visto da Tullio Pascoli
16 Ago 2021
Intellettuali di Paul Johnson (Recensione 2)
Indottrinatori Dogmatici (Karl Marx)
Continuando la recensione di INTELLETTUALI di Paul Johnson, salto il secondo capitolo dedicato all’eccentrico poeta Shelley il quale, pur avendo a suo tempo riscosso una certa popolarità non ha influenzato il pensiero dei rivoluzionari militanti come, per esempio, il personaggio del terzo capitolo dove sotto la lente, segue la ventilata divinità di Karl Marx, passato alla storia per aver coniato pure l’espressione Capitalismo. Per cui, questo, sì può essere considerato il padre dell’ideologia del Comunismo. Fra i tanti, anche lui, senza alcun dubbio, si è avvalso di ciò che Rousseau aveva teorizzato prima di lui. I due hanno più di una caratteristica che li accomuna; infatti, come il suo ispiratore, nemmeno il filosofo tedesco può essere considerato un grande esempio di purezza, anzi: anche lui, oltre a dimostrarsi poco coerente nella pratica, è stato uno dei grandi fari per altrettanti soggetti che nel tentativo di realizzare la sua assurda utopia, hanno navigato nel burrascoso mare del Collettivismo, dove al posto del presunto paradiso del proletariato, con i loro deliranti, progetti, hanno prodotto autentici incubi mai visti nella storia umana ad interminabili moltitudini. E se dalle idee di Rousseau si sono formati giustizieri come Robespierre, sulla stessa strada lastricata dalle solite illusorie buone intenzioni, sono sorti altri despoti, che si sono resi colpevoli di decine di milioni di povere innocenti vittime. Per citare solo le più importanti figure in fatto di mortifere tirannie, è utile elencare i principali genocidi tra i bolscevichi, Lenin e Stalin, il grande timoniere Mao, il carnefice cambogiano Pol Pot, e dal più longevo dittatore di Cuba Fidel Castro e ciò che potrà irritare i socialisti, ma il caso concreto è che perfino Hitler e Mussolini hanno attinto le loro rispettive dottrine proprio dalle opere di Marx; sì, proprio così: entrambi erano marxisti. Dunque, tutta “brava gente” che per creare un mondo migliore, ha generato ben oltre cento milioni poveri martiri.Con il pretesto che le sue tesi erano scientifiche, le sue fantasiose profezie, hanno saputo incantare più di una generazione di ostinati idealisti, ingenui creduloni, devoti dell’ossessivo rancore e fanatici cultori dell’assurda chimera, fomentando l’imperdonabile sentimento d’invidia che ha fatto riverberare odio un po’ in giro in tutto il mondo fra individui che per natura non potranno mai essere uguali e, pertanto, sempre assolutamente diversi nelle rispettive capacità ed aspirazioni. Così i suoi accoliti, pretendono ricorrere all’ambiguo pretesto di compensare ingiustizie aleatorie con altrettante e peggiori ingiustizie, allora, intenzionalmente pianificate. Infatti, suggerendo che a tali iniquità casuali e sovente naturali si dovesse riparare, sono stati volutamente discriminati, miliardi di donne, uomini e bambini, inducendo Popoli interi a sofferenza, schiavitù, tortura, atrocità e scellerate condanne a morte di troppi innocenti che spesso erano indotti a confessare colpe che non avevano. E per la disgrazia di buona parte dell’umanità, ancora oggi, nonostante che i suoi più radicali catecumeni abbiano dimostrato che ciò che Marx predicava non poteva essere realizzato, tutta una miriade di atenei sono ormai infestati e corrotti dal suo deleterio pensiero assolutamente ambiguo. Non a caso, la sua ideologia, invece di produrre nuove leve capaci di dare il proprio contributo al progresso umano, gli istituti impregnati della sua grottesca dottrina, sfornano militanti intolleranti che predicano la sua banale vulgata, inneggiando alla rivoluzione violenta e quando questa risulta vittoriosa, ciò che avrebbe dovuto liberare gli umani dagli abusi degli sfruttatori, mitigando le loro frustrazioni ed alleviarli dall’alienazione, arrivavano al potere crudeli liberticidi che emulavano proprio Robespierre, tali come Stalin, Pol Pot eccetera come, del resto, apprendiamo perfino da ciò che hanno descritto autori come George Orwell od uno degli “impegnati”, Albert Camus nel suo famoso saggio L’UOMO IN RIVOLTA, da me qui recensito
https://liberalismowhig.com/2016/03/27/onesta-e-coerenza/
Per cui, tutta la teoria di Marx non è altro che una illusoria costruzione artificiale, un castello di cartapesta che si sfascia alla prima pioggia, frutto di una ahimè feconda immaginazione perversa. In qualità di ragionevole esperto di storia, si era fin troppo convinto che essa si riproducesse nel tempo ed è tale futile certezza che gli fornisce l’equivoca conclusione di poter predire avvenimenti futuri al punto di teorizzarli, profetizzando che l’ordine economico spontaneo del libero mercato, avrebbe portato ad una assurda concentrazione di una manciata di capitalisti a danno del resto della Popolazione, quando oggi vediamo come lo sviluppo economico ha favorito in misura diametralmente superiore ed opposta, proprio le classi più umili. Certo che sono sorti i ricchi e gli straricchi, ma in misura immensamente superiore è aumentata la classe media ormai dominante; e se in passato la maggioranza viveva in miseria, oggi i miserabili sono una minoranza ed in questo contesto è utile leggere il saggio di Paul Collier da me qui recensito:
https://liberalismowhig.com/2016/07/02/scarsita-od-abbondanza/. Ma sembra strano che una mente così ricca non sia riuscita ad intuire che nella nostra esistenza, niente si riprodurrà mai e che con l’esperienza e la conoscenza la tecnologia evoluisce. Infatti, tutto è costantemente condizionato dai continui cambiamenti nel tempo che trascorre; la stessa acqua non passa due volte sotto lo stesso ponte… Pertanto, nessuno può prevedere l’avvenire; non è a caso perfino l’originale antico significato di “profeta”, in realtà, non era quello di chi aveva il dono di predire avvenimenti futuri: ecco che nel lontano passato significava semplicemente “poeta”. Non deve sorprendere, quindi, se Johnson sostenga in un senso più concreto che Marx non può essere considerato un accademico, perché la sua scienza non era affatto scientifica, ma solo il frutto di una fertile fantasticheria, come la storia di fatto conferma.
In fondo, così come Rousseau che pretendeva dare lezioni sull’educazione dei figli, anche Marx si cimentava a difendere la formazione dell’uomo nuovo, cercando di sostenere principi con ostinata intransigenza su questioni che egli non conosceva direttamente e non solo su argomenti a lui del tutto estranei, come l’economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk, a suo tempo, aveva giustamente saputo didatticamente esporre, nella sua STORIA CRITICA DELLE TEORIE DELL’INTERESSE DEL CAPITALE. Infatti, uno dei principali equivoci che fino ad oggi gli sono costati la reputazione, è stata proprio la presunzione, pretendendo di potersi occupare anche di economia uno che non sapeva gestire nemmeno le proprie tasche. E sembra piuttosto strano che la sua indubbia intelligenza lo abbia indotto all’errore di attribuire un valore intrinseco a qualsiasi lavoro, mentre avrebbe dovuto capire come ormai è dato per scontato e palese che il lavoro ha valore a seconda dell’utilità che riesce a riscontrare; infatti, dipende dall’accettazione di chi usufruisce o meno del prodotto di tale sforzo. Del resto, come gli studi degli economisti della Scuola Austriaca hanno saputo dimostrare, non risulterà difficile demolire la sua ingenua tesi; infatti, il lavoro avrà sempre un valore relativo, dunque, superiore in funzione dell’interesse che riuscirà a generare. Non sorprende, dunque, ciò che per caso, leggo l’utile da un’altra fonte; un commento pubblicato da un autore che, non conosco – Giovanni Marini – la cui osservazione ci sta davvero a pennello:
“Se Karl Marx avesse concentrato la sua attenzione sull’elaborazione del materialismo storico anziché sulla teoria del plusvalore gonfiandolo col rancore e l’astio dei falliti, oggi non sarebbe considerato uno sciatto intellettuale incapace di provvedere a se stesso, ma, a ragione, un buon teorico della realtà. Rancore ed astio che si è conservato nel tempo e nelle cose nonostante siano progredite, e delle origini della rivoluzione industriale non resta che la poesia scritta sui libri di storia.”
Marx era un puro teorico che, senza la necessaria esperienza e padronanza di certe materie, si avventurava in campi che egli stesso o non conosceva, o di cui apprendeva per sentito dire. È per motivi come questi che Johnson gli rimprovera di aver pubblicato nel 1844 un articolo su Forwärts (Avanti) – per caso stesso titolo del giornale diretto da Mussolini – relativo alle difficoltà affrontate dai tessitori della Slesia, senza aver mai parlato con i diretti interessati e addirittura, senza mai essere stato in quella regione. Ma era un suo tipico vizio di interessarsi di ciò che credeva di conoscere, com’è appunto il caso di essersi riferito a finanza ed industria per tutta la vita, pur avendo conosciuto due uniche persone che, di fatto, se ne erano occupate. Infatti, non aveva mai messo piede in una fabbrica, miniera od altri centri di produzione. Anzi, egli non nutriva alcuna simpatia per coloro che, effettivamente, erano del ramo. La sua intromissione era arrivata al punto di provocare veri conflitti con chi realmente ci viveva. Infatti, durante un’assemblea della German Workers’ Education Society (Società Tedesca dell’Educazione dei Lavoratori), a Londra nel 1845, per la prima volta, non aveva affatto apprezzato a ciò che doveva assistere in quell’incontro: i partecipanti erano tutti lavoratori specializzati, produttori di orologi, stampatori, calzolai ed il loro coordinatore era una guardia forestale; gente educata, disciplinata, dalle buone maniere e visibilmente poco affini ai modi boemi; erano davvero interessati al miglioramento delle pratiche, per cui non condividevano certe visioni apocalittiche e non praticavano il gergo accademico a cui ricorreva il filosofo. Ecco che Marx – un po’ come avviene nelle nostre attuali accademie – si sentiva più a suo agio con la classe media intellettualizzata di cui egli stesso faceva parte. Tanto è vero che lo stesso anno, insieme ad Engel, avendo fondato la Lega Comunista ed a Bruxelles si era confrontato anche con il rivoluzionario tedesco Wilhelm Weitling, un partecipante proletario di umili origini che egli aveva puntualmente snobbato e redarguito, il quale gli aveva rinfacciato che non era diventato socialista per ascoltare dottrine prodotte in un ufficio; invece, intendeva parlare di effettivo lavoro… Detto da un testimone oculare, Marx stizzito, a ciò aveva reagito, colpendo il proprio pugno sul tavolo con violenza da far traballare la lampada ed alzatosi, gridando “l’ignoranza non ha mai aiutato nessuno…” Così, la riunione si chiudeva mentre il presunto altezzoso padrino dei proletari non cessava di sbuffare di rabbia.
Johnson osserva che questo era proprio lo stile del teorico della nuova religione, il dogma del Comunismo; infatti, riluttante, era solito a reagire con intemperanza contro qualsiasi persona che osasse esprimere qualche commento critico alle sue tesi. Storici sono stati i dissensi con chi la pensava diversamente, come con l’anarchico Pierre-Joseph Proudhon, del riformatore rivoluzionario socialista Hermann Kriege, ma non solo, perfino dell’importante social democratico tedesco Ferdinand Lasalle. Così, Marx non esitata a mettersi in palese contrasto con uno specialista in materia di agricoltura, pubblicando il Manifesto Against Kriege; e ciò, nonostante, già allora, Marx fosse considerato totalmente a digiuno per quanto riguardava l’agricola… Proudhon, da parte sua, scriverà che dopo che era stato demolito il dogma religioso, ora, si doveva evitare di insistere su di un altro nuovo dogma… A queste divergenze, nella sua Miseria della Filosofia, il nuovo “profeta” aveva reagito accusando direttamente di ignoranza ed infantilismo eccetera, tutti i dissidenti. Ecco che dalla sua controversa indole già spuntava il germoglio della sua arrogante natura intollerante.
Il papa del Comunismo, non era altro che un astratto dottrinario; un semplice teorico che sosteneva le sue tesi senza entrare in profondità nelle distinte discipline che si illudeva di conoscere, tanto è vero che Johnson riproduce un paragrafo di quanto di lui scriverà il filosofo tedesco Karl Jaspers (1882-1969): “Lo stile degli scritti di Marx non è dell’indagatore… egli non cita esempi od adduce fatti che vanno contro le sue stesse teorie ma solo quelli che chiaramente sostengono o confermano ciò che egli considera estrema verità. L’intero approccio è una conferma, non un’investigazione, ma è una giustificazione di qualcosa proclamata come perfetta verità con la convinzione non dello scienziato ma del credente.” Per cui, il monumento della sua “grande opera” del CAPITALE – che lo ha consacrato in tutto il mondo come icona delle sue utopie -, non può essere considerato il risultato di una ricerca scientifica sulla natura del processo economico, ma piuttosto un mero esercizio filosofico morale. In pratica – nelle mia libera traduzione -, Johnson scrive: “È un enorme e spesso incoerente sermone; un’aggressione al processo industriale al principio di proprietà da parte di un uomo che ha concepito un potente ma essenziale irrazionale odio per gli stessi.” Mentre più avanti, riferendosi ad alcuni capitoli, aggiunge: “Questa non un’analisi scientifica in ogni senso, ma solo una semplice profezia“.
Se non bastasse – come hanno ben appreso i suoi futuri accoliti – Marx si avventura a predire quel vecchio vaticinio, il solito mantra, continuamente smentito dalla stessa storia reale; infatti, secondo lui, il tempo avrebbe dovuto portare a 1) un numero sempre più concentrato di magnati capitalisti; 2) generare l’esponenzialmente aumentato del volume di povertà, di oppressione, di schiavitù, di degenerazione e di sfruttamento; 3) una costante intensificazione dell’impoverimento della classe lavoratrice. In realtà, oggi, nessuno può ragionevolmente negare ciò che lo sviluppo ha proporzionato all’umanità: l’esatto contrario e per confermarlo è oltremodo utile la lettura dell’eloquente saggio PROGRESSO dell’autore svedese Johan Norberg da me qui recensito:
https://liberalismowhig.com/2019/02/28/sviluppo-prosperita-e-benessere/ infatti, nel frattempo, il benessere ha raggiunto un numero sempre più ampio di individui e di famiglie, in grande parte del mondo, ma in modo particolare in ambienti dove la libera iniziativa e l’Ordine Spontaneo del Mercato – per dirla con Ludwig von Mises – aveva potuto prosperare in quel circolo virtuoso, tipico del Capitalismo. Ovvero, il “papa” del Collettivismo, con i suoi scritti, guida alla genesi della crisi hegeliana; teorizza l’apocalissi di un modello economico considerato perverso ed assolutamente catastrofico che la sua stessa equivoca immaginazione aveva già alimentato fin dalla gioventù.
Un sistema, dunque, che si sarebbe fatalmente esaurito ed autodistrutto da solo; in cui i mezzi di produzione sarebbero stati controllati da un numero sempre più ristretto di individui; un modello ogni volta più insostenibile e che avrebbe dovuto tendere ad isolare la classe proletaria in un guscio capitalista che avrebbe proporzionato la propria distruzione, rendendola a pezzi, alla quale doveva seguire l’intonazione della marcia funebre del Capitalismo, mentre gli espropriatori sarebbero stati finalmente espropriati. Dunque, una promettente predizione che ha davvero animato le successive generazioni degli zeloti socialisti. E tutto ciò secondo una autoproclamata presunta proiezione scientifica che in realtà, secondo Johnson, alla fine dei conti, non si dimostra essere nient’altro che mero esercizio astrologico.
In realtà, queste fantasiose prefigurazioni del prodromico si erano formate sulla base di un’opera individuale dell’amico Friedrich Engels che negli anni 1860 descrive le Condizioni della Classe Lavoratrice in Inghilterra, pubblicata un ventennio prima. Tuttavia, dopo che nel 1958 gli accademici inglesi William Otto Henderson e William Henry Chaloner avevano nuovamente tradotto ed editato quel libro, lo avevano quasi totalmente demolito, poiché storicamente non corrispondeva ai fatti, mentre scrivendo all’amico Marx, Engels aveva accusato tutta la classe media inglese di genocidio e di rapina all’ingrosso; infatti, i due autori/traduttori avevano scoperto come Engels che dedica ben due capitoli a “The Miners” (I Minatori) e “The Proletariat and the Land” (Il Proletariato e la Campagna”, non aveva nemmeno lui mai visitato le rispettive zone e non era mai entrato in una miniera. Inoltre, se non bastasse, si era ispirato ad altre fonti romantiche prive di qualsiasi fondamento. E questa doveva essere, dunque, la base delle analisi con le quali Marx aveva composto lo stesso capolavoro del commemorato CAPITALE che ancora oggi costituisce la vulgata del Comunismo, tanto è vero che il neo-collettivista Thomas Piketty più di vent’anni dopo la pubblicazione di questo saggio che qui mi predispongo a recensire, pubblicherà un altro saggio CAPITALE PER IL XXI SECOLO che qui io stesso ho recensito:
https://liberalismowhig.com/2021/06/30/il-re-e-nudo/
Di fatto, quando Engels si riferisce al lavoro dei minorenni, le condizioni dei minori sfruttati nelle fabbriche erano davvero deplorevoli; tuttavia, ciò che egli riporta era anche del tutto superato, in alcuni casi da addirittura 20-25 anni, mentre Engels – falsamente – ne riferisce come se fossero fatti contemporanei. Per esempio, quando riferisce i numeri dei bambini illegittimi nati in seguito ai turni notturni, egli ometteva che si trattava di cifre risalenti al 1801; e sulle citazioni relative alla sanità, omette chiaramente che si trattava di dati del 1818 e le numerose ambiguità non si erano fermate lì…
Non per niente, Henderson e Chaloner nella loro pubblicazione al settimo capitolo, aggiungono oltre venti note di fondo pagina in cui sono confutate distorsioni, errori e scorrettezze, per cui nemmeno lo stesso Marx non avrebbe potuto non esserne consapevole; infatti, doveva essere al corrente che già nel 1848 quelle disoneste incongruenze erano state contestate dall’economista tedesco Bruno Hildebrand; del resto, perfino lo stesso Marx fa notare all’amico di aver omesso di avvisare i lettori che in seguito al Factory Act [Legge per la Fabbrica] ed altre misure legali, le condizioni erano migliorate; ciò che nella redazione del suo capolavoro, non gli ha impedito di ricorrere con altrettanta audacia a dati raccolti da fonti di seconda e terza mano. Se non bastasse, aveva speculato deturpando anche delle osservazioni del Primo Ministro britannico William Ewart Gladstone, espresse a proposito del miglioramento delle condizioni di lavoro. Eppure, Marx conoscendo il vero senso di ciò che era stato detto, in maniera deliberata, aveva alterato il rispettivo senso, così come aveva già falsificato citazioni di Adam Smith colui che poi passerà agli annali come “padre” del Capitalismo.
La critica al CAPITALE prosegue e l’intero capitolo 8 è descritto come deliberata e sistematica falsificazione che aveva la finalità di sostenere le sue particolari tesi, ma che di fatto, non resistono alla verifica e sulla base di diversi punti Johnson non esita ad accusarlo di delitto contro la verità, il primo dei quali il ricorso a dati ormai obsoleti; infatti, Marx si riferisce ad industrie selezionate a dito – in cui le condizioni erano davvero particolarmente cattive -, definendole tipiche del Capitalismo. Inoltre, sempre secondo lo stesso, azzarda che più capitale era investito e peggiori sarebbero state le conseguenze, ma scivola su forti contraddizioni, scegliendo attività di carattere piuttosto artigianale che, di fatto, avevano preceduto la vera rivoluzione industriale, ormai già avviata. Infatti, si dimostrerà ancora una volta, l’opposto: più capitale era applicato, più le condizioni degli addetti effettivamente miglioravano, mentre quando egli tratta di problemi avvenuti nel sistema ferroviario, ambiguamente va a cercare, pescando incidenti di periodi trascorsi già da tempo; tanto che quegli stessi incidenti non si erano più ripetuti, diventando il trasporto ferroviario un mezzo oltremodo sicuro e tutte le sue critiche risultavano in distorsioni senza le quali quanto affermava, avrebbe dovuto essere eliminato; pertanto, il libro era ed è fuorviante…
L’autore del CAPITALE, dunque, pretendeva confondere i lettori e ciò che emerge dall’opera è la palese totale incapacità di comprendere il Capitalismo e ciò che ne derivava, appunto, a causa dell’assoluta mancanza di scientificità dell’opera. Infatti, egli non verificava personalmente i fatti per quelli che erano e non ricorreva nemmeno alle analisi realizzate sui fatti da parte di altri ricercatori. Così, Johnson trova diversi motivi per poter concludere che non solo questo libro ma anche gli altri suoi scritti, dall’inizio alla fine, riflettono un mal celato disdegno per la verità; anzi, evidenziando in maniera più che evidente il suo disprezzo per la stessa. Ed è questo il motivo per il quale il Marxismo, come sistema, non riesce a produrre i risultati pretenziosamente ambiti; non a caso, la bizzarra pretesa di definirlo scientifico, non resiste nemmeno alla meno attenta osservazione ed alla fine risulta priva di senso.
Ecco che secondo il nostro autore inglese, la presentazione della sua filosofia si riassume in un amalgama che, in fondo, dopo aver scontato dai pretesi numerosi ed i più maliziosi riferimenti di cui fa ampio uso, deriva da una romantica visione dell’ingenuo poeta idealista. Per cui, l’opera è presentata in un involucro di destrezza giornalistica con cornici di accademismo. E tutto questo, com’è più che frequente tra gli idealisti, può essere contemplato come parte integrante dell’autoritario carattere dell’ambizioso preteso profeta: il suo gusto per la violenza, l’appetito per il potere, ma la sua incapacità di gestire il denaro e principalmente la sua tendenza a sfruttare chi lo circonda. A questo punto, non è difficile immaginare come avrebbe potuto mettere in pratica la sua violenza e crudeltà se un giorno fosse riuscito ad ascendere al potere. Infatti, diversi passaggi danno un’evidente impressione di essere stati dettati all’autore mentre si trovava in uno stato di furia. Furia che poi, i suoi più noti e fedeli discepoli, Lenin, Stalin, Mao – ma se ne potrebbero citare ancora molti altri che Johnson non menziona come per esempio, i sanguinari ed arbitrari Pol Pot, Fidel Castro eccetera – metteranno in pratica in sublime ed esemplare tragica maniera.
Ed in fondo, il suo stesso passato bohémien fornisce le evidenze della sua concreta e poco onorevole indole, specialmente del suo passato giovanile, trascorso in una vita dissoluta e di ozio. E non solo, infatti, anche dopo aver raggiunto la sua avanzata condizione di uomo maturo, non sembra di avergli permesso di sviluppare un’eccessiva inclinazione per il lavoro: preferiva starsene a discorrere anche tutta la notte per poi coricarsi mezzo insonnolito sul divano per tutta la giornata. Con l’avanzare dell’età, aveva adottato un po’ di moderazione, ma sul lavoro non era mai riuscito ad autodisciplinarsi. Oltremodo sensibile alle più lievi critiche, al pari di Rousseau, non esitava provocare conflitti con amici e benefattori, specialmente con chi osava dargli qualche buon consiglio. Tanto è vero che, quando nel 1874 il suo amico medico Dr. Ludwig Kugelmann – attivista socialdemocratico – gli aveva suggerito che non avrebbe affrontato grandi difficoltà a concludere il suo CAPITALE, se solo si fosse sforzato ad organizzare meglio la sua vita; a Marx è bastato questo per immediatamente rompere con lui i suoi rapporti…
Non a caso, ciò è confermato dalla sua natura egoista iraconda che aveva radici fisiologiche e psicologiche; infatti, era solito a condurre uno stile di vita malsano: esagerava con l’alimentazione; abusava nel bere; fumava molto; non faceva alcun esercizio fisico, per cui soffriva costantemente di problemi epatici. Se non bastasse, non aveva alcuna cura nemmeno per l’igiene personale e raramente faceva un bagno; al contrario, non era affatto propenso a lavarsi; in cambio, per circa venticinque anni aveva sofferto con piaghe di pustole che, probabilmente erano il risultato della sua pessima dieta e della mancanza di pulizia e non c’è da escludere che ciò abbia contribuito al suo scarso buon umore. Tuttavia, un soggetto del genere aveva la pretesa di redimere il mondo dal mali di cui gli umani soffrono…
Uno dei principali problemi di Marx è stata l’incapacità di gestire il denaro; si indebitava spesso e, conseguentemente ricorreva agli usurai, trovandosi in ulteriori difficoltà, alla scadenza, di restituire non solo quanto preso in prestito, ma anche gli elevati rispettivi interessi. E questa dev’essere stata una delle ragioni per la quale dedica tanta importanza alla questione pecuniaria, al punto di mostrare tanto odio nei confronti degli Ebrei che accusava di sfruttare la gente. Ma, in realtà, non si schivava di sfruttare qualsiasi persona che gli passasse vicino; e questa sua predisposizione ricorreva in modo particolare nei confronti della propria famiglia; infatti, erano precisamente le questioni di denaro che predominano nella corrispondenza con i suoi prossimi. Tanto è vero che l’ultima lettera di suo padre che già si trovava in stato agonizzante, gli rimprovera di non interessarsi alla famiglia, eccetto quando ha bisogno di ricorrere alla stessa per chiedere aiuti, e scrive:
“Ora ti trovi al tuo quarto mese del corso di diritto ed hai già speso 280 talleri. Io non ho guadagnato tanto durante tutto l’inverno.”
Solo 3 mesi più tardi cessava di vivere, mentre lo spendaccione non si era nemmeno curato di partecipare al funerale; senza perdere tempo, tuttavia, cominciava fare pressione insistentemente sulla madre, giustificando il fatto che la famiglia era abbastanza ricca ed aveva il dovere di sostenerlo nel suo importante impegno. Eppure, con eccezione di una saltuaria attività giornalistica che aveva fini più politici che lucrativi, non si era mai seriamente preoccupato di impiegarsi, nonostante nel 1862 fosse stato assunto come impiegato presso le ferrovie; tuttavia, dopo un po’, lo avevano licenziato perché la sua calligrafia era troppo povera. Del resto, non aspirava a seguire una carriera, per cui la famiglia era sempre meno disposta a mantenerlo. Alla fine, quando la madre aveva sospeso i sussidi, i loro rapporti si erano resi rari; c’è chi dice che la madre alimentasse l’amaro desiderio di vederlo “accumulare capitale, invece di scrivere sullo stesso“. Ma a mantenerlo, allora, aveva rimediato l’amico industriale Engels; e, visto che anche la famiglia di Jenny, la sua consorte, si era stancata di aiutarlo e le controversie a cui Marx aveva contribuito a creare i loro dissapori che, alla fine, avevano accelerato la morte dell’amata…
Nemmeno la coerenza era stata una delle sue caratteristiche più notate; infatti, nonostante la sua ostinata perorazione a favore delle cause proletarie, non disdegnava di vantarsi delle nobiliari origini della moglie, Jenny figlia dello scozzese Johann Ludwig Barone von Westphalen e non nascondeva nemmeno di sentirsi ben più a suo agio in compagnia di aristocratici piuttosto che con gli “avidi borghesi”, espressione questa alla quale – si diceva – egli ricorreva esternando aspro disprezzo.
Eppure, avrebbe dovuto occuparsi non solo del proprio mantenimento, ma anche di quello della famiglia. A questo punto Jenny gli aveva dato tre bambini – Jenny, Laura ed Edgar mentre nasceva il quarto Guy, nel novembre del 1849. Pochi mesi più tardi, per mancanza di pagamento dell’affitto la famiglia era stata sfrattata davanti a tutta la folla di Chelsea. I loro letti erano stati venduti per pagare i debiti contratti con macellaio, lattaio, farmacista e panettiere, trovando rifugio in una squallida pensione tedesca, dove nel freddo inverno la fragile vita del povero lattante si spegneva. Poi, a maggio del 1850 all’ambasciatore britannico a Berlino giungeva la copia di un rapporto di una spia della polizia della Prussia, in cui erano dettagliate le attività rivoluzionarie che facevano capo a Marx e Johnson riassume il risultato della scomoda convivenza alla quale la povera conserte – di aristocratica radice – era stata indotta: un marito che conduceva una vita boemia, sovente ubriaco, senza minimi accorgimenti per l’igiene… frequentemente ozioso, quando si dedica a fare qualcosa va avanti giorno e notte, non segue orario di riposo e spesso, senza cambiare gli abiti si corica sul divano a mezzogiorno fino a sera; un grande disordine regna; tutto è sudicio e cencioso, coperto da mezzo pollice di polvere, non un elemento è intero; sul vecchio tavolo si mescolano manoscritti, vecchi libri, giornali e stracci e perfino giocattoli dei bambini; i vari bicchieri sono sbeccati; calamai, coltelli e lampade, pipe olandesi di terracotta, tabacco e cenere; quando si entra nella sua stanza, si è sorpresi da tale fumo di tabacco da ardere agli occhi; una sedia rimasta con sole 3 gambe; sull’altra sedia con 4 gambe i bambini giocano a cucinare, è la sedia che si offre alle visite ma dev’essere pulita prima…
E questo rapporto è del 1850, ma ulteriori dettagli posteriori si aggiungono alla biografia del padre del Collettivismo: Si apprende della nascita della figlia Franziska 1851 che muore l’anno seguente; il figlio favorito Edgar, in quelle squallide condizioni, si ammala di gastroenterite e muore il 1855, – un colpo terribile per lui; mentre tre mesi prima era nata Eleanor, ma ciò gli era indifferente: le bambine per lui non erano altro che servette, mentre voleva maschi e non ne aveva più, almeno ufficialmente… Nel 1856 grazie all’amico Engels possono lasciare il quartiere di Soho, affittando una casa e 9 anni più tardi, sempre con l’ausilio dell’amico si potevano trasferire in una casa migliore e da quel momento le loro condizioni di vita erano realmente migliorate, disponendo perfino di 2 donne di servizio, mentre Marx poteva perfino leggere il giornale ogni mattina. La sua vita si era imborghesita, ma ciononostante negava alle figlie di godere una buona istruzione e poter ambire ad una carriera, mentre lui non rinunciava ad occasionali giri per le osterie con i suoi compagni rivoluzionari; allo stesso tempo, disapprovava i pretendenti – delle figlie – del suo stesso ambiente rivoluzionario: uno di loro – Paul Lafargue -, il marito di Laura proveniente da Cuba, con sangue di colore, era da lui discriminato, denigrandolo con l’epiteto di Il Gorilla e detestava pure Charles Languet che aveva sposato Jenny, mentre Eleanor, già semi schiava del padre, aveva sposato Edward Aveling uno scrittore e politico di sinistra, noto per sedurre attrici, finiva ridotta a schiava, ora, del marito.
Nel 1860 la tanto amata quanto sfortunata consorte aristocratica Jenny von Westphalen – che in passato già aveva perfino dovuto cedere la propria casa alla banca dei pegni -, ora, cadeva in nuova disgrazia, vittima del vaiolo che la privava di ciò che rimaneva della sua bellezza e da quel momento fino alla morte nel 1881 si logorava, relegata a secondo piano. Dopo il suo decesso, Marx ormai diventato personaggio famoso, cessando di lavorare iniziava una vita d’intemperanza, visitando stabilimenti termali, alla ricerca di buon clima, in Svizzera, Montecarlo, Algeri; nel 1882 acquisendo influenza perfino in Russia, si vantava di poter danneggiare il potente bastione della vecchia società inglese; 3 mesi dopo, moriva seduto in vestaglia davanti al caminetto, mentre un paio di settimane prima, era perita la figlia Jenny. Anche le altre due figlie erano decedute tragicamente, Eleanor nel 1898 probabilmente suicidandosi con un’overdose di oppio, per liberarsi dal comportamento del marito; 13 anni più tardi in un patto di suicidio, Laura ed il marito Lafargue avevano dato fine alla propria esistenza. Sopravviveva solo un suo bizzarro segreto successore…
La storia inizia quando la baronessa, madre della consorte di Marx, afflitta dalla condizione della figlia, nel 1845 le aveva affidato un aiuto; si trattava di Helen Demuth nata nel 1823, di origini contadine che la nobile aveva allevato fin dall’età di 8 anni. Ebbene, tra il 1849-50, senza mai essere pagata da chi si preoccupava dei bassi salari dei proletari, oltre ad accudire l’insolita famiglia, era diventata addirittura amante di Marx, rimanendo incinta, proprio quando il figlio legittimo Guido era appena morto e anche la moglie Jenny aveva iniziato la nuova gestazione; tutta la famiglia viveva in due stanze e il “benefattore” della classe operaia, doveva nascondere lo stato di gravidanza della donna, sia dalla moglie che dai suoi compagni rivoluzionari. Alla fine, la moglie in aggiunta alle sue disgrazie, apprendeva l’amara verità e da allora il suo – fino a quel momento – leale incondizionato amore per il marito era cessato. Lei solo nel 1865 lo riferirà in un bozzetto parzialmente distrutto in cui narra le sofferenze vissute e come, in conseguenza, il loro rapporto si era deteriorato.
Marx si rifiuterà sempre di riconoscere la paternità per cui egli stesso, per ipocritamente evitare lo scandalo e preservare la sua immagine, chiederà all’amico Engels di assumere la paternità in sua vece; l’amico accetterà, ma lo rivelerà alla propria governante-segretaria Louise Freyberger che, in una lettera ad August Babel del 2 settembre del 1898, di aver appreso dal suo stesso padrone la cruda verità, aggiungendo che “Freddy appare ridicolo come Marx e con quella tipica faccia ebrea e capelli nero-blu; e solo il cieco pregiudizio farebbe vedere qualsiasi somiglianza con il Generale.” Del resto, per evitare di portare con sé il segreto alla propria tomba, avendo Engels perso la facoltà di parlare, poco prima di morire nel 1895, lascerà un biglietto ad Eleanor, “Freddy è figlio di Marx”; rivelazione fatta anche in una lettera ad un suo collaboratore. Questo documento, però, apparirà solo nel 1962, mentre altri documenti a questo proposito erano stati distrutti. Il fatto sarà solo pubblicato per iniziativa dell’autore marxista Maximilien Rubel nel 1980.
Non che Marx non avesse cercato di imitare Rousseau, il quale aveva abbandonato i suoi figli in modo anonimo in un orfanotrofio; ma la madre Helen, di forte personalità, riconoscendo lei stessa la propria maternità, si era opposta ad abbandonare del tutto il proprio figlio, ottenendo addirittura il permesso di visitare pure la famiglia Marx, dopo che era stato dato in adozione ad una coppia. Infatti, alla morte della madre, nel 1890, gli aveva lasciato una lettera e l’eredità del denaro che possedeva. Nel frattempo, da adulto il figlio aveva anche cambiato il proprio nome in Henry Frederick Demuth, mentre la sorellastra Eleanor, che già prima di apprendere la verità, trovava molto strano lo scarso interesse di Engels per il “figlio” Frederick, dopo aver appreso che si trattava del suo fratellastro, ne aveva accettato la condizione e da quel momento in poi, gli si avvicinerà, aiutandolo; il cambiamento non aveva portato fortuna a Freddy, perché l’amante della sorellastra Edward Aveling era riuscito a farsi dare in prestito i suoi risparmi senza mai restituirli…
Johnson conclude la sua descrizione di colui che si spacciava come grande padrino del proletariato, aveva conosciuto un’unica persona che effettivamente poteva integrare la classe lavoratrice: la povera Helen Lenchen ed aggiunge che Freddy – il figlio – avrebbe potuto essere la seconda, poiché era stato allevato in una famiglia di operai e come tale aveva lavorato fino a quando nel 1888 all’età di 36 anni era riuscito ad ottenere il certificato che lo qualificava come perito tecnico; tuttavia, Marx non lo aveva conosciuto come lavoratore; si erano incontrati solo un’unica volta quando stava uscendo dalla cucina, ma allora non sapeva ancora che si trattava di suo padre. L’autore conclude il capitolo, osservando che Freddy moriva nel 1929, in tempo per apprendere come il terribile tiranno Stalin aveva assunto il potere per il quale Marx tanto bramava; un potere totalitario che costituiva un vero assalto contro lo stesso proletariato russo.
Ed un soggetto come Marx di talmente chiara natura deleteria aveva avutola pretesa non solo di raddrizzare quello che il grande filosofo tedesco Kant aveva definito un “legno storto” ma addirittura di liberare l’umanità dai suoi vizi, senza egli stesso fosse stato in grado di redimersi dalle proprie imperdonabili debolezze…
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