LA TERZA AMERICA

Un Manifesto La Rivoluzione – di Ron Paul (Recensione)

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In questi giorni si sta svolgendo un tenace confronto, non privo di colpi bassi, nelle primarie per la candidatura dei repubblicani dalle quali risulterà la nomina del più qualificato ad affrontare l’indebolito Presidente Obama; il primo presidente di colore degli Stati Uniti, eletto con una certa euforia dalle sinistre, ma certamente non con altrettanto entusiasmo dai conservatori, il quale non ha sicuramente soddisfatto molti dei suoi stessi elettori.Del resto, come molti di noi si aspettavano, il miracolo che gli Americani – e non – si erano illusi da questa apparente “messianica” nuova figura, non si è compiuto ed ormai sembrava quasi scontato che il presidente in carica non sarebbe stato rieletto; invece, gli ultimi avvenimenti indicherebbero che sarà per lui solo una specie di passeggiata e che otterrà la riconferma di un secondo mandato anche se la sua gestione non ha affatto convinto.

Eppure, fino a pochi giorni fa, erano numerosi quelli che avrebbero scommesso parecchio che in un diretto confronto, Mitt Romney alle prossime elezioni avrebbe potuto battere Obama. Invece, mentre i repubblicani si stanno ostinatamente azzannando fra di loro e non sapendo ancora chi sarà finalmente lo sfidante, Obama sembra acquistare nuovo vigore e può già cominciare a sorridere della lotta “fratricida” che si svolge attualmente sull’altro fronte…

Ciò che possiamo supporre, tuttavia, è che fra gli aspiranti canditati repubblicani a questa importante nomina per la nuova sfida, uno è veramente molto diverso dagli altri e – nostro malgrado -, dobbiamo ammettere che le sue possibilità di successo sono ahimè piuttosto scarse, se non addirittura insignificanti. E’ il caso di Ron Paul, un autentico libertario che propone un programma davvero singolare, volendo promuovere una vera nuova rivoluzione americana; per intenderci, una rivoluzione piuttosto pacifica, ma un’autentica rivoluzione per ciò che concerne l’economia ed in modo particolare gli impegni della politica estera del Paese più potente al mondo, per il fatto di voler tornare un po’ alle origini neutraliste di altri tempi.

Ed infatti, Ron Paul aveva annunciato già da tempo quelle che sarebbero le sue intenzioni, se la scelta cadesse su di lui, in un saggio finalmente disponibile anche in Italiano, pubblicato da una casa editrice specializzata in letteratura liberale: LA TERZA AMERICA – Un Manifesto – La Rivoluzione Liberilibri di AMA S.R.L., Macerata, tradotto da Stafano Cosimi http://www.amazon.it/terza-America-manifesto-revolution-Campidoglio/dp/8895481356/ref=sr_1_6?ie=UTF8&qid=1327180121&sr=8-6 € 16.00 di interessantissime pagine in cui l’ex deputato del Texas riepiloga le origini della concisa costituzione americana e quelle che erano le sue vere prerogative: in primo luogo la garanzia alle libertà come pure all’uguaglianza di opportunità per tutti i cittadini della federazione; ed in secondo luogo, il rispetto non solo dei diritti individuali, ma anche alle libere preferenze e scelte, come pure alla vasta libertà d’iniziativa degli Americani.

Egli non risparmia severe critiche a tutto ciò che i governi – tanto nelle gestioni repubblicane come dei democratici – hanno fatto in questi ultimi anni con continui interventi da parte del potere politico non solo nell’economia interna, ma anche – se non soprattutto – con interventi militari nelle diverse zone del mondo. Infatti, difende da una parte l’idea di totale astensione e neutralità del governo nell’economia ed in secondo luogo il deciso ritiro di tutti i soldati americani in giro per il mondo, dal momento che oggi militari americani sono presenti in circa 130 Paesi. Egli è fermamente convinto che questa politica non solo non aiuta gli Stati Uniti, ma li danneggia, poiché si tratta di un enorme spreco di risorse e ciò che è peggio, costituisce un forte pretesto che alimenta l’odio straniero nei confronti degli “occupanti”. Inoltre, intende che l’assurda presenza militare all’estero in Paesi come Germania, Italia, Giappone, Corea del Sud e così via non si giustifica da molto tempo.

In rapporto ai programmi di sanità pubblica fa osservare che come medico egli ha moltissime ragioni per opporsi frontalmente anche all’intervento politico nella gestione dell’assistenza alla salute e ricorda che da quando il governo ha deciso di arrogarsi la prerogativa di fornire ausilio ai malati indiscriminatamente anche quando non dispone di coperture, migliaia di società assistenziali private che prima erano generose nei confronti dei poveri, ora si sentono libere di non occuparsene più. Prima, invece, anche i singoli medici dedicavano particolare attenzione, preoccupandosene, alimentando seria responsabilità civica nei confronti dei più svantaggiati e riservavano praticamente tutti, volontariamente, parte del proprio tempo, all’assistenza gratuita di bisognosi e nessuno moriva per strada per mancanza di attenzione o di cure; ora, al contrario, da quando il governo ci ha messo le mani ed i soldi, oltre all’enorme spreco che ne è derivato – tipico in ogni attività gestita dall’amministrazione pubblica -, i poveri devono fare la fila, soggetta alle pratiche burocratiche che la caratterizzano, mentre la solidarietà spontanea diventa sempre più indifferente.

In questo senso, sì, i cambiamenti proposti da Ron Paul costituirebbero una vera rivoluzione che purtroppo i conservatori, ma allo stesso grado i cosiddetti “liberals” non comprendono; questi ultimi equivalgono ai nostri cosiddetti “progressisti” (giacché il termine “socialista” è ormai stato abbandonato da loro stessi), ma che in realtà, non sono comunque, altro che incalliti statalisti, simpatizzanti dell’intervento da parte del potere pubblico nella maggior parte delle attività che, in fondo e, secondo la costituzione americana, dovrebbero essere di pertinenza esclusiva della libera iniziativa privata.

Ed infatti, Ron Paul non esita ad esaltare idee di un altro grande autore libertario europeo, molto poco conosciuto – ahimè – dalle nostra parti, ma oltremodo noto fra i liberali, liberisti e libertari di tutto il mondo: il francese Frédéric Bastiat che oltre un secolo e mezzo fa preconizzava la libera circolazione di prodotti ed individui e la privatizzazione di tutte le attività, anche quelle che i politici si tengono strette, aggiudicandosele per potersi ripartire le fette delle torte del potere e dei privilegi che da queste scaturiscono. Questo grande pensatore – che meriterebbe una pagina specifica -, è un libertario che lo stesso Schumpeter aveva, a sua volta, definito come “il più brillante giornalista economico del suo tempo“… Membro del parlamento francese è autore di importanti opere, fra le quali  è utile ricordare le OEUVRES ECONOMIQUES http://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss?__mk_it_IT=%C5M%C5Z%D5%D1&url=search-alias%3Dstripbooks&field-keywords=fr%E9d%E9roc+bastiat&x=14&y=24 in cui teorizza non solo la gestione da parte dei privati di settori come educazione, sanità, sicurezza – tutte attività che da un paio di anni in qua già tendono ad essere  parzialmente gestite da organizzazioni private, perfino in Europa -, ma teorizzava addirittura la privatizzazione della stessa giustizia attraverso le agenzie di arbitrato, dove i contendenti delegano queste istituzioni, in cui degli arbitri neutrali cercano un consenso, applicando le regole della legge, nel tentativo di giungere ad interpretazioni comuni, abbreviando azioni giuridiche che molto spesso, nei tribunali pubblici, possono andare avanti per decenni, con il rischio di non rendere giustizia agli interessati che possono morire – o fallire trattandosi di società – già prima ancora di aver potuto ottenere il riconoscimento dei propri diritti. E non è per caso, che già oggi, anche da noi è iniziata la tendenza in cui società contendenti – di comune accordo – affidano le loro cause agli arbitrati, sapendo che tale scelta, oltre ad essere molto più veloce, è anche immensamente più economica ed equa.

Ron Paul oltre ad essere favorevole ad importanti sgravi fiscali, si oppone pure non solo ai protezionismi ed ai sussidi interni che il governo degli Stati Uniti concede al settore agricolo, come notoriamente fa anche l’Unione Europea, generando una concorrenza oltremodo sleale nei confronti di Paesi che hanno una più naturale vocazione per l’agricoltura, ma avversa ugualmente gli inutili e addirittura deleteri aiuti che i Paesi ricchi ormai da decenni generosamente distribuiscono ai diversi Paesi poveri. Ed a questo proposito, cita pure Dambisa Moyo, un’economista nata in Zambia – considerata da diverse entità fra le donne più influenti al mondo – che nelle sue 180 eloquenti pagine del saggio DEAD AID – http://www.amazon.it/Dead-Aid-Working-Better-ebook/dp/B0036FOGTW/ref=sr_1_4?s=books&ie=UTF8&qid=1327180209&sr=1-4LA CARITA’ CHE UCCIDE – http://www.libreriadelponte.com/ (262 pagine) – riassume come i miliardi di Dollari che l’Occidente ha sperperato e continua a distribuire in Africa, invece di stimolare lo sviluppo degli individui, questi fomentano da una parte la pauperizzazione dei Paesi, dall’altra la corruzione dei rispettivi dirigenti ed incentivano lo sfruttamento da parte di politicanti che riducono i cittadini a meri sudditi ed in sostanza non incoraggiano affatto il progresso ma, al contrario, aumentano la ricchezza dei governanti di turno, le cui consorti dilapidano quel prezioso denaro da Harrods od ai Champs Elysées e con nessun risultato migliore se non una disastrosa espansione della miseria ed una assoluta dipendenza da tali equivoci aiuti. Questi Paesi, invece, hanno bisogno di libertà: libertà d’iniziativa, di investimenti, di crediti garantiti dalla produzione, ma anche della libertà di esportare la produzione dei propri prodotti agricoli che Europa e Stati Uniti, direttamente o indirettamente, limitano e addirittura impediscono di entrare. Infatti, i Paesi ricchi – che dovrebbero concentrarsi piuttosto sull’alta tecnologia -, in maniera del tutto arbitraria, sostengono i propri pochi agricoltori e produttori di latte , carne e derivati oltre a tutta una serie di prodotti agricoli, a forza di sussidi, danneggiando con questa concorrenza sleale, in maniera diretta, Popoli che non dovrebbero essere indotti all’elemosina né dovrebbero essere costretti a fuggire dal proprio territorio in cerca di un’esistenza migliore pur di evitare di patire la fame. Diversa è invece la politica della Cina che importa ed in cambio fornisce servizi, infrastrutture e prodotti di consumo.

In conclusione, sarebbe molto opportuno se qualche nostro politicante, rosso, arancione, verde, iridato o nero che sia, italiano, francese o tedesco desse una sbirciata a queste letture per meglio capire che esistono altre strade da percorrere; che ci sono sistemi che potrebbero anche limitare, se non proprio evitare, la disperata diaspora – ed indesiderata – “invasione” di immigranti in cerca di fortuna, spinti dalla speranza,  perché da loro non esistono alternative alla miseria. Del resto Ron Paul, molto coraggiosamente – come Bastiat ai suoi tempi – non difende nessun genere di protezionismo o limitazione alla libera circolazione delle idee, di merci, servizi e persone. Sarebbe, quindi, ora che la gente capisse che bisogna smettere di continuare a lasciarsi illudere dalle ambigue teorie “umanitarie”, dalla equivoca retorica e dalla falsa solidarietà politica che troppi Occidentali tanto – e sovente – ipocritamente difendono.