di vita sempre più elevato e più abbondante di comodità ed un’indipendenza individuale. Ma oggi sono affamati di consumismo come lo eravamo noi in altri tempi. Da un certo punto di vista, ci si può attendere che pure loro raggiungeranno un grado di consapevolezza individuale; qualità che oggi contraddistingue proprio i popoli più emancipati e ricchi.

Allora, pure loro subiranno gli effetti del benessere generale; diventeranno più consapevoli, si accomoderanno e forse aspireranno ad un altro genere di felicità. E’ più che probabile che anche per loro si riprodurranno circostanze similari a quelle che hanno interrotto l’espansione demografica nei Paesi dell’ emisfero settentrionale. Malgrado i numerosi allarmismi, l’espansione demografica sta rallentando nei Paesi dove dieci anni fa sembrava esplodere; Gianni Pardo ha ragione.

Consoliamoci, dunque: nella misura in cui il benessere raggiungerà quelle contrade, anche le famiglie dei Paesi oggi meno ricchi potranno includere fra le proprie indispensabili priorità il più efficiente dispositivo contraccettivo/anticoncezionale della scienza, che è – a mio avviso – la TV. Essa, quando non agisce da sonnifero – come avviene in Italia – funziona da potente mezzo di distrazione, capace di far dimenticare il più antico e godereccio piacere umano…

L’eccellente articolo del Professore mette, comunque, in evidenza vecchi e viziati equivoci ai quali la sinistra si è sempre e disperatamente aggrappata. Si tratta della convinzione pessimista che il mondo sarebbe diventato sempre più stretto e quindi più povero; che la ricchezza era una torta, dove chi ha di più toglie a chi ha di meno, dimenticando le straordinarie capacità umane di creare ricchezza e benessere, attraverso il capitale umano che sono le idee, a prescindere dai limiti delle ricchezze naturali disponibili che non sono affatto limitate, come pessimisticamente prevedeva Malthus, Ricardo ed altri.

Secondo questi l’umanità si trovava alla vigilia di un’apocalittica catastrofe. Un’occasione d’oro da non perdere per i nemici della libera iniziativa; infatti, la prendevano al volo con il massimo entusiasmo. Suggerivano, dunque, la necessità di rimediare a quei gravissimi pericoli, invocando politiche economiche piene di regolamenti, di protezionismi e di limitazioni; imponevano, allora, i loro ben noti interventi pubblici che poi porteranno ai più evidenti e disastrosi fallimenti.

Coloro che oggi alzano gli scudi intonando il monotono ed assurdo canto del protezionismo, tornando indietro di oltre un secolo, sembrano non aver fiducia nelle capacità dell’essere umano libero, che sbaglia, sì, ma sa anche rimediare ai propri errori, purché lasciato libero di agire. Essi, al contrario, depositano tutta la loro fede negli strumenti della legge artificiale. Eppure, coloro che ancora credono sinceramente nella libertà in modo consapevole, ma che nonostante ciò auspicano misure protettive drastiche, dovrebbero meditare meglio su certe ingannevoli convinzioni. L’autarchia non è una soluzione ideale, lo abbiamo osservato non solo attraverso gli eventi dell’ antichità (la Cina è l’esempio più significativo), ma anche dalla storia recente, come quel periodo oscuro che è stato il fascismo.

Non alimentiamo, pertanto, tanti dubbi, perché su questa terra tutti hanno bisogno di qualcuno e nessuno può permettersi il lusso di dispensare il contributo altrui, perché nessuno ha il monopolio della conoscenza e nessuno è eternamente ricco o colto; noi siamo ricchi oggi, ma se ci chiudiamo su noi stessi scopriremo presto quale povertà ci potrà minacciare; e sarebbe catastrofico.