visto da Tullio Pascoli
7 Dic 2013
LE INCOGNITE DELLA POLITICA ITALIANA
Pubblicato pure su www.politicamagazine.it
La politica italiana non cessa di sorprendere tanto gli “specialisti” più preparati ed attenti, come pure i migliori aspiranti profeti dello scenario politico nostrano. Ora che i nostri ossessionati politicanti sono “finalmente” riusciti – almeno per il momento – a liberarsene, anche se non è ancora del tutto scontato che l’eliminazione del loro principale avversario sia davvero definitiva; infatti, già altre volte il temuto rivale ha subito inattese sorprese, ma ha sempre saputo reagire, riemergendo dalle sconfitte. Certo, in questa alleanza – o possiamo parlare di connubio – ci stanno ostinatamente provando con l’attivissima partecipazione dei soliti implacabili magistrati politicamente orientati che già annunciano nuove minacce ed anche altri processi per consacrare il colpo mortale, e non è assolutamente escluso che a medio termine nuove sentenze già annunciate, seguiranno a quella ormai consumata. Questo, con il preciso scopo, apertamente dichiarato, di arrivare alla conclusione finale di un ventennio; quello delle interminabili, quanto dubbie e controverse iniziative investigative e giudiziarie che hanno caratterizzato, condizionando la nostra politica a danno pure della nostra sensibile economia. Ma il “nemico”, nonostante l’età, mostrandosi altrettanto pervicace, resiste e non dà segni di arrendersi così facilmente.
Così, il nostro caro Paese, con un’economia ogni volta più debole e depressa, tende ad avviarsi inesorabilmente verso un pericoloso incognito; ma, niente di nuovo sotto il sole… ciò sembra ripetersi sistematicamente, direi, quasi ad ogni nuovo cambio di luna. Già, pare proprio che il nostro sistema sia davvero indotto a questo destino condizionato da una sua specifica indole lunatica; e, tradizionalmente sottomesso ai cambiamenti della durate delle fasi lunari, viviamo sotto l’eterno incubo del peggio. In realtà e, di fatto, ci troviamo a vivere in un delirante modello psichicamente bipolare, dove in un continuo inatteso ciclo di improvvisi eventi, ad ogni nuovo momento, ci si confronta con situazioni dalle quali non si sa bene come uscirne senza i pericoli di gravi rischi.
In un ambiente così confuso, dunque, se è già difficile interpretare il passato, costantemente soggetto a continue e giustificate revisioni e, se è già oltremodo complicato capirci qualcosa in questo nebuloso e mutevole presente, come potremmo noi, semplici spettatori, cittadini ridotti a sudditanza di un perverso congegno politico viziato, avere ancora l’ingenua pretesa di solo immaginare e prevedere ciò che ci attende nel prossimo vicino futuro, dove qualsiasi ipotesi non può essere definitivamente esclusa? Ad ipotizzare ogni genere di nuovi sviluppi ci pensano sempre i zelanti media che nella loro infinita immaginazione, dovendo alimentare in continuazione i loro sensazionalismi, suggeriscono perfino una rinascita ed un rientro per la porta bulgara; mere fantasiose speculazioni? Creative congetturali forzature? Probabilmente! In fondo, di certo, c’è solo il fatto che i più irriducibili antagonisti del Cavaliere, per la propria sopravvivenza, hanno ancora bisogno di mantenerlo presente nei loro suggestivi programmi televisivi, sulle loro pagine, nei loro costanti ed interminabili attacchi; infatti, senza di lui, senza le provocative notizie ad alimentare le loro “blasonate” cronache, nelle quali sono soliti a coinvolgerlo, rischiano loro stessi di cadere nell’indifferenza e nel temuto oblio dell’anonimato. Così, si affrettano ed anticipano ogni possibile esito di sentenze non ancora emesse e, non soddisfatti, si accaniscono addirittura contro i suoi titoli e riconoscimenti, a suo tempo, legittimamente – e con merito -, concessi dal potere costituito. E’ un po’ l’altro lato di uno stesso aspetto, dove personaggi come Tortora, Sophia Loren ed ora Scaglia, vengono incarcerati, magari condannati a priori e poi con grande ritardo in sorprendente discrezione scagionati.
Eppure, ciò che nessuno può negare, è che da decenni tutta una serie di politici, magistrati, giornalisti ed anche alcuni ostili personaggi dell’imprenditoria italiana, si sforzano a perseguire un disegno che ha per evidente finalità il disarmo delle potenzialità che questo amato – ed allo stesso tempo odiato – personaggio che, loro malgrado, è riuscito con il suo carisma a trasferirle dalle sue private attività imprenditoriali per applicarle direttamente al settore pubblico della politica, riscontrando alternatamente odio e rancore, ma anche successo ed altrettanta invidia che in questi decenni, nessun altro personaggio è riuscito ad accumulare nella stessa misura, conquistando, pure, le preferenze di una ampia parte della Popolazione che vede in lui l’unico possibile veicolo di trasformare un Paese ancora ancorato a tradizioni medievali, dove “gattopardescamente” un’altra buona parte dei nostri conservatori pretende cambiare tutto pur di mantenere le cose come stanno. Un esempio lampante recente di ciò proviene perfino dalla più alta autorità del Paese che non ha esitato a nominare senatori a vita – di meriti almeno discutibili – con un male dissimulato obiettivo di modificare il risultato di un’elezione che si presentava ancora troppo favorevole al “soggetto”…
Ebbene, in uno scenario del genere, è più che pertinente chiedersi quali nuove sorprese ci possiamo attendere; cosa si cela dietro le incognite dell’oscuro orizzonte che abbiamo dinnanzi a noi? Certo, senza entrare troppo nello specifico dei meriti e dei metodi con i quali Berlusconi è stato escluso dal Parlamento, possiamo almeno già osservare le non poche reazioni spontanee a suo favore di quanti continuano ancora a depositare timide speranze nell’unico politico con sufficiente personale seguito e reale forza, nell’augurio che si riescano introdurre, in fine, proprio quei cambiamenti per guidarci, una benedetta volta, verso la modernità con le riforme che i soliti conservatori di piantone tanto temono ed avversano.
Ciononostante, non si può nemmeno negare che Berlusconi non ha saputo mantenere le sue promesse: il liberalismo che a parole aveva ventilato, sono rimaste tali; tuttavia, dobbiamo riconoscere che ciò non va imputato direttamente solo alla sua particolare azione né all’incapacità di portarle a termine, bensì ai suoi occasionali alleati che – e lo si immaginava fin dall’inizio – si sono dimostrati altrettanto conservatori, confermando quanto erano naturalmente predisposti a difendere politiche coercitive, a favore di quei decrepiti statalismi basati sui perniciosi interventi che a loro vengono da sempre suggeriti dalle rispettive inclinazioni socializzanti, in diretto conflitto con le stesse preferenze del Cavaliere che, in fondo, al liberalismo crede davvero.
In affetti, è abbastanza evidente che se gli occasionali – ed opportunisti – alleati avessero collaborato un tantino in più, forse, si sarebbero potute introdurre alcune iniziative riformatrici di tendenza liberale, capaci di, poco per volta, farci uscire da questa tremenda situazione di stallo in cui, decenni di politiche sbagliate e distruttive, convenienti solo alle solite caste, che hanno condotto l’Italia ad un punto di tale decadenza che solo non sensibilizza coloro che da allora godono i privilegiati benefici del potere quando, nelle gestioni dei governi di centro-sinistra, legiferando in causa propria – in maniera del tutto legittima anche se ingiustificata -, hanno scandalosamente potuto aggiudicarsi, costruendosi il proprio paradiso in Terra, al quale i normali mortali non potrebbero mai aspirare. Infatti, insieme alle appendici di burocrazia, magistratura e di tutto quell’apparato corporativistico costituito dalle diverse organizzazioni sindacali, mosse principalmente da equivoci ideali – quando non da meri e poco trasparenti interessi particolari -, facendo girare al contrario proprio quel virtuoso ingranaggio dei migliori meccanismi produttivi che l’ Italia vantava. E non ci possono essere più dubbi sul fatto che giustamente all’inconveniente alleanza di queste ambigue forze vanno attribuite le principali e gravissime responsabilità per essere riuscite a demoralizzare e mettere in continua fuga ciò che di migliore il Bel Paese disponeva: i suoi più bravi e creativi ed allora coraggiosi imprenditori.
In altri termini, Berlusconi avrebbe dovuto e potuto emulare la Dama di Ferro quando, l’intrepida Margareth Thatcher, sfidando analoghe forze altrettante potenti, che avevano messo in ginocchio l’antica potenza, spingendola sull’orlo del fallimento, ha sapute affrontare con inedita decisione, senza lasciarsi troppo intimorire dai lunghi scioperi, riuscendo a superare quegli ostacoli e far rinascere quel Regno Unito che aveva perso gran parte di quello stesso vigore che, a suo tempo, l’aveva portata all’apice del prestigio nel mondo.
Berlusconi, aveva stoffa e titoli per farlo; infatti, in qualità di imprenditore di indubbio successo, costituiva – e, nonostante tutto, ancora rappresenta – una timida speranza anche da parte dell’iniziativa privata, esclusa naturalmente quella dei “soliti noti” intraprendenti faccendieri conniventi, da sempre legati al potere e che in tanti decenni avevano saputo e potuto goderne i vantaggi, sfruttando i favori che una certa politica in non eccessiva perspicuità, per non dire in sospetta intesa, aveva abusivamente loro riservato. E tale speranza è ancora viva – gli ultimi sondaggi lo dimostrano chiaramente -, dunque, una speranza che la Nazione conserva, coltivando l’auspicio che ci si possa, prima o dopo, svincolare dall’imperante provincialismo che tanto caratterizza gli Italiani, cittadini mutilati che non riescono a rassegnarsi a questo stato di decadenza crescente; un declino che ci sta portando, inevitabilmente, di nuovo ai livelli dei Paesi sottosviluppati. E questo, mentre una grande parte dell’Asia – Corea del Sud, Taiwan, i giganti della Cina, dell’India ecc. – seguendo criteri diametralmente opposti, ma specialmente il modello giapponese, si sforzano nella lotta contro la miseria e si stanno impegnando ad uscirne, avanzando a lunghi e veloci passi, in direzione della modernizzazione, sovente con un dinamismo che lascia perplessi gli stessi Europei.
Allo stesso tempo, invece, parte importante dei nostri prodighi dirigenti, in special modo quelli delle cosiddette forze sociali, si lascia testardamente abbagliare dalle superate teorie keynesiane, nell’illusione di poter ancora applicare con successo politiche stataliste cariche di condizionanti ed interventi autoritari in un’economia barcollante e controllata, dove si arriva al grottesco controllo degli spiccioli, proibendo addirittura a chi legittimamente guadagna il proprio denaro onestamente, di poterlo spendere e metterselo in tasca senza rischiare assurde sanzioni. Ed è così con queste pratiche che si paralizza l’iniziativa ingessata e limitata da un mare di norme e regolamenti, in un’immensa ragnatela di limiti e codici un po’ sulle falsarighe di rooseveltiana memoria che ahimè solo da noi perdurano. E qui si rivelano metodi che troviamo ancora solo a Cuba o Corea del Nord, mentre nella stessa odierna Cina sarebbero considerati inconcepibili, perché di conio collettivista che, non solo da loro, in moltissimi casi, si sono dimostrate semplicemente disastrose. E sono proprio queste deleterie forze che mantengono il nostro debilitato Paese incatenato ad un incredibile ritardo, in cui prodigamente dissipiamo energie e si perdono preziose opportunità. Infatti, siamo sempre mantenuti sotto scacco da vergognosi eterni ricatti con altrettante manifestazioni ingiustificate e perniciosi scioperi generali di ogni natura, ma prettamente politica, che ci impediscono d’integrare il selezionato gruppo delle Nazioni efficienti, ricche e moderne, dove si lavora e si produce, generando benestare da distribuire; dove gli imprenditori possono ancora lucrare, ottenendo utili e, quindi, i necessari mezzi da investire nella ricerca e nell’innovazione, permettendo anche alla stessa Italia di affrontare con maggiore competitività i più validi concorrenti dell’Occidente oltre a distinguersi da quei Paesi che tipicamente producono generi e servizi di scarso valore aggiunto, grazie allo sfruttamento della propria eccedente manodopera di basso costo.
Eppure, noi non dovremmo aver bisogno di preoccuparci della concorrenza dei Paesi in via di sviluppo, come invece sostengono i sopravviventi protezionisti avversari della globalizzazione; dobbiamo, al contrario, imparare a guardare oltre, superando certi atavici preconcetti; ottimizzare le nostre straordinarie potenzialità, alle quali non mancherebbe quello spirito virtuoso che però ha bisogno di essere instancabilmente compiaciuto, incoraggiato, stimolato, incentivato e, finalmente, premiato. Non si possono allarmare proprio coloro che hanno idee che sono disposti a rischiare i propri patrimoni pur di poter contare su dei risultati utili, bisogna bensì rinvigorire le innegabili eccellenze di una Nazione così ricca di capitale umano che, in ultima analisi, è l’unica risorsa naturale esistente nel Bel Paese, le cui creatività sono riconosciute – e spesso invidiate – forse all’unanimità in tutto il mondo. Ed allora, cos’è che non funziona? Cosa ci manca? In realtà, non ci manca niente, anzi, abbiamo uno straordinario deprecabile quanto inconcepibile esubero di individui che non producono, non agiscono e che non vogliono capire; sono quelli rimasti tuttora fermi con lo sguardo al passato, incapaci di interpretare i vantaggi offerti dal presente e che si rifiutano di concretamente pensare positivamente al nostro ed al futuro migliore dei nostri posteri.
Se non bastasse, siamo ancora circondati in un assedio di individui che si accaniscono contro il profitto e demonizzano tutti coloro che legittimamente lo perseguono; sono sempre gli stessi, animati da invidia e da rancore e ciecamente convinti che tassando i veri emeriti della produzione di benessere, confiscando i loro meritati lucri, si illudono che potranno compensare le diseguaglianze che il loro stesso sistema continua a mantenere vivo, invece di voltare pagina, fomentando le iniziative, incitando proprio coloro che armati di virtuosa vocazione, di fatto, sanno come generare nuova ricchezza ed in tal modo aumentano le fette della torta da distribuire, in un modello libero, dettato da quell’ordine spontaneo del mercato, raccomandato dagli ultimi politici illuminati quali Einaudi, Sturzo, oppure Bruno Leoni l’emerito pensatore liberista italiano, internazionalmente riconosciute ma, principalmente, il Premio Nobel Hayek – uno dei più brillanti pensatori ed economisti del secolo scorso, ahimè così incomprensibilmente sconosciuto nel nostro Paese.
Sempre i soliti noti anacronistici individui indottrinati, seguaci delle politiche pianificate e coercitive, bravi solo nell’applicazione dei rigori dell’ esattoria e che credono ancora al mito secondo il quale le fette della torta della ricchezza da distribuire siano infinite ed eterne, invece; paradossalmente, allo stesso tempo, convinti che la torta della ricchezza sia finita in modo che coloro che prendono di più lo fanno a scapito di chi ha di meno; la torta, invece, sì, può essere infinita, ma va alimentata, con il congegno e l’ingegno del capitale umano che è infinito come lo sono l’immaginazione e la creatività; eppure, questi nostalgici dell’economia sociale non si rendono conto che le fette si stanno drammaticamente riducendo, ad un ritmo crescente, consumate da sprechi ed esaurendo la ricchezza che era stata accumulato dall’azione umana, spingono tutta la Nazione, inevitabilmente, verso la povertà, dietro la quale non ci potrà essere altro che miseria e depressione, ulteriormente alimentate in un circolo vizioso del crescente pessimismo generalizzato.
L’Italia, gli Italiani hanno bisogno di libertà; libertà di operare, di rischiare, di inventare e soprattutto di cercare di ottenere risultati concreti con le loro indubbie capacità. E’ necessario diventare pragmatici, abbandonando romantici teorici idealismi inutili e ormai portati a intollerabili grotteschi estremi. La Popolazione è stanca, esausta, stufa alla nauseante sazietà anche dei soliti discorsi retorici che non generano ricchezza ma, al contrario, confondono, dissuadono le iniziative e ci allontanano ogni volta di più dai centri più evoluti della prosperità. Sono questi i cambiamenti e le riforme che ci aspettavamo da Berlusconi e che non sono stati portati a termine per ragioni che si potrebbero benissimo elencare.
Quale potrà essere l’alternativa a Berlusconi? Forse solo il Cavaliere stesso con la sua forte personalità, od altri con la stessa feconda mentalità produttiva ma, questa volta, magari appoggiato da nuove forze, giovani e dinamiche con la visione cosmopolita che alla nostra vecchia classe politica è sempre mancata e figure giovani che di sicuro non mancano – ed il solerte Renzi potrebbe essere uno degli elementi innovatori in grado di dare la spinta e produrre la svolta – capaci di percepire e recuperare quello spirito che ha portato non dico potenze come gli Stati Uniti, ma una minuscola ed umile e povera Nazione come la Corea del Sud, ormai ai vertici del mondo dell’agiatezza e della tecnologia, oggi, sorprendentemente in grado di registrare, da sola, più brevetti di tutta quella che è diventata la nostra Unione Burocratica Europea, messa insieme. Molti Italiani lo capiscono e si rifiutano di dare ulteriore ascolto agli eterni cosiddetti teorici umanisti che, con i loro teoremi continuano a credere per vedere e che vorrebbero tuttora realizzare l’idilliaco sogno della mitica società perfetta in un ipotetico avvenire, eternamente rimandato ad un domani che non giungerà mai, con l’equivoca temeraria ideologia ormai e definitivamente sconfitta dalla cruda realtà. Idealisti che difendono un modello arcaico che nella loro totale irresponsabilità, consuma e spreca risorse che solo le generazioni future potranno forse produrre, ipotecando nel presente, passivi che i nostri indebitati eredi saranno indotti a saldare, pur non sapendo come né quando ci potranno riuscire.
Non è possibile continuare a farsi sfuggire tante opportunità e vivere sugli allori senza fare sacrifici; bisogna tornare ad agire; arrotolarsi le maniche, senza temere il sudore sulla fronte; non possiamo goderci il nostro tanto esaltato dolce far niente e caricare l’onere dei nostri scarsamente meritati consumi sulle spalle di chi ha davvero il virtuoso dono dell’intraprendenza, mentre agli altri individui indebitamente sostenuti da un ambiguo sistema di solidarietà istituzionalizzata, non si decidono a tornare a lavorare, senza tante pretese ed esigenze di posti fissi, protetti e garantiti da banali norme che solo da noi si sostengono. E’ assolutamente necessario che tutti sentano l’imperioso dovere civico di impegnarsi personalmente, sforzandosi, perseguendo il merito, ed accettando anche di iniziare le proprie carriere con umiltà; non è indegno sporcarsi le proprie dita; indegno è reclamare e rimanere inerti; guardiamo all’esempio vittorioso lasciatoci dalla precedente generazione dei nostri genitori, usciti dall’umiliazione di un regime autoritario sconfitto dalla più assurda ed inutile guerra; una generazione che ha imparato nella sofferenza, ma che ha saputo rialzarsi.
Lasciamo perdere, per una buona volta, le romantiche stravaganze dell’ “ozio creativo“; la ricchezza non si produce con l’inerzia. Creativi sono i dubbi, il bisogno, la fame, l’incertezza, il timore, l’ambizione, l’insoddisfazione attiva che ci stimolano e non la rassegnazione o le illusorie certezze. Certo che è lecito sognare, ma il sogno da solo non serve e certamente non basta; ci vuole anche, se non soprattutto, l’iniziativa diretta e le semplici potenzialità senza la rispettiva applicazione della costruttiva e concreta azione non conducono ad alcun risultato positivo. E lo abbiamo davanti agli occhi: l’inconsistente politica dell’equivoca generosità gratuita in cui si consuma anche ciò che non si produce, ci ha fatalmente portati unicamente sulla via del declino. Il risultato è una decadenza che non si limita nemmeno solo alla nostra Penisola, ma che si è allargata a macchia d’olio ed interessa, invece, praticamente tutto il Continente, ormai contaminato da un’ideologia ambigua, artificiale e distruttiva. Infatti, la palese realtà mostra chiaramente come, di concreto, non siamo più l’epicentro economico di questo pianeta; e, se siamo caduti a questo livello, se ci troviamo con un piede nel precipizio, lo dobbiamo essenzialmente a quelle ottuse forze obsolete ed ostinate che non si accorgono in quale direzione avanza e come va perseguito il progresso. Sono sempre costoro che si negano a capire quali meccanismi generano ricchezza, che non riescono a concepire come si fomenta lo sviluppo generato non dalle sole buone intenzioni, né dalla politica rivolta su se stessa, bensì dal merito, il merito inseguito dagli individui più intraprendenti ed ambiziosi o, se si vuole, morsi dalla Virtù dell’Egoismo per dirla con l’indimenticabile Ayn Rand.
E se ora non stiamo attenti, ancora una volta, in questa crisi imperante, rischiamo di vedere nuovamente le nostre speranze requisite da questa nuova onda sulla quale opportunisticamente si ripresenta un autentico pericolo, una tendenza manipolata dagli abili strilloni populisti di turno, soprattutto da parte di quell’astuto comico che si propone alle platee come salvatore, sul suo virtuale palcoscenico, dove moltitudini deluse sembrano emulare quelle di un passato, puntuali ad esaltare assurdi proclami con immeritati applausi agli stessi o similari ingannevoli discorsi carichi di altrettanta retorica che allora erano riusciti ad illudere, e tanto incantare i distratti ed ingenui Italiani di tutta una generazione, cedendo all’equivoca seduzione, alla quale avevano purtroppo dato credito non dovuto, coronando il successo dell’ondata fascista, ma che anche allora, ahimè, aveva costituito l’ultima disperata speranza prima di veder cadere la Nazione nel profondo precipizio.