visto da Tullio Pascoli
2 Gen 2010
Distinguiamoli!
Proprio cinque anni fa, collaborando con www.legnostorto.com, mentre si protraeva una delle solite polemiche fra liberali ed un irriducibile seguace della sinistra indottrinata, mi avevano pubblicato un articolo che ripropongo qui abbastanza modificato. Prendo spunto dalle recenti commemorazioni della caduta del muro della vergogna ed il discreto silenzio degli irragionevoli nostalgici collettivisti. Infatti, nel frattempo, abbiamo appreso molto sui regimi collettivisti, ma ciononostante parte di quella sinistra dogmatica non disarma. Purtroppo, gli attuali eventi indicano come alcuni di questi ostinati militanti, non imparano dall’esperienza e, non avendo modificato il proprio modo di guardare alla realtà del nostro pianeta, continuano i soliti arrabbiati.Sì, molti di loro hanno abiurato, emigrando dalla sfera dell’impegno politico, per integrare quello della causa ecologica, ma conservando la propria tradizionale virulenza, sono lì ad ingaggiarsi nelle solite sfilate; aggiunte alle bandiere rosse quelle iridate, sfociano spesso in vere battaglie di piazza, alla maniera aggressiva di quel sovversivismo di allora. Per cui quegli argomenti di cinque anni fa, mi sembrano validi ancora oggi. Allora, mi sembra utile ricordare quanto sia valida ed importante l’indipendenza intellettuale di ogni singolo individuo, soprattutto nei confronti di ideologie equivoche, fondate sul preconcetto di romantiche teorie. Ma l’individuo onesto non si lascia confondere dalle apparenze e non sacrifica la propria probità; nella sua coerenza è disposto a salire sulle barricate, sì – si fa per dire, naturalmente – ma per di opporsi all’ingiustizia, all’oppressione e alle ambiguità; egli è pronto a rischiare in solitudine, come Octavio Paz, pagando anche con la propria popolarità in difesa del diritto alle libertà individuali, contro i muri dell’ipocrita omertà che in passato s’è impadronita della coscienza ed in parte ancora condiziona molti dei nostri intellettuali.
Ebbene, nei Paesi latini un certo ambiente intellettuale si schiera ancora oggi con l’obsoleto marxismo e chi non canta nel coro viene emarginato. Tuttavia, in questi anni, abbiamo visto come fra i migliori avversari del “comunismo” – il termine non piace e sembrerebbe più appropriato “egualitarismo” -, ci sono non pochi intellettuali che nella loro gioventù, pur avendo già militato attivamente nella sinistra più virile, per ragioni comprensibili, ad un certo punto, ai dogmatici apostoli si sono finalmente ribellati.
Limitiamoci solo a pochi nomi, ma oltremodo significativi. Uno fra i primi importanti paladini della libertà ad abiurare l’equivoca dottrina è stato l’ austriaco Karl Popper che, dopo un brevissimo idillio, deluso, ha tolto il disturbo per dedicarsi a cause più serie e coerenti. Poi, parecchi anni più tardi, troviamo il francese Raymond Aron, il quale, dopo aver visitato l’ Unione Sovietica, molto coerentemente, ha detto: “No grazie, meglio la libertà…”. Di Conseguenza, i suoi vecchi compagni, fra i quali sempre in prima linea lo strabico (soprattutto in senso figurativo) Sartre che, per causa di forza maggiore, in certe circostanze non ci poteva certamente vedere abbastanza bene – e quando vedeva faceva finta di non focalizzare -, gli avevano dunque girato le spalle, condannando l’illustre collega ad un definitivo ostracismo.
Raymond Aron, però, li avrebbe presto ripagati, includendo fra i suoi prestigiosi saggi una indimenticabile analisi, allora molto nota e dedicata, appunto, a costoro: L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI. Il titolo intendeva parafrasare di proposito il più noto lemma dell’ “oppio dei popoli” che per Marx costituiva la religione delle masse. La scelta del titolo risulterà felice perché mostrava, in modo molto diretto, come anche fra gli intellettuali si ricorre a quella specie di “droga” che è l’oppio del dogma, del quale poi non si riesce a fare a meno; la si deve consumare per sostenersi, alimentandosi di deleterie ideologie in stretta osservanza della dottrina, senza cedere a tentazioni di confrontarla con la realtà che ci circonda. Una droga potente ed efficace alla quale ci si arrende allo stesso modo come certi devoti seguono la confessione narcotizzati dai dogma delle varie religioni o superstizioni; una droga capace di mascherare il disagio prodotto dai nostri volubili sensi.
Per un paio di anni ho penato a rintracciare questo libro, Era diventato introvabile perfino fra gli usati. Recentemente – nel 2005 – è stato ristampato di nuovo anche in italiano – da IDEAZIONE. Augusto Guerriero ed Indro Montanelli, ogni tanto, lo citavano. A distanza di tanti anni, conserva il suo valore e se fosse da riscrivere da un italiano, forse, bisognerebbe aggiungere un capitolo dedicato all’altra categoria indottrinata; quella di certi magistrati che esercitano la professione politicamente; gli stessi che spesso sembrano preferire di esprimere i propri giudizi in pubblico, invece di farlo con discrezione nelle sentenze emanate nelle austere sale dei tribunali.
Un altro eclatante caso di intellettuale di sinistra fedele ai propri principi di giustizia, condannato dai compagni dogmatici mancini all’ostracismo, è quello dell’esistenzialista Albert Camus. Nato in Algeria, membro del Partito Comunista Francese, al pari di molti altri attivi militanti comunisti e socialisti, come André Malraux e George Orwell, si arruola, come volontario nella guerra civile spagnola, in difesa della repubblica socialista contro il Generalissimo Franco. Accanto agli intolleranti sinistri spagnoli, che non esitavano a commettere i più odiosi delitti, la sua fede traballa, ma prosegue nell’impegno al lato dei rossi. L’aiuto dell’aviazione di Hiltler e Mussolini sconfiggerà l’entusiasmo delle brigate internazionali.
Deluso, Camus crede alla causa dell’Unione Sovietica presunto paradiso dell’eguaglianza. Malraux, in una certa occasione, udendo dai sovietici che gli scrittori dovevano essere gli ingegneri dell’anima, rispondeva con sarcasmo che la prima funzione dell’ingegnere era quella di pensare… Dunque, ciò che avvertono questi intellettuali non rimarrà lettera morta ed al rientro dalla Russia non risparmiano le critiche. Camus, pure lui, amico di Sartre, non avendo osato taciuto il proprio parere contrario, è sconfessato, accusato di eresia, colpevole di non piegarsi alla causa della dottrina. Avrebbe dovuto tacere, come Sartre ed il nostro cosiddetto Migliore – alias Togliatti e C. -, accettando l’equivoco gioco a favore dell’impudica suprema causa. A costoro non perdoneranno di aver pensato con il proprio cervello.
Era un uomo onesto; anche lui aveva creduto al marxismo; ma si rifiuterà di sacrificare la propria fede nei suoi ideali puri, per di salvare una dottrina carica di falsità. Non era un vigliacco e quando i Tedeschi occupano la Francia, integra la resistenza come Malraux, il quale rinfaccerà a Mitterand di essere rimasto indifferente al dramma della Spagna. Finito il conflitto mondiale, le divergenze ideologiche con i vecchi compagni peggiorano: Malraux segue De Gaulle e Camus, conservando la propria indipendenza, esce dal partito comunista per dedicarsi alla causa libertaria. Disingannato dagli equivoci atteggiamenti dei compagni che gli volevano imporre il silenzio, eleva il suo grido di protesta in difesa dell’autonomia della coscienza dell’individuo.
Scrive L’UOMO IN RIVOLTA che oggi costituisce un capolavoro d’obbligo di qualsiasi biblioteca di chi ragiona onestamente, pronto ad esporsi per la libertà di espressione. Una lettura fondamentale per chi non si rassegna e non sacrifica la propria fede sull’altare di oscuri interessi del partito o del potere, a cui una certa categoria aspira a qualsiasi costo. Un’opera per chi non intende abdicare ai propri principi etici che non rinuncia ai fondamenti sacri a favore della promiscua militanza. Camus è uno che pensa; che fomenta il progresso umano e evoluzione. Bisogna sapersi ribellare alle convenzioni, accettando di pagare il prezzo con l’impopolarità anche con la perdita di amici che optano per la dottrina, nascondendo la delittuosa vergogna dei crimini commessi in nome dell’ideologia, sotto il tappeto dell’ omertà.
Distingue fra Rivoluzione e Rivolta: la prima è un fuoco di paglia che si esaurisce; finita l’azione, tutto ricomincia come prima: i rivoluzionari sostituiscono i totalitari di prima e fanno di tutto per conservare il potere conquistato. La Rivoluzione – come confermato da autori liberali del calibro di Edmund Burke, Benjamin Constant e Alexis de Tocqueville e più recentemente François Furet, produce nuovi mali addirittura peggiori di quelli che hanno causato l’insurrezione stessa. La rivolta, invece, è tutt’altra cosa; è un sentimento latente da mantenere vivo e che deve guidare l’individuo indipendente nella sua vita quotidiana, in modo costruttivo e permanente che egli alimenta con il più onesto e coerente spirito critico: il rivoltoso non scende a patti; non mercanteggia la propria dignità; non svende la propria indipendenza e non rinuncia alla propria libertà in cambio di occasionali privilegi politici.
Questo saggio è una lezione di morale e di etica; insegna agli individui ad essere se stessi; a non piegarsi al conformismo dell’occasionale convenienza; li incita a resistere; li stimola a mantenersi sempre e costantemente attenti a ciò che non è giusto, sempre pronti a ribellarsi a qualsiasi forma di sopruso. Incoraggia l’individuo a realizzarsi nell’impegno, esaltando la responsabilità di ognuno: l’ individuo consapevole ed onesto, se necessario, non esita a mettere a nudo anche la propria dottrina. L’ideologia, come la religione, dev’essere oggetto di costante analisi. Se le circostanze lo richiedono, bisogna saper insorgere contro i totalitari di ogni tendenza e l’indole rivoluzionaria dev’essere permanente, senza scendere a compromessi con le contraddizioni.
Oggi la maggior parte di coloro che fino a due decenni fa metteva la mano nel fuoco del collettivismo, fa finta di niente e scarica le proprie colpe sulle tendenze dell’epoca. Altri, più imparziali, ammettono di essersi sbagliati, perché il marxismo si è ampiamente dimostrato utopico: è solo una mera equivoca facciata dietro la quale i totalitari s’impadroniscono del potere in beneficio proprio, privando gli individui delle loro più legittime prerogative.
Infatti, vediamo come nella Rivoluzione bolscevica, o quella di Cuba, com’ era già avvenuto nella Rivoluzione Francese dei giacobini, dopo aver abbattuto il regime dispotico, la vita di chi osava criticare la nuova gestione non valeva più niente ed era sommariamente soppressa. Eppure senza la critica non c’è progresso, mentre in quei regimi, la dottrina prevale su tutto e la militanza sostituisce l’etica. Essa è dogmatica ed esige incondizionata fede cieca: o si seguono le norme dettate dalla disciplina o si paga con la purga; non c’è spazio per individualismi. La rivoluzione accende entusiasmi, ma presto la metamorfosi dei vittoriosi fa reprimere nel sangue ogni libertà; e ciò con la solita promessa di raggiungere un modello perfetto in un eterno vano domani.
Camus, Aron, Orwell, Malraux, Furet, Octavio Paz, Silone e tanti altri “mancini”, se ne rendono conto e scandalizzati dagli orrori e dalla tragica realtà nascosta – di cui i compagni sono perfettamente consapevoli -, sono condannati all’ostracismo. Già… da Mosca arrivavano i quattrini a giustificare il volgare inganno. Albert Camus, invece, è un autentico; un rivoltoso dall’animo integro e non si corrompe. Per i Francesi è un “pied noir” perché è nato in Algeria; è un provinciale che non frequenta i salotti “chic”; è un individuo spontaneo che ha visto troppe sofferenze ed ingiustizie, portate a termine dal suo stesso Paese, in nome della suprema causa dello stato. Non è un attore che si esibisce e recita la sua scena equivoca, come se si trovasse sul palcoscenico. È un UOMO IN RIVOLTA, indipendente ed agisce autonomamente senza cedere al conformismo.
Per i militanti è un traditore; la sinistra mancina ortodossa non ammette contestazioni. Chi vuole essere un intellettuale di sinistra deve assoggettarsi al gioco d’interesse del sistema fino in fondo. C’è una dottrina e la si deve seguire, come una religione. Così, come il cattolico fondamentalista, l’islamico della sacra jihad o l’induista radicale, accecati dalla confessione, non possono fare domande; devono credere, senza avere dubbi su ciò che proviene dall’alto; non c’è spazio per puerili debolezze sentimentali. A chi non segue fedelmente la dottrina è riservato un posto nell’inferno; la condanna prevale sulla misericordia. Poco importa se il vero messaggio di Gesù era di tolleranza e di perdono. Invece, anche i suoi insegnamenti sono stati manipolati da una specie di casta estremista che non concedeva deroghe; a chi usciva dal gregge rischiava il rogo.
Non tutti i mancini sono dei sinistri ed il tempo smaschera gli ambigui. Pare che in genere, la vita a lungo termine, retribuisce l’onestà e la coerenza. In fine anche per il rivoltoso Camus, isolato nel ghetto della solitudine intellettuale, giunge il meritato riconoscimento: il Premio Nobel che lo redime e lo consacra. Oggi, alla luce di quanto si continua a scoprire dagli gli archivi rossi accessibili, questo intellettuale diventa un’icone, l’eroe in rivolta premiato perché ha rifiutato l’adulazione, la popolarità e l’amicizia, senza arrendersi all’ipocrisia.
Non tutti i mancini sono poi così sinistri, distinguiamoli, dunque.
Originalmente pubblicato su www.legnostorto.com – con modifiche – il 02.01.2005
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