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VIAGGIO NEGLI STATI DEL GRAN MOGOL di François Bernier (Recensione)

IN DIFESA DELLE LIBERTA’ D’INIZIATIVA E DELLA PROPRIETÀ

Giusto, per rimanere nel tema della diversità di civiltà, mi sembra oltremodo utile dedicare una favorevole recensione di questa opera di François Bernier che, in un certo senso, nel tempo, è divenuta anche paradigmatica perché, essendo l’autore fra i primi Occidentali a descrivere la vita in India, dalle sue pagine hanno attinto diversi storiografi, sociologi, economisti e teorici che poi  hanno potuto utilizzare molte delle sue osservazioni sull’organizzazione sociale di quelle strutture orientali per dare una base alle proprie interpretazioni, critiche e tesi a favore o contro il modello economico pubblico o privato.

Qui, questa versione italiana, è stata arricchita anche da una eccellente prefazione del liberale Luciano Pellicani che, fra l’altro, cita un altro importante, quanto poco conosciuto pensatore, storiografo ed economista arabo – Ibn Khaldun – autore di un’ altrettanto significativa opera letteraria, un ampio trattato storico universale – KITAB AL-IBAR (Il Libro Degli Esempi Storici) mai tradotto integralmente; un trattato di notevoli ambizioni, una specie di storia universale del XIV secolo, di cui esistono parziali traduzioni francesi ed inglesi solo della Muqaddima (Introduzione). In essa, questo importantissimo autore arabo, anticipa alcune delle conclusioni che Bernier riprende tre secoli più tardi: partendo, appunto, dalla difesa degli stessi principi di libertà di iniziativa, includendo il diritto alla proprietà privata, considerati come autentici motori dello sviluppo e del benessere degli individui, mentre si condannano gli eccessi di quel potere politico forte e prepotente, dove il governante si aggiudica la prerogativa di tassare anche in modo esagerato le attività dei privati, mettendo in questa maniera in gioco quel circolo virtuoso generato dalla libertà economica.

Inoltre, Khaldun sostiene che la civiltà si può sviluppare solo nelle città, dove nascono nuove necessità che vanno ben oltre la semplice sussistenza; infatti, secondo lui, sono i lussi che generano nuovi prodotti, nuovi metodi ed attrezzi per produrli, dunque, nuove tecnologie da cui deriva pure la diversità dei compiti e la conseguente specializzazione e la divisione del lavoro. In questo, non sembra che ci siano dubbi che abbia anticipato anche i Vizi Privati e Benefici Pubblici de LA FAVOLA DELLE API del liberale Bernard de Mandeville. Si distingue pure anticipando l’osservazione di un altro importante difensore delle libertà e come, poi osserverà Montesquieu ne LO SPIRITO DELLE LEGGI, sostiene l’idea che non è la razza che determina le differenze di indole degli umani nelle diverse etnie, ma tali distinzioni anche fisiche dipendono solo dal clima, dall’ambiente.

Ebbene, ancora a distanza di tanto tempo, la lettura di Bernier, oltre a risultare facile e scorrevole, proporziona una più che valida lezione, proprio ai nostri giorni, principalmente a chi attualmente è delegato a gestire ed amministrare il potere e l’economia dei nostri Paesi. Infatti, mai come oggi, in buona parte  dell’Unione Europea, la grande maggioranza dei cittadini  vive e subisce questo stesso drammatico problema della voracità fiscale imposta ed attuata da un potere politico insensibile, altrettanto invadente e coercitivo, armato della stessa insaziabile ingordigia che alla fine porterà al declino di tutta il sistema e della stessa civiltà, già criticata da quegli stessi autori di allora.

Infatti, anche da noi l’irresponsabilità dei nostri insaziabili governanti sta praticando una politica suicida che compromette proprio quel benessere che nasce ed è propiziato dall’iniziativa dei migliori individui che ora, soffocati dal fisco, sono chiamati a farsi carico dei costi della nostra politica, delle sue appendici burocratiche e degli eterni corporativismi protetti, essendo finalmente, allo stesso tempo, scoraggiati ad investire, correndo rischi e con ciò continuare a generare ricchezza della quale, poi vengono ingiustamente privati. Ragione per cui, nonostante questo classico della realtà dell’ Impero Mogol in India sia stato scritto nel XVII secolo, oggi le sue pedagogiche pagine si presentano ancora – se non soprattutto – molto attuali.

Ma oltre ad insegnarci che la proprietà privata va rispettata e che agli individui deve essere permesso di operare in libertà, riconoscendo loro il proprio merito, senza che il potere politico giunga a certi estremi di sfruttare e scoraggiare le loro capacità più virtuose, privandoli del meritato frutto ottenuta dal rispettivo onesto operato, il libro ci fornisce uno straordinario panorama di un’India, all’epoca ancora scarsamente conosciuta, in cui l’autore descrive un quadro affascinante e molto differente da quello che immaginato in Occidente, ovvero, quello che erroneamente consideravamo un mondo rozzo, barbaro e selvaggio. Infatti, anche in India l’arte si esprimeva con notevole raffinatezza. Ed è proprio di quell’epoca una delle opere architettoniche – il Taj Mahal – ancora oggi più ammirate e visitate al mondo. Inoltre, è anche grazie a quanto Bernier rivela al suo rientro in Europa che, da allora in poi, la leggendaria India diventerà meta di una miriade di personaggi: avventurieri, viaggiatori curiosi, ma anche di intellettuali di tutto il mondo occidentale, che partono alla ricerca di abiti, costumi,  tradizioni, misticismi e filosofie esotici. E questo spirito sarà riscoperto nuovamente nella nostra modernità del secolo che si è appena concluso, quando una specie di contaminante febbre ha guidato altrettanti sognatori: gli hippies, i romantici figli della cosiddetta civiltà dei fiori, nell’illusione di scoprirvi nuovi modelli di vita.

Bernier, medico di 36 anni, già alunno ed ammiratore del filosofo francese Gassendi, a sua volta, contemporaneo di Galilei, e quindi parimenti mentori  di un nuovo ordine di pensiero, in diretto contrasto con gli assiomi aristotelici consolidati in una invecchiata visione irrigidita da troppe certezze, ora, a cavallo del rinnovato modo di concepire la realtà del mondo,  sulla voga della forte sete di conoscenza e di scoperte che si stava diffondendo negli ambienti della borghesia occidentale e nel 1656 decide di partire per l’Oriente. Inizialmente, intendeva conoscere l’Etiopia, ma dovendosi subito confrontare con la locale guerra civile, e, trovandosi già a metà strada, sceglie di proseguire sulla Via Della Seta, verso l’India. Dopo numerosi episodi avventurosi, in cui subisce rapine e viene perfino fatto prigioniero, alla fine, riesce ad arrivare alla corte della dinastia turco-mongola, appunto quella dei Mogol. Un po’ come  era capitato a Marco Polo presso la corte di Kublai Khan, anche Bernier verrà accolto con simpatia, ospitato inizialmente da Shah JahanIl re del mondo – poi dal figlio Auranzeb, al punto di poter perfino entrare nelle stanze più intime e protette, per prendersi cura delle sue dame nell’ermetico harem.

Durante un suo soggiorno nel Kashmir, rimarrà meravigliato dalle tante figure così somiglianti alla tipica fisionomia degli Ebrei; fatto notato anche da altri osservatori occidentali, dai quali si apprenderà che fra le famose tribù disperse, una parte si era rifugiata proprio fra l’Afghanistan ed il Kashmir. Altri autori faranno notare che numerosi nomi geografici ed altrettanti termini linguistici della zona,  per coincidenza corrispondono a quelli biblici. Del resto, troverà strana la concomitanza che molti abitanti del luogo portano il nome di Musa (Mosè), di Suleiman (Salomone) ed apprenderà perfino che, secondo la tradizione locale, lo stesso Mosè sarebbe sepolto nei paraggi di Srinagar e che quei musulmani conservavano un grande rispetto per la nostra religione. In fondo, ancora oggi, venerano molto lo stesso Isa (Gesù), considerato Hazrat (Maestà). Del resto, anche se Bernier non lo scrive, seguendo proprio questa stessa tradizione musulmana, si ritiene che proprio il sepolcro di Rozabal sarebbe dello stesso Profeta Isa (Gesù) il quale sarebbe sopravvissuto alla crocifissione, rifugiandosi ugualmente a Srinagar, dove qualche decennio fa, dopo una riforma di quella struttura, sotto gli strati secolari di cera delle candele, è stata trovata pure una lapide scolpita – che essi sostengono avere due mila anni – con la riproduzione dei piedi con le pronunciate cicatrici della crocifissione: è utile segnalare che i piedi, per i buddhisti, sono una specie di simbolo sacro perché costituiscono  il punto di collegamento fra lo spirito e la realtà terrena.

Bernier, dunque, dopo la permanenza di circa tredici anni nell’ “Indostan”, fa ritorno in Francia nel 1669 quando inizierà a far conoscere quel mondo ricco di misticismi, allora ancora ignorati in Occidente. La sua opera di autore ma anche di pensatore, in parte dedicata al suo antico maestro Gassendi, includerà anche argomenti filosofici. Questa è, quindi una di quelle eccellenti letture che sopravvivono al suo tempo e che si può certamente raccomandare, in modo particolare agli amanti della letteratura dei viaggi in cui si rivelano aspetti di un Oriente fino ad allora avvolto dal mistero e dalle leggende, ma anche ricco di storia e di una straordinaria cultura.