visto da Tullio Pascoli
2 Ott 2019
IL CASO KRAVCHENKO di Nina Berberova (Recensione)
Quando le falsità non hanno limiti…
Come già commentato in una mia recensione del saggio L’OPPIO DEGLI INTELLETTUALI di Raymond Aron, ancora una volta la storia ci mette di fronte ad un ennesimo esempio della solita doppiezza da parte degli eterni impenitenti mancini d’Oltralpe. Si tratta di un caso avvenuto nel lontano Dopoguerra, ed ora riprodotto in un libro e grazie alla narrazione di un’autrice russa, ne apprendiamo i particolari su di una delle solite da parte dei sinistri; infatti, allora, al loro rientro dal regime sovietico, importanti personaggi della letteratura non esitano a diffondere le loro critiche: Raymond Aron, Albert Camus, François Furet, il britannico George Orwell, come pure il nostro Ignazio Silone ecc., mentre gli ostinati fedeli stalinisti negano tutto.
A distanza di decenni, è la volta della russa Nina Berberova che, in vista delle persecuzioni che i bolscevichi riservavano a qualsiasi individuo che solo minacciasse non integrarsi alla nuova realtà della rivoluzione proletaria ed in modo particolare quelli che potevano essere qualificati come “borghesi”, a ventun anni, mentre nel 1922, Ludwig von Mises, da buon profeta, pubblicava il suo famoso saggio SOCIALISMO, con cui 70 anni prima, descriveva come e perché il collettivismo non si sarebbe sostenuto, insieme ai genitori, era riuscita ad abbandonare la sua patria, rifugiandosi in Germania.
Dopo un primo soggiorno a Berlino, fino al 1950 si era stabilita in Francia per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Ed infatti, è appunto a Parigi che nel 1949 ha l’occasione di seguire dal vivo un evento che all’epoca aveva destato enorme eccitazione da parte del pubblico ed altrettanto disagio fra i comunisti francesi, proprio perché con un anticipo di ben tredici anni sul romanzo UNA GIORNATA DI IVAN DENISOVIČ di Aleksander Solženicyn in cui, per la prima volta, si parla apertamente dei gulag dei quali, allora, era tabù parlarne, scoppiava lo scandalo delle denunce da parte di Viktor Kravchenko, contro chi lo diffamata, mentre la Berberova finalmente, nel 1990 pubblica IL CASO KRAVCHENKO con il quale, in quasi 300 pagine, riproduce le varie fasi del conturbante processo, fornendo un’ulteriore eloquente dimostrazione con quanta sfacciataggine ed a quale punto l’ipocrisia dei comunisti francesi allora poteva giungere.
Pertanto, con questa sua opera, la scrittrice riassume le lunghe giornate in cui accesi dibattiti si riproducevano durante quella causa legale, con la descrizione delle a volte oltremodo eccitate fasi nel famoso processo mosso dall’ex capitano e dissidente alto funzionario sovietico, ViktorKravchenko, contro l”organo ufficiale del Partito Comunista Francese, il giornale Les Lettres Françaises, avendo denunciato i giornalisti responsabili, per diffamazione, dove i rispettivi legali si affrontavano in dure contestazioni con interventi da parte dello stesso Kravchenko che reagiva alle numerose provocazioni e spesso molto perplesso per le equivoche ed incoerenti traduzioni che si davano a parti del testo.
Ebbene, questo ingegnere figlio di rivoluzionari, al momento, alto dirigente del regime sovietico, durante il periodo stalinista, avendo collaborato attivamente allo sviluppo industriale, in qualità di ufficiale dell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale, era stato premiato con un incarico all’estero, dove si occupava anche di acquisti di materiali per l’industria, facendo parte della missione diplomatica commerciale, presso l’Ambasciata a Washington. Opportunità che gli aveva offerto la possibilità di liberarsi dall’opprimente regime conosciuto dal vivo.
Infatti, durante il suo servizio allo sviluppo di fabbriche industriali nella zona del Bacino del Don, aveva potuto testimoniare gli orrori commessi contro la Popolazione che subiva non solo gli abusi delle purghe contro gli stessi fedeli membri del partito, ma anche gli arbitrari arresti, seguiti dalle crudeli torture, ricatti e minacce di ritorsioni nei confronti dei congiunti, fino ad indurre gli innocenti accusati a confessare presunti delitti di tradimento od ammettendo la semplice dissidenza, con le conseguenti sommarie esecuzioni capitali l’invio ai gulag nella migliore delle ipotesi. Ma i casi più drammatici a cui aveva assistito erano gli stermini promossi da Stalin durante la devastante carestia (Holodrom), provocata di proposito dal tiranno per vendicarsi dei comunisti ucraini non abbastanza fedeli né docili… Infatti, come la storia poi confermerà, la confisca di tutti i raccolti di cereali, e la conseguente tragica fame, aveva prodotto milioni di morti.
Tanto per dare l’idea sui modi e metodi adottati durante quello che Robert Conquest descrive nel suo copioso saggio IL GRANDE TERRORE, dalla polizia sovietica dell’NKVD e dai tribunali ai tempi del paranoico regime di Stalin, senza risparmiare nemmeno i tecnici Italiani che erano stati inviati in Unione Sovietica per collaborare alla sua industrializzazione collettivista, oltre agli stessi profughi comunisti nostrani rifugiatisi dalle persecuzioni fasciste, è oltremodo utile pure la lettura delle oltre 400 pagine in cui Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi in CARNEFICI E VITTIME descrivono i dettagli di decine di scandalosi processi; infatti, i due autori, dopo la fine del regime sovietico, sono riusciti a consultare le numerose vergognose cause mosse contro i nostri connazionali, mai rientrati dopo il conflitto: gente assolutamente innocente che, magari, aveva solo osato lamentarsi del cibo e delle condizioni in cui erano indotti ad abitare o lavorare, per cui, dopo l’abusivo arresto, venivano ugualmente torturati ed obbligati a firmare confessioni false ed in fine – con la stessa “benedizione” di Togliatti e di suo cognato Robotti – condannati ad ingiuste quanto illegali quanto sommarie sentenze farsesche alla pena capitale per tradimento, con il classico tiro alla nuca sul ciglio di un fossato.
In molti casi, ai parenti veniva comunicato il decesso per malattia ed incidenti di lavoro, quando non per suicidio. Da notare che, molte di queste vittime, dopo la morte di Stalin, per iniziativa dello stesso successore – Nikita Krusciov – che durante il XX Congresso del PCUS del 1956 aveva denunciato i paurosi e sistematici delitti organizzati dallo stesso predecessore; ragione per cui, molti dei nostri – e non solo – sono poi stati riabilitati dal partito ed alle rispettive vedove corrisposta una pensione che il PCI – che riceveva i fondi neri da Mosca – corrispondeva loro le somme in contanti…
Kravchenko, dunque, nel 1943, improvvisamente abbandonato l’Ambasciata, aveva chiesto l’asilo politico, rifugiandosi presso amici russi a New York, proprio per evitare di dover rispondere all’accusa di tradimento denunciata dai sovietici, mentre le autorità sovietiche ne reclamavano l’estradizione con insistenza, non concessa perché l’autore aveva molto bene legittimato quella sua scelta con un’intervista pubblica prima, giustificata poi dal suo famoso racconto dal titolo I CHOOSE FREEDOM (Ho Scelto la Libertà). Nell’opera quindi, narrava nei particolari quanto aveva vissuto e presenziato e nella misura che le traduzioni apparivano nei diversi Paesi risultavano in un grande successo internazionale; infatti, fino ad allora non si parlava ancora del terrore stalinista.
In Francia, tuttavia, la sua traduzione del 1949 aveva creato grandissimo disagio fra i comunisti e l’organo del Partito Comunista Francese si era affrettato a pubblicare con insistenza attraverso Les Lettres Françaises che si trattava di tutta una montatura americana e che l’autore non poteva essere lui, ma che era solo una pedina dei servizi segreti degli Stati Uniti e che era sicuramente stata scritta da ben altro personaggio, visto che Kravchenko non avrebbe nemmeno avuto la capacità intellettuale di farlo; si sosteneva perfino che egli stesso non era neanche un tecnico all’altezza di certe competenze e se non bastasse, il testo avrebbe contenuto addirittura espressioni estranee alla lingua russa ecc.
Dinanzi di tali denigranti, quanto assurde calunnie, l’autore aveva deciso di perseguire legalmente gli autori – Claude Morgan e André Wumser rispettivamente direttore e redattore di Les Lettres Françaises – di tali infami accuse ed il processo, alla fine, aveva funzionato come cassa di ripercussione, riverberando lo scandalo in tutto il Paese. Ecco, quind,i come un altro personaggio russo – la Berberova – che dopo tanti anni, ne ricava un riassunto in cui riproduce non solo le sessioni della causa andata avanti per mesi, ma dando risalto anche alle stesse ridicole testimonianze fasulle, dove da una parte membri del partito comunista inviati espressamente da Mosca per testimoniare contro il proprio connazionale, ma dall’altra parte anche di militanti francesi che, senza un’effettiva nozione di causa, si riversavano contro Kravchenko, mentre decine di testimoni di ogni provenienza, soprattutto profughi, rifugiatisi in Occidente, erano giunti anche dall’estero, per confermare le loro proprie esperienze, avendo loro stessi vissuto e sofferto quanto l’autore aveva descritto.
A favore dei comunisti francesi, erano intervenuti perfino presunti specialisti della lingua russa, chiamati per sostenere la mediocrità ed imprecisione del testo e degli stessi nomi delle località menzionate, mentre altri connazionali ed autentici esperti della lingua confermavano la perfetta correttezza dei termini che, sempre secondo i sedicenti insegnanti della lingua, membri del PCF contestavano, alludendo che contenevano espressioni arcaiche, quando di fatto, non erano affatto fuori uso, anzi, erano espressioni e nomi di località tipiche delle regioni, risultando, pertanto, il testo perfettamente coerente con la tradizione russa.
Al banco dei testimoni non erano mancati nemmeno ex combattenti francesi decorati da medaglie al merito, quindi considerati eroi di guerra in Russia perfino dai sovietici, a suo tempo rientrati dopo aver contribuito alla resistenza dei sovietici contro i nazisti; questi aviatori, infatti, con grande perplessità dei difensori del partito, si erano disposti a testimoniare in maniera trasparente, a favore delle descrizioni di Kravchenko e quindi, alla fine, il giornale ed i rispettivi responsabili, erano stati condannati.
Ecco l’ennesimo esempio dell’ipocrisia che i soliti comunisti europei mettevano in pratica pur di non lasciar trapelare informazioni compromettenti in grado di danneggiare l’immagine del collettivismo sovietico che doveva essere preservato ad ogni costo. Note anche le posizioni dei comunisti nostrani, in testa Il Migliore, alias Palmiro Togliatti – amico personale di Stalin– mentre l’impenitente ostinato dogmatico e degnissimo cognato Paolo Robotti in pieno 1950 arrivava all’estremo di pubblicare una specie di rapporto, esaltando la vita nel cosiddetto paradiso del proletariato con un saggio – NELL’UNIONE SOVIETICA SI VIVE COSÌ – per il quale, per poco, non gli conferivano niente meno che il Premio Strega… quando allo stesso tempo, si impediva agli Italiani che durante il Fascismo si erano rifugiati in quel Paese, di rientrare in Patria, da dove soffrivano l’incubo di essere eliminati pur di non esporre in Italia come avevano vissuto la realtà di quell’autentico delirio.
Ma chi crede che questo modo ipocrita di coprire la realtà sovietica, provenisse solo dai fanatici militanti e dirigenti del PCI, si sbaglia, infatti, quando agli inizi degli anni ’70 viene pubblicato ARCIPELAGO GULAG di Aleksander Solženicyn la “blasonata” intellettualità della mancina militanza nostrana cercherà puntualmente di squalificare anche quello che in realtà doveva diventare un autentico documentario dell’orrore collettivista, narrato proprio da chi l’aveva subito dal vivo. Ecco cosa osserva Gennaro Malgieri su FORMICHE.NET a proposito delle reazioni dei soliti simpatizzanti comunisti e di come si erano espressi i nostri bravi autori sinistramente impegnati nella nobile causa a favore dell’inferno comunista:
– Arcipelago Gulag venne “smontato” da Carlo Cassola sotto il profilo “artistico” in quanto il suo autore non valeva nulla su quel piano…
– Umberto Eco definì Solženicyn una sorta di Dostoevskij da strapazzo
– Alberto Moravia sull’ ”Espresso” lo liquidò come un “nazionalista slavofilo della più bell’acqua”.
Ma, forse, il campione di tutti i nomi commemorati da una certa “Kultura” è stato lo strabico – che vedeva storto in tutti i sensi – Jean-Paul Sartre che non si vergognava di sostenere che bisognava negare tutto per il bene della grande causa. Non per niente, stando al rapporto di oltre 230 pagine scritto da Jean Montaldo – LES FINANCES DU P.C.F. – l’autore transalpino descrive come i sovietici finanziando, giornali, riviste, eventi culturali ecc. ecc., destinavano sistematicamente somme pagate a tutta una serie di intellettuali come Sartre diligentemente allineati ai propri ideali collettivisti, affinché, in cambio, scrivessero bene del regime.
I tempi, tuttavia, oggi sono cambiati e chi finanzia le Sinistre non sono più i sovietici, ma sono quegli stessi miliardari che mantengono rotocalchi in crisi e che perdono continuamente lettori, perché attualmente, grazie alla rete di Internet, le informazioni circolano liberamente e, quando qualcuno diffonde qualche falsità, nel giro di brevissimo tempo possono essere smascherate, mentre i giornali “impegnati” il giorno dopo, in vece di vere smentite, inseriscono magari fra le ultime pagine, brevi contraddittorie ammissioni dei propri errori.
È il caso dell’onda cavalcata da una specie di proseliti del nuovo totalitarismo, costituita da tutta una serie di mediocri giornalisti impegnati in un vero terrorismo mediatico, coadiuvati dagli attivisti militanti delle centinaia e migliaia di distinte ONG distribuite nel mondo e sostenute da speculatori interessati, affinché diffondano dati elaborati su misura, da ambigui ricercatori interessati ad ottenere stanziamenti pubblici e da altrettanti ciarlatani che continuano a predicare il catastrofismo ecologico, trasformandosi in veri profeti delle disgrazie annunciate.
Per far valere le loro grottesche previsioni della prossima apocalisse, contando su dati forniti dall’appendice dell’ONU – IPCC – che diffonde statistiche manipolate e largamente pubblicizzate con tanta insistenza nei congressi, nelle conferenze, nei protocolli, nelle commissioni organizzati fin dagli anni ’60. Ma a questi, poi si è aggiunto anche il bravo Michail Gorbatciov che, prima a partire dal 1985 con la Perestojka, sentendo ormai di non poter più sostenere il confronto armamentista con gli Stati Uniti, con una specie di capovolgimento, pubblica la sua versione di Ristrutturazione, cambiando strategia e nel 1990, poi, con la Green Cross che, sull’idea della Croce Rossa avrebbe dovuto occuparsi della salvezza ecologica, ma probabilmente con seconde intenzioni, dà inizio alla nuova strategia collettivista, ora, di conio “pacifico”.
Nel frattempo, fin dal 1956, d’accordo con la denuncia di un ex presidente della International Organizations Employees Loyalty Board – Pierre Gerety – la Sinistra si era già infiltrata fortemente nell’ambito delle strutture delle Nazioni Unite. Infatti, a proposito delle tesi sui pericoli che minacciano l’equilibrio ecologico mondiale, servono i famosi esempi con cui comincia una forte penetrazione coordinata con eventi ed organismi come il CLUB DI ROMA del 1968; la CONFERENZA DI STOCCOLMA del 1968-72; la COMMISSIONE TRILATERALE, iniziata a New York nel 1973; la CONFERENZA DI TBLISI del 1977, la CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE – SUMMIT DELLA TERRA) e l’AGENDA 21 di Rio nel 1992; il PROTOCOLLO DI KYOTO nel 1997 e via dicendo. Tutte iniziative che danno origine alle conseguenti dimostrazioni di protesta da parte di intolleranti fanatici di entità quali GREEN PEACE, WWF, da noi LEGAMBIENTE, da cui poco a poco nascono i cosiddetti distinti partiti politici VERDI, pure questi in parallelo incoraggiati da miliardari che finanziano vere cellule di indottrinamento di attivisti catalogate come ONG, ed ambiguamente sostenute dall’ONU con i suoi tentacoli delle sue appendici, quali appunto, l’UNESCO, IPCC, PNUE, CMED ecc. ecc. con la pretestuosa finalità di imporre mondialmente, non solo controlli sull’inquinamento, ma perfino l’introduzione di nuovi modi di pensare.
Così, si decide di rompere con paradigmi consolidati da millenni e nelle scuole si introducono nuove materie come la cosiddetta psicologia sociale, l’ideologia di genere, proprio per ridurre l’influenza dei genitori e sostituire la famiglia con l’autorità del potere pubblico politico, sempre con la meta di creare l’uomo nuovo; come già detto, dando enfasi all’ecologia e le rispettiva responsabilità dell’industrializzazione. Così, l’IPCC viene incaricato di pubblicare dati di ricercatori utilmente addomesticati, con l’ausilio di cattedratici avidi di finanziamenti pubblici, stanziamenti che poi devono essere giustificati in connubio con politicanti che, a loro volta, possono promettere al pubblico votante un mondo meravigliosamente migliore, ugualitario, privo di inquinamenti, senza ingiustizie, senza sfruttatori, ma che in cambio hanno diversi modi per lucrarci sopra pure loro.
Ma diventa sempre più difficile non intravedere come dietro ai sipari di tutta questa messa in scena, si muove ben altro: un vero ordito politico in cui si trama la vendetta del Collettivismo sul Capitalismo che lo ha sconfitto nell’ambito economico, grazie all’Ordine Spontaneo del Mercato, rendendo le tesi della rivoluzione proletaria ormai obsolete, e fatalmente cadute sotto le macerie del Muro della Vergogna di Berlino. E, secondo autori come William Norman Grigg che pubblica FREEDOM ON THE ALTAR ed il francese Pascal Bernardin autore di MACHIAVEL PEDAGOGIQUE ou Le Mystère ou la Reforme Psychologique – in cui accusa apertamente l’UNESCO – ed inoltre L’EMPIRE ECOLOGIQUE ou La Subversion de l’Ecologie par le Mondialisme, con il quale lo stesso autore riassume come la reazione dei Sovietici, ormai consapevoli di non poter più sostenere il confronto economico ed armamentista altamente tecnologico e strategico con l’Occidente, riparte con la Perestroika, idealizzando un nuovo ordine, ma pur senza dichiararlo, con la stessa meta di competere con il benessere, con lo sviluppo ed il progresso e riprendersi il potere perso, mettendo tutto ciò, benessere compreso, è sotto accusa perché, danneggerebbe la stessa vita biologica, costituendo un gravissimo pericolo perfino il nostro Pianeta…
Perciò, abbandonando l’idea della rivoluzione proletaria delle barricate, adottano una strategia più moderata, già teorizzata da Antonio Gramsci, per cui è più efficace l’occupazione di settori capaci di influenzare la “Kultura”, nelle scuole, i mezzi di comunicazione come radio, TV, giornali, gli ambienti dell’arte come teatro, cinema, musica popolare, insieme alla militanza dei sindacati ecc. ecc. Non per niente, oggi si può constatare come, di fatto, l’espediente dimostra di funzionare piuttosto bene. La prova l’abbiamo sotto gli occhi con il fenomeno di una, in apparenza, innocente adolescente, che si muove in giro per il mondo, esortando scolaresche a scendere per strada per condannare il modello economico del consumismo, del progresso e dell’abbondanza, raccomandando il ritorno ad un modello più naturale di altri tempi in sintonia con un presunto equilibrio del Pianeta.
Ed ecco come, con la generosa collaborazione di noti miliardari fra i quali Al Gore, l’indottrinata ragazzina che, come un pappagallo, ripete slogan e frasi elaborate di forte effetto emozionale, preparate diligentemente da adulti, agendo come ventriloquo dei propri genitori, noti fanatici attivisti militanti dell’ambientalismo, riesce a scatenare una forma di panico collettivo, al quale si aggiunge un autentico allucinante terrorismo mediatico che diffonde teorici prossimi gravissimi pericoli di cui il primo sarebbe responsabile il consumismo – secondo loro – il deleterio aspetto del Capitalismo -, esortando ad opporsi alla crescita, senza la minima considerazione del benessere che l’attuale modello ha generato, per tornare ad una mitica vita idillica naturale dai molteplici bucolici colori di altri tempi, come se il famoso felice buon selvaggio fosse mai esistito -, perché ciò che ci attenderebbe addirittura a breve termine, è l’apocalisse, a meno che tutti si convertano anche alla nuova rivoluzione vegana…
Ma dietro l’esortazione di rinunciare, alle comodità, al progresso, al lusso, e soprattutto alle nostre libertà di individui che fanno le proprie legittime scelte, approfittando dello sviluppo e dell’attuale progresso, in realtà, questo catastrofismo ecologico annunciato, si cela non solo un palese quanto sfacciato ciarlatanismo; c’è ben altro: un ambiguo lato tetro nascosto; l’oscuro ordito tramato dagli eterni aspiranti profeti – che non promettono più il paradiso del proletariato – ma ricorrono alla minaccia; ora, prevedono le disgrazie annunciate che, del resto, hanno tutti gli ingredienti di una vera cospirazione a favore di un totalitarismo ambientalista, dietro al quale continua vivo il Collettivismo sotto le nuove vesti anche del Marxismo Culturale.
Eppure, continua sempre quello di una volta secondo il quale, contrariamente alle tesi dei pragmatici realisti che raccomandano l’utilità di vedere per credere, per loro, al contrario, è necessario credere per vedere, ma pur sempre con la solita pretesa di dominare il Mondo e che, ora sotto l’egida dell’ONU, mira all’eliminazione delle sovranità nazionali, imponendo l’interdipendenza a livello mondiale – perché il clima che la modernità starebbe compromettendo è un bene universale – per cui si giustifica l’intervento nei Paesi che non si adeguano alle nuove direttive frasi le quali entra addirittura la soppressione delle distinte identità; ecco, è il ritorno dei sinistri totalitari ora, mascherati da ambientalisti.
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