visto da Tullio Pascoli
31 Mag 2019
Ciò che i Collettivisti dovrebbero Sapere.
E gli equivoci di Marx & Compagni.
Il Marxismo costituisce una delle più importanti ed ambigue teorie filosofiche ed economiche mai immaginate dagli umani ed ahimè messa in pratica a loro danno. La sua infelice realizzazione ha segnato il secolo che si è appena concluso con il grottesco tentativo di trasformare un’ingenua teoria in realtà che poi ha generato uno dei periodi più dolorosi vissuti da una grande porzione della Popolazione mondiale. Infatti, un’enorme parte dell’umanità, ha dovuto pagare caro l’utopico progetto per il quale i rispettivi pensatori inducevano le persone a credere (nella teoria) per vedere (l’ipotetica realtà).
Eppure, l’esperienza insegna che è più sensato e ragionevole adeguarsi alla concreta realtà, nella misura in cui si presenta, correggendo gli errori eventualmente commessi, senza perseverare ostinatamente nelle assurde tesi elaborate nelle certezze, frutto di fertile immaginazione; e non ci sono dubbi che se ci si fosse fatti guidare dai dubbi, sarebbe stato anche molto meno doloroso, risparmiando milioni e milioni di povere vittime.
Ecco che la logica insegna come si dovrebbe adottare il principio opposto, ossia, quello di vedere prima, per credere poi; infatti, se quei Popoli che, per loro sfortuna, hanno dovuto subire il collettivismo avessero potuto affidarsi ai risultati pratici, invece di seguire ciecamente quei piani teorici, moltitudini del mondo intero non solo non sarebbero state illuse ed ingannate, inutilmente, ad un costo tanto elevato ma, in un regime di più ampia se non totale libertà, avrebbero potuto evoluire, prosperare e conoscere il benessere che l’Occidente ha saputo generare.
Ed è oltremodo deplorevole constatare come ancora oggi, dopo che si sono scoperti i tragici disastri che il collettivismo ha prodotto, ci sia chi non concepisce che per ottenere successo è necessario saper essere versatili, adeguandosi alla realtà, senza lasciarsi condizionare da modi intransigenti e da idee fisse che non producendo risotti positivi, devono essere scartate.
La vita, in nessun ambiente, offre certezze, anzi, ad ogni nuova giornata, insegna nuove esperienze che inducono ad adottare nuove strategie e pratiche adeguate al momento, in grado di correggere gli errori che derivano dall’impossibilità di poter indovinare le eterne incerte circostanze. Sono le esperienze empiriche che debbono guidarci fra le incertezze che affrontiamo ad ogni singolo istante, dovendo adeguarci continuamente alle nuove incognite, in funzione del tempo e del luogo, senza necessariamente seguire rigidamente in maniera predefinita, semplici o complicati fantasiosi e dogmatici ideali.
Per questo, non potendo prevedere ciò che riserva l’avvenire, i modelli pianificati, generalmente incorrono in gravi equivoci ed essendo programmati in anticipo, risulta di solito difficile correggere i propri piani in modo flessibile, perché condizionati dalla rigidità del proprio modello.
Tuttavia, nei regimi in cui la cupola dirigente si attribuiva la facoltà di poter prevedere le necessità e di programmare le aspirazioni dei propri sudditi, tendevano a pianificare ciò che eventualmente da un momento all’altro, non risultava nemmeno più prioritario, trascurando, al contrario, altrettanto spesso, ciò che nel frattempo risulta davvero opportuno o perfino essenziale. Per cui, com’era avvenuto in Unione Sovietica, in Cina o a Cuba, ed ovunque dove avevano adottato tale modello, invece di sviluppare il benessere, in luogo fomentare abbondanza, crescevano le file delle moltitudini in attesa di giungere al proprio turno per ottenere appunto ciò che scarseggiava e che non era stato previsto.
Nel modello del mercato libero delle società aperte, i produttori di beni e di servizi, invece, sono indotti ad operare in funzione della domanda degli individui e per il fatto di dover ottenere un minimo di risultato lucrativo, la libera iniziativa sempre cerca di ottenere la massima approvazione e, dunque, il miglior successo possibile, soddisfacendo la richiesta. In tale condizione, chi non riesce ad esaudire le aspettative dei consumatori, rischia l’insuccesso e perfino di andare in perdita fino a fallire.
Nei regimi a mercato chiuso, al contrario, le decisioni sono prese da una cupola di militanti burocrati indottrinati che programmano le fittizie eventuali necessità, seguendo a priori le proprie temerarie previsioni; di solito, seguono con perseveranza ed ostinazione le proprie tesi, incapaci di adeguarsi agli imprevedibili bisogni che possono improvvisamente sorgere. Per questo, si dice che le loro teorie sono dogmaticamente regolate come se si trattasse di vera fede.
E ciò che è peggio è il fatto che per procedere nei loro intransigenti ed inflessibili programmi, devono obbligare gli individui ad accettare le loro soggettive scelte ed obbedire alle determinazioni emanate dall’alto verso il basso, senza un minimo riguardo per i pareri del pubblico. Infatti, in un regime di tale natura gli individui non hanno alcuna voce e sono condizioni dalle pretese di una mera minoranza poco inclinata all’indulgenza e che impone le proprie decisione come se fossero sentenze e che la docile massa le accetti, collettivamente, mentre agli individui viene imposto rinunciano non solo alle proprie pretese, ma perfino ad essere se stessi.
Perciò, in un modello analogo, non è mai stato molto prudente dimostrare opinioni contrastanti proprie, osando eventualmente, pensare con la propria testa e manifestare le proprie preferenze contrarie a quanto stabilito; in tal caso, si rischiava di essere considerato nemico del sistema, dove nessun genere di aspirazione personale di conio egoista era tollerato.
Per cui, fare le scelte per la collettività, essendo compito esclusivo della nomenclatura del regime, gli individui potevano considerarsi liberati delle rispettive responsabilità, in questo modo, indirettamente delegate all’autorità, il regime alimentava l’indifferenza generalizzata e con essa la conseguenza naturale era la rinuncia a qualsiasi iniziativa non determinata in maniera specifica, da chi deteneva le redini del potere.
Così, la gente fin dall’infanzia veniva preparata, non tanto a pensare, ma semplicemente a seguire l’andazzo ed obbedire, evitando qualsiasi forma di trasgressione, poiché, di conseguenza, vigorava inevitabilmente tutto un sistema di severa intollerante repressione, in cui ai più indisciplinati, agli ostinati contestatori, era riservato il massimo rigore, sovente dopo sommarie sentenze, erano inviati ai campi di concentrazione – gulag – dove in condizioni quasi sempre del tutto disumane, solo pochi sopravvivevano. E a questo proposito esiste una vastissima letteratura, da Aleksandr Solženicyn, a Boris Pasternak a Varlam Šalamov che circolava segretamente e che era stata pubblicata in Occidente, dove il mondo incredulo, prendeva della crudeltà del “fraterno” Comunismo.
Ma, tutto ha dei limiti e, dopo circa settant’anni di regime oltremodo autoritario e spietato, in cui centinaia di milioni di persone hanno vissuto in condizioni di semi schiavitù, finalmente, con la caduta del muro della vergogna di Berlino, si sono liberate da quel tragico incubo, grazie all’inevitabile collasso dell’intollerante collettivismo mantenuto in piedi da un implacabile e minaccioso pugno di ferro.
Tuttavia e purtroppo, molti, anzi troppi, hanno avuto la disgrazia di passare per quella dolorosa esperienza, in cui erano indotti a vivere un autentico delirio, quello del Comunismo, dove per causa delle scelte fatte da pochi che potevano semplicemente imporre ai molti l’ideologia in cui, attraverso la soppressione di ogni libertà, tutti erano obbligati a credere in un eventuale felice avvenire, in quello che doveva essere il cosiddetto paradiso del proletariato, che per essere realizzato comportava tali sacrifici al presente da diventare un vero inferno.
Pertanto, in praticamente tutti i sistemi collettivisti, al posto della tanto ventilata fraterna eguaglianza, si era consolidata una forte discriminazione fra la casta privilegiata del partito unico che con la pretestuosa promessa del prossimo paradiso in Terra, si arrogava ogni prerogativa, mentre il resto della Popolazione sottomessa, in quell’esasperante ed inutile attesa, era condannata a pagare per gli errori della Nomenclatura.
Fra i diversi idealisti che sostenevano un equivoco egualitarismo, con la presunta finalità di riparare alle ingiustizie che la natura, a caso, ma anche gli umani generavano con le proprie iniziative, generando ingiusti diseguaglianze, per cui non tutti godevano dello stesso benessere, l’astratto teorico Karl Marx, insieme al suo generoso sostenitore Friedrich Engels – ma non sono stati gli unici – avevano formulato la la teorie della collettivizzazione dei mezzi di produzione che, così, dovevano ad essere di proprietà non degli individui, bensì della cosiddetta collettività. Ecco che nasceva la disgrazia del Marxismo che pretendeva eliminare la proprietà privata, dovendo ogni bene diventare proprietà comune, da cui il Comunismo. Eppure la prima proprietà dell’individuo in assoluto è il proprio corpo, il suo particolare “io” che non può essere confiscato.
Con il tempo, tuttavia, in un ambiente talmente ambiguo, le diverse contraddizioni non potevano non venire a galla; per cui, alla luce della cruda realtà, dove i valori individuali e delle famiglie stesse erano messi a tale delicata prova, quei modelli si avviavano verso inevitabile un mare di tempeste, dove le acque agitate minacciavano la felicità del Popolo ridotto a mero stato di sudditanza, dimostrando non solo che si navigava in direzione di ignoti pericoli della totalità della società, dove il sogno di una prepotente minoranza nutriva la vana illusione della grande maggioranza, con l’equivoca teoria che, alla fine, si rivelava essere un’autentica chimera. Infatti, tolta ogni prerogativa di scelta agli individui, in un regime di completa assenza di libertà, diventava sempre più evidente l’impossibilità di portare a termine quell’utopico progetto, senza grandi ed inutili, quanto dolorosi sacrifici per i quali agli individui non era più concesso di perseguire le proprie legittime ambizioni, anzi, quando avrebbero potuto dare il proprio spontaneo contributo al benessere generale, solo in un ambiente in cui avrebbero potuto mettere alla prova le rispettive potenzialità. Infatti, l’ideologia si fondava su tutta una serie di false premesse e di evidenti equivoci che possono essere riassunti sommariamente nei punti che seguono.
CHE GLI UMANI SONO TUTTI UGUALI: Già, abbiamo ereditato il contraddittorio assioma dal filosofo greco Platone, che da una parte sosteneva un’ambigua potenziale uguaglianza, ed allo stesso tempo, discriminava umani classificati e sommariamente divisi in caste. Infatti, immaginava una REPUBBLICA comandata dai filosofi da un lato e controllata dai soldati dall’altro – un vero modello totalitario -, mentre sia gli schiavi come le donne non dovevano essere considerati al livello di cittadini; pertanto, già in questo modo, quella congetturata uguaglianza teorica e fittizia, nei fatti, era semplicemente negata.
In fondo, nella visione del nostro tempo, oggi, possiamo concludere che si trattava di una banale farsa in cui – per dirla con Orwell – alcuni erano più uguali degli altri, perché a ciascuno era designato un determinato compito da seguire in determinate particolari specialità, a criterio di chi si arrogava tale inconcepibile facoltà, se non bastasse, vita natural durante, indipendentemente dalle singolari inclinazioni e senza la minima considerazione delle aspirazioni di ogni individuo e dei cambiamenti che, eventualmente, nel corso della vita, ognuno può subire in funzione delle nuove esperienze vissute.
Eppure, è più che palese che gli umani non nascono, né uguali e tanto meno già sapendo ciò che desiderano essere o possono fare meglio; è il tempo – e nel logo – che gli individui evoluiscono, formando le proprie personalità ed attitudini; così, le rispettive predisposizioni possono cambiare in continuo, come di fatto cambiano. Non per niente, tutti hanno sensibilità specifiche e, principalmente, completano le loro esperienze nel corso della propria vita particolare che possono influenzare – come effettivamente condizionano – le proprie interpretazioni della realtà che, nell’osservazione attenta o distratta di ognuno, è ugualmente in costante mutazione. Ogni giorno è un altro girono distinto, perciò, apprendiamo sempre qualcosa di nuovo, poiché ogni momento vissuto insegna qualcosa d’altro e come risultato siamo tutti soggetti successive mutazioni, generalmente migliorando.
Platone, al pari di coloro che a lui si ispiravano, non riconosceva il diritto agli individui di seguire le proprie scelte, aspirando ad essere diverso da come era stato stabilito dai detentori del potere; nemmeno la prerogativa ipotetica di, eventualmente, cambiare mansioni o di pentirsi delle proprie iniziali preferenze. Ma, in questo, nemmeno nel meno recente passato, è stato l’unico; allo stesso modo, come Platone immaginava la sua repubblica virtuosa guidata dai saggi filosofi, un altro pensatore italiano, Tommaso Campanella, teorizzava la famosa CITTÀ DEL SOLE, dove, fin dall’infanzia tutti erano indotti ad apprendere ad essere uguali, ognuno con sue funzioni determinate, senza concessioni al divertimento ecc.
E questi deleteri modelli erano stati adottati più avanti, come in Francia dai rivoluzionari giacobini, in Russia dai bolscevichi e fino alla nostra attualità degli stalinisti cubani. Ma, mentre il totalitarismo di Robespierre si concludeva in un fuoco di paglia, quello marxista di Giri doveva resistere oltre settant’anni, raggiungendo il culmine della tirannia sovietica con il despota Stalin che aveva tentato di realizzare l’ambiguo quanto falso ideale ricorrendo alla più atroce repressione, imitato ancora nel nuovo millennio dai seguaci cubani dei fratelli Castro. Ai presunti “saggi”, ossia, agli scrittori ed agli intellettuali, Stalin aveva attribuito il compito di modellare il cosiddetto uomo nuovo, modificando la naturale tendenza degli individui – modellati dai propri genitori – di pensare; no, bisognava liberarli dal giogo della famiglia, affinché imparassero ad agire secondo la dottrina determinata dall’autorità assoluta, cioè, rinunciando a sviluppare qualsiasi personale opinione.
Sempre secondo Stalin, questi pretesi “saggi” dovevano agire come “ingegneri delle anime”; ed in una certa occasione, nell’allora Unione Sovietica, durante un congresso dei cosiddetti “saggi”, dinanzi a tale singolare pretesa, lo scrittore francese André Malraux, aveva osato esprimere la seguente osservazione: “Non dimentichiamoci che gli ingegneri esistono per inventare”. Ovvero, non si può inibire le menti di usare il proprio cervello; infatti, abbiamo la facoltà di ragionare, non tanto per piegarci alle soggettive volontà altrui, obbedire ciecamente, ma ci serviamo della nostra mente per valutare e ed agire in coerenza alle proprie riflessioni. Anche i collettivisti cinesi di Mao Zedong, quelli del cambogiano Pol Pot, come pure di Fidel Castro hanno vanamente tentato di modificare la naturale indole degli umani e tutti, puntualmente, con similari catastrofici risultati storici, ormai più che noti.
Ebbene, è più che evidente come non si nasce uguali; a maggior ragione non lo diventeremo mai, al contrario, siamo tutti differenti e tali rimarremo nel corso delle nostre distinte esistenze. Ogni singolo individuo ha le sue intrinseche caratteristiche e, conseguentemente, agisce secondo le proprie valutazioni e preferenze, potendo raggiungere risultati specifici nei modi più diversi, avvalendosi delle proprie specifiche interpretazioni, per cui ottiene pure meriti distinti a-sé-stanti. Già le differenze fra uomini e donne, per esempio, sono particolarmente evidenti: nelle femmine, per esempio, pensano e si comportano a modo loro; infatti, in loro, i due lobi del cervello sono collegati da un istmo più largo di quello dei maschi; questo rende il loro modo di essere e di agire molto diverso, poiché, la rispettiva attività cerebrale non è la stessa. È un’eredità che ha dotato le donne fin dall’antichità già che esse realizzavano faccende più numerose e diversificate ed anche più complesse: portavano avanti la gestazione, si dedicavano ai figli, preparavano gli alimenti, gli abiti e mentre si dedicavano a tali mansioni, potevano comunicare non solo con i figli, ma anche fra di loro, scambiando pareri e conoscenze con le loro colleghe; tanto è vero che la storia attribuisce loro l’invenzione del linguaggio, quando gli uomini – spesso in solitudine – si dedicavano alla caccia in silenzio.
Dunque, Platone, Campanella e Rousseau – in altro contesto -, come poi più tardi, tiranni impostori come Stalin, Mao e Pol Pot o Fidel Castro, intendevano che ai presunti “saggi” fosse dato di condizionare, senza alcuna minima tolleranza, i presunti meno “sapienti”, ai quali non restava altro che docilmente eseguire i loro dettami. Quelle loro tesi dovevano essere seguite alla lettera e nessuno poteva metterle in dubbio, senza correre il pericolo di essere incarcerato e addirittura eliminato. Non importava se nella pratica le loro imposizioni puramente teoriche dottrinarie risultavano fallaci e spesso addirittura grottesche. Spettava unicamente alla gerarchia dominante determinare cosa era buono o meno; l’opinione all’esterno della cupola non contava. Eppure, se è vero che ognuno di noi ha molto da imparare dagli altri, ha pur sempre anche qualcosa da insegnare, proprio perché tutti abbiamo le nostre esperienze uniche, derivate dai multipli tentativi e dalle lezioni ottenute dagli errori commessi.
CHE GLI UMANI ESISTONO PERCHÉ PENSANO: già, come se i vermi che non pensano non esistessero… Ecco che un altro “illuminato” filosofo francese – Cartesio – affermava letteralmente: “cogito ergo sum”, ossia “penso, dunque sono”, invertendo palesemente un giudizio di valore giacché, in realtà, tale affermazione, come giustamente sostiene l’autore portoghese Antonio Damásio ne L’ERRORE DI CARTESIO, il significato della frase dovrebbe essere capovolto: “sono, dunque penso”. Da quella equivoca locuzione, nasceva un embrione che secoli più tardi dava inizio al movimento che esaltava il progresso scientifico – positivista – di Henri de Saint-Simon ed Auguste Comte, consolidando il paradigma secondo il quale, l’essere umano, grazie alla sua intelligenza, avrebbe potuto accedere ad ogni ultima conoscenza. Di fatto, però, l’esperienza insegna che nella misura in cui apprendiamo più ci rendiamo conto dei nostri limiti e concepiamo quanto poco contiamo in questo misterioso infinito universo e quanto abbiamo ancora da scoprire; infatti, la conoscenza è illimitata, ossia infinita, mentre noi siamo semplicemente limitatamente finiti. Ce lo conferma un altro grande pensatore austriaco – Karl Popper – che spiega come la conoscenza non ha fine, visto che la ricerca non si esaurisce ecc.
IL POSITIVISMO DELLA SCIENZA: Quindi, il filosofo francese Auguste Comte incorreva in questo fallace concetto, inaugurando una nuova dottrina, secondo il quale attraverso la scienza ed il ragionamento avremmo potuto finalmente chiarire ogni verità, per cui la scienza avrebbe dovuto sostituire la nostra religione. Per fortuna che a questi equivoci si era già anticipato colui che consideriamo il maestro di Platone – il quale è da alcuni – anche definito il traditore di Socrate; questo passato alla storia per aver bevuto la cicuta pur di non risultare incoerente e soprattutto per la sua ammissione di “sapere solo di non sapere…” mentre molto più tardi, un altro filosofo francese, Blaise Pascal, osservava che “il cuore ha ragioni che la stessa ragione non conosce”. Non per niente, viviamo anche sotto l’influenza degli impulsi, generati dal processo fisico-chimico nel nostro organismo, che influisce su emozioni, intuizioni ma che, allo stesso tempo, scatena ed agisce su desideri, sogni e finalmente sui comportamenti di ogni essere vivente; infatti, non siamo macchine insensibili che agiscono meccanicamente; come aveva osservato Ennio Flaiano, animali pensanti, ma credo che siamo mossi anche – se non soprattutto – da sentimenti.
Inoltre, tutto cambia, perfino e principalmente la scienza: le verità di ieri, alle volte si trasformano in falsità di oggi, mentre le verità odierne potranno risultare equivoche un domani o viceversa; perciò, ciò che sembra falso attualmente in avvenire, potrà risultare vero. Tutto, in questa alterna esistenza è cambiamento; non per niente, Eraclito“ sosteneva che “l’acqua non passava due volte sotto lo stesso ponte.” Ecco che tutto è passeggero, tutto cambia costantemente; niente è definitivo. Anche noi stessi, esseri umani semplici mortali, poiché, tendiamo tutti ad arricchirci di esperienze e di nuove conoscenze che, a loro volta, modificano la nostra capacità di interpretare e non solo gli eventi del passato ma anche il modo di immaginare il futuro. Pertanto, nuove come pure vecchie verità si possono presentare in modi del tutto differenti. Viviamo ed agiamo in funzione di interpretazioni dei fatti e della realtà a seconda dei momenti e luoghi specifici, ovvero, dei contesti che non si possono immaginare a priori. Ragione per cui, in un dato momento più avanti, od in luoghi nuovi, dopo aver accumulato nuove esperienze, dunque, nuove nozioni, possiamo cambiare improvvisamente la nostra capacità di intendere e di valutare. Niente è definitivo, nemmeno la morte, poiché la materia di cui siamo composti si trasforma, ma la sua essenza continua ad esistere: siamo composti di energia e questa continuerà sotto altra forma, e c’è perfino chi sostiene che lo spirito e quella che alcuni considerano l’anima, non si estinguono. Con certezza, i nostri geni, il DNA contenuti nel nostro organismo, in qualche modo, sopravvivono alla nostra morte fisica, al nostro “io” che cessa di essere consapevole, ma io credo che ciò che resta continui in determinate forme e luoghi.
Nelle scuole apprendiamo la storia in maniere differenti. Ogni insegnante difende le proprie verità, ma nessuno può sostenere, in modo definitivo, quale sia la più vera delle verità, poiché ognuno di noi, in funzione della propria costituzione, della propria sensibilità, giunge a conclusioni particolari che in ultima analisi saranno nient’altro che verità relative, mentre la verità assoluta rimane un mistero che qualcuno può identificare con l’inaccessibile Mistero di Dio. La storia che i nostri predecessori hanno imparato era differente da quella che è stata impartita a noi e domani, alla luce di nuovi elementi, potranno sorgere nuove versioni. Sovente, è più facile interpretare la storia (consolidata) del passato di quella del presente. Tuttavia, loro i marxisti, quelli che credono che la storia si ripete, hanno addirittura la pretesa di saper interpretare non solo la storia del passato e del presente, ma pretendono anticipare perfino l’incerto futuro e, come gli indovini, si attribuiscono le funzioni di presunti profeti…
CHE GLI UMANI NASCONO BUONI E LA SOCIETÀ LI CORROMPE: Anche il filosofo francese Rousseau, in maniera contraddittoria predicava l’eguaglianza ed affermava che nell’antichità eravamo tutti buoni e benintenzionati allo stesso modo e che il tempo la nostra civiltà ci avrebbe corrotti. Eppure, i fatti concreti e in maniera inequivocabile, dimostrano l’esatto contrario: l’essere umano è un animale che attraverso il tempo si è evoluto, diventando sempre migliore, fino a sviluppare tecniche ed etiche, che gli permettono di vivere socialmente organizzato, seguendo principi morali costituiti poco alla volta nella misura in cui si perfezionava anche la rispettiva consapevolezza, anche se ciò non esclude inevitabili conflitti. Infatti, ciò che ci induce ad agire sono due elementi vitali, la fame ed il timore. Il fenomeno viene spiegato in modo eloquente dalla pensatrice russo-americana Ayn Rand, nel convincente saggio LA VIRTÙ DELL’EGOISMO in cui espone come l’egoismo sia una necessità biologica prodotta dall’incertezza e dalla quale sviluppiamo anche la prudenza.
I cosiddetti “buoni selvaggi”, contrariamente a quanto sostenuto da Rousseau, erano anche loro mossi dall’egoismo, al punto rendersi assolutamente crudeli, uccidendo per qualsiasi motivo i propri simili, perfino cibandosi della loro carne e non solo per fame, ma spesso, specialmente le parti interne dei rivali, incluso con l’intuito di impossessarsi dei loro poteri e spirito. Pertanto, quello dei presunti selvaggi fraterni era semplicemente un romantico mito, come mitica era pure quella della presunta idilliaca età dell’oro, durante la quale, in un immaginario remoto passato, gli umani sarebbero vissuti in perfetta armonia, mentre, in realtà, non c’è mai stata una società giusta e perfetta; infatti, nessuno ha mai trovato tracce di Popoli che vivevano in totale pace, e giustizia, senza alcun conflitto. In fondo, se ci sono stati periodi di pace, in libertà, sono sempre stati interrotti da altrettanti confronti violenti e sanguinosi; di fatto, un periodo di maggiore e prolungata tranquillità dove diversi Popoli convivono senza combattersi, lo vive l’Europa in questi più attuali e recenti decenni…
CHE IL LAVORO HA UN VALORE FISSO: lo storiografo Karl Marx – ed altri teorici prima di lui, come l’economista prussiano Carl Robertus – ritenevano che tante ore di lavoro – dedotti i costi di produzione e materie prime -, dovevano rigidamente corrispondere al valore di certi beni prodotti in tale spazio di tempo; quindi, ad un determinato prodotto, indipendente di tempo e luogo, il lavoro doveva valere un intrinseco equivalente numero di ore lavorate. Tuttavia, la questione era già stata definitivamente confutata in maniera del tutto convincente, dall’economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk, con la sua famosa opera CAPITALE E INTERESSE SUL CAPITALE. Del resto, se uno si mette a produrre prodotti o servizi che nessuno apprezza, la rispettiva valutazione della quota di lavoro applicata, fatalmente scade e sovente, perfino il valore delle sole materie prime utilizzate può andare perso. Infatti, ci si può chiedere se 100 ore dedicate a produrre frigoriferi da vendere ai poli Nord o Sud, oppure stufe per riscaldarsi da destinare ai tropici, possano valere altrettanto di solo alcune ore lavorate per produrre beni o servizi da offrire in zone dove questi sono del tutto assenti, ma sono essenziali per la sopravvivenza di chi ci vive.
Ciò che può risultare più prezioso o meglio valutato, quindi più importante in un dato momento e luogo, lo determinano coloro che aspirano ad usufruirne e non tanto le ore di lavoro impiegate. Ed ecco che è la somma di consumatori decidono se qualcosa vale o non vale, poiché sono loro che formano il libero mercato, ovvero, il punto d’incontro, dove l’offerta si sforza di soddisfare la richiesta; è questo il fattore che condiziona il vero valore delle ore dedicate a tale scopo. Tanto è vero che in un modello dove chi richiede qualcosa che non può essere liberamente messo a disposizione, i valori di ciò che scarseggia, in assenza di un’opportuna concorrenza, non solo i prezzi lievitano, oltre a non svilupparsi nemmeno l’innovazione, ma anche la qualità dei prodotti o delle prestazioni inevitabilmente cala.
Non meno importante è osservare che, già nel 1922, l’altro economista austriaco, Ludwig von Mises, con il saggio SOCIALISMO, descriveva come e perché il modello economico adottato dai rivoluzionari russi, seguendo il sistema collettivista ideato da Marx, sarebbe risultato insostenibile ed avvertiva che presto o tardi sarebbe successo ciò che, effettivamente, abbiamo testimoniato dopo la caduta del Muro di Berlino, ossia, il fallimento della pianificazione economica messa in pratica dal blocco sovietico, dove, non era il mercato aperto e libero a determinare i diversi valori secondo le preferenze dei legittimi e sovrani consumatori, ma erano i burocrati che fissavano i prezzi, seguendo i loro soggettivi criteri puramente teorici ed il risultato dominante era una endemica e costante scarsità generalizzata, mentre ciò che si offriva agli individui, ridotti a sudditi, era quasi sempre obsoleto o di qualità scadente.
D’altra parte, solitamente, i burocrati nella loro ostinazione, convinti di poter indovinare le tendenze e le necessità future, non concepiscono le incostanti regole del mercato che, come abbiamo visto, è un ordine in costante evoluzione ed agisce come il linguaggio, dove i consumatori fanno le loro spontanee e particolari scelte, spesso contrariando le aspettative dei programmatori. In questo contesto, forse, serve ricordare una delle lezioni del premio Nobel dell’economista Friedrich August von Hayek, – uno dei più brillanti pensatori della modernità, che meglio di molti suoi contemporanei, ha saputo interpretare la mentalità del secolo passato che stava radicalmente cambiando – intuendo, fra l’altro, come con metodi e mezzi distinti era possibile ottenere mete e risultati similari, ed allo stesso tempo, al contrario, era altrettanto possibile ricorrere a metodi e mezzi similari per ottenere risultati e raggiungere mete distinte. Infatti, non sempre la logica, l’ideale dei “saggi” si afferma; a volte, i migliori progetti meticolosamente elaborati a tavolino non ottengono successo. E per rimanere nella sfera del linguaggio, c’è l’esempio del “saggio” idealista polacco – Ludwik Lejzer Zamenhof – che con la migliore, quanto inutile delle intenzioni, ha voluto riparare alle incomprensioni fra i Popoli; così, per superare l’antico ostacolo delle diversità linguistiche, aveva studiato e sviluppato quella che doveva diventare la lingua universale di tutti, l’Esperanto, rimasto un mero instrumento destinato a pochissimi intellettuali. L’ordine spontaneo così come quello del libero mercato, non aveva accettato l’intelligentissima impraticabile idea; infatti, il linguaggio non si apprende dagli accademici, ma dai nostri genitori.
Il mercato, dunque, agisce come l’acqua che scorre, seguendo sempre il percorso più facile; ecco che l’economia reale non si lascia condizionare se non dai sovrani liberi consumatori che fanno le loro legittime scelte a seconda delle loro imprevedibili preferenze e convenienze del momento e, forse, lo avrebbe capito anche Marx, se avesse capito i meccanismi del mercato o potuto intravvedere cosa riservava l’avvenire. Ma era troppo convinto dalle sue banali certezze. Era anche convinto che il Capitalismo avrebbe permesso a pochi individui di concentrare tutta la ricchezza fino a terminare nelle mani di un unico monopolio, ciò che avrebbe dovuto provocare la ribellione generalizzata, aprendo la porta al Comunismo. Ma, i fatti lo hanno contraddetto; infatti, quando una grande società riesce ad eliminare tutti i suoi concorrenti e finisce per dominare il mercato, tende a perdere versatilità, imponendo i propri prodotti ai suoi prezzi, diventando non abbastanza attenta alle aspirazioni dei consumatori. Allora, diventa una specie ciclopico mastodonte ingombrante, incapace di adeguarsi alle multiple particolarità del libero mercato. A quelle, invece, ci pensano i piccoli imprenditori che trovano lo spazio vuoto da occupare, offrendo ai sempre avidi e curiosi consumatori, novità diversificate, in tempi che il colosso per la sua mole e conseguente rigidezza, non può seguire; così, nascono nuove società più versatili e dinamiche che sfruttano la propria capacità creativa e se il monopolio che ha creduto di potersi standardizzare per produrre grandi serie, non si adegua ai cambiamenti, investendo in ricerca ed innovazione, spesso rischia il fallimento.
CHE LA RICCHEZZA È COME UNA TORTA: una torta dove chi ha di più o fette più grandi, le possiede in detrimento di chi non ne ha, eccetera. Ecco un altro paradigma equivoco eternamente ripetuto dai collettivisti e dai loro compagni socialisti; ultimo dei quali l’economista francese Piketty, secondo il quale, i ricchi diventano sempre più ricchi a scapito dei poveri che diventano sempre più poveri. Come ampiamente commentato nella recensione dedicata al saggio PROGRESSO di Johan Norberg
https://liberalismowhig.com/2019/02/28/sviluppo-prosperita-e-benessere/
Non solo il concetto è storicamente falso perché mai in nessun periodo della storia umana, i poveri hanno beneficiato del modello della libera iniziativa, disponendo di comodità che in passato nemmeno i più potenti monarchi di altri tempi sognavano. Il fatto è che il preconcetto nasce dall’incapacità di capire che il capitale – ossia la ricchezza – non è costituito da beni finiti e noti; la torta della ricchezza non è limitata alle risorse naturali disponibili che, fra latro, sono ignote pure quelle; ma tanto la dimensione della torta come le sue fette aumentano con l’apporto del capitale umano, con il valore aggiunto, con il quale si aumenta la dimensione della ricchezza, potendo distribuire più fette, di misura maggiore ad un numero più ampio del pubblico. È, quindi, il capitale umano che crea le tecnologie che permettono di produrre meglio, con meno sforzo, a minor consumo energetico, in grande scala ed a costi inferiori. Basta osservare la produttività industriale crescente grazie alla robotizzazione.
Infatti, tutto si evolve e tutto cambia; si lavora meno e si produce di più, migliorando pure la stessa potenzialità del capitale umano: con più tempo libero, la gente può dedicarsi ad aumentare la propria conoscenza; viaggia di più e conosce nuove realtà a migliaia di chilometri di distanza; la sua visione si allunga e si allarga la sua immaginazione che si arricchisce. Nascono nuove idee, nuove soluzioni, la vita diventa più facile e molto più comoda. Allora, si può lavorare meno ore, dedicando più tempo ad altri interessi e diversioni.
Non per niente, i Paesi che hanno abbandonato i rispettivi regimi collettivisti, sono usciti dalla miseria per abbracciare il modello che a diversi di loro ha permesso di raggiungere l’abbondanza. Al contrario, quei Paesi che dopo aver realizzato un’espansione economica esemplare, dopo essere usciti semi distrutti da due successivi conflitti mondiali, ritornando a modelli sempre più burocratici, ormai stentano ad aumentare le loro torte di richezza e rispettive fette da distribuire. È il caso dei governi socialisti dell’Italia, Spagna, Francia, e del Regno Unito, salvato dalla straordinaria Dama di Ferro– Margareth Thatcher che ha fatto rinascere il Regno Unito dopo anni di stagnazione, ispirandosi all’economista Hayek.
Rimangono fra i Paesi più arretrati e poveri quelli che non hanno ancora voluto adeguarsi ai tempi, ostinandosi a mantenere il loro regime totalitario chiuso, come Cuba, Venezuela e Corea del Nord, non essendo servito a niente l’esempio dei Paesi che facevano parte della vecchia Unione Sovietica, ormai avviati ad una prosperità allora solo sognata, ma principalmente il fenomeno della China che fino alla fine degli anni ’70, con il decesso del grande conduttore Mao Zedong, responsabile di una delle più gravi crisi vissute dall’umanità con decine di milioni di poveri Cinesi morti di fame per le assolutamente equivoche scelte volute da lui stesso, è riuscito a liberarsi dalla schiavitù del potere assoluto e totalitario. Oggi, grazie all’iniziativa di uno dei suoi successori, dopo che il presidente Deng-Xiao Ping aveva concluso che “non importava il colore del gatto, ciò che importa è che acchiappi i topi.” Ed infatti, la Cina è ormai la seconda potenza economica al mondo; ora, segue il suo esempio, a ritmo sostenuto l’India del presidente Narenda Damodardas Modi, il quale, rompendo con il deplorevole passato porta il Paese verso la modernità, dopo che per decenni per la cocciutaggine di Indira Gandhi l’altro gigante asiatico coltivava la sua tragica miseria.
IL PERICOLO DELL’ESPANSIONE DEMOGRAFICA: Ancora un ambiguo aspirante profeta, oltre un secolo e mezzo fa, l’economista britannico Malthus, con la pretesa di anticipare l’avvenire prevedeva una vera apocalissi, dove la gente in tutto il mondo doveva morire di fame perché il Pianeta non sarebbe stato in grado di sostenere una moltitudine che era in franca crescita. Non poteva immaginare che il numero di abitanti sarebbe cresciuto molto oltre le sue previsioni già pessimistiche e che oggi anche quasi tutti i più poveri del mondo, vivono meglio di molti benestanti del suo tempo. La lezione non è servita perché gli ha fatto eco il suo degno seguace Paul Ehrlich che con il suo saggio THE POPULATION BOMB, aveva sentenziato disastri a date ancora più vicine, mentre Julian Simon lo sfidava ad una scommessa che non sarebbe stato un futuro di scarsità, bensì di abbondanza; infatti, anche questo fallito indovino doveva, ovviamente perdere. Ed oggi siamo in quasi 7 miliardi nel mondo ed il sociologo inglese Paul Colllier, descrive molto bene nel suo saggio L’ULTIMO MILIARDO
https://liberalismowhig.com/2016/07/02/scarsita-od-abbondanza/
come, attualmente, rimane solo un miliardo di individui che non hanno ancora raggiunto un minimo di benessere. D’altro canto, ci confrontiamo con l’ennesimo pessimista di turno che vede il mezzo bicchiere quasi vuoto, il socialista francese Piketty che sostiene di nuovo che le diseguaglianze stanno aumentando, ciò che è totalmente falso. Infatti, il numero di affamati nel mondo sta diminuendo ad ogni giorno. Di fatto, il problema maggiore si verifica propriamente in quei Paesi dove non è concessa alcuna libertà economica e dove si proteggono e si favoriscono i monopoli nazionali, alleati a governi corrotti che in compensazione si scambiano gli “utili”, in un modello economico privo di concorrenza.
Ciononostante, perfino in Africa c’è stato ed è in atto un notevole progresso; infatti, fino al secolo passato, la povera gente si alimentava di qualsiasi cosa, inclusi gli insetti e l’erba e quando certe tribù si cibavano di carne, non era del tutto escluso che si trattasse di carne umana.
MARX RITENEVA CHE IL TEMPO AVREBBE ESTINTO IL POTERE DELLO STATO: Purtroppo, non ha vissuto abbastanza per constatare come dopo la rivoluzione proletaria in quella che sarà l’Unione Sovietica ed in tutti i Paesi satelliti, dove avevano sperimentato il modello collettivista, il potere dello stato non solo non si era estinto ma, al contrario, si era enormemente rafforzato; infatti, quei regimi, invece di limitare il potere centrale lo hanno reso praticamente assoluto, diventando totalitario, riducendo i propri cittadini a semplice sudditi senza alcun diritto civile.
Al posto del regime anarchico di totale libertà degli individui, i tiranni i tiranni con il pretesto di rendere tutti uguali, ricorrevano ai metodi più brutali e repressivi, dove la crudeltà non aveva più limiti. Il sanguinario potere onnipotente poteva processare chiunque per una semplice protesta giustificata ed era incarcerato, torturato da spietati inquisitori, minacciando che lo stesso trattamento sarebbe stato riservato alla consorte ed ai figli, fino a confessare qualsiasi più assurdo addebito, generalmente, per tradimento, essendo dichiarato nemico del sistema. Quando non sentenziato al tradizionale tiro alla nuca, poteva essere risparmiato con la condanna ai lavori forzati in qualche campo di concentrazione. La letteratura russa – ma non solo – è ricchissima sull’argomento
Ai tempi della collettivizzazione comunità intere erano sradicate dai propri villaggi per la costruzione di opere pubbliche, i più deboli non resistevano, mentre i raccolti nelle zone agricole venivano sommariamente espropriati, lasciando milioni di innocenti a morire di fame: com’è stato il famoso caso passato alla storia di milioni di vittime dell”holodomor”, versione dell’olocausto ucraino. Ma anche minoranze etniche e religiose intere venivano spostate e divise per forzare la rispettiva integrazione nel sistema sovietico. E tutto ciò con la benedizione delle buone intenzioni di produrre la società fraterna e giusta…
IL CAPITALISMO TENDE A CONCENTRARE SEMPRE DI PIÙ IL CAPITALE: Ecco un ulteriore grossolano equivoco di Marx che prevedeva una crescente concentrazione del capitale fino ad essere di un unico soggetto. Ed ancora una volta è avvenuto l’esatto contrario; infatti, nella misura in cui le società crescono e richiedono di sempre più investimenti, si trasformano in società per azioni anonime dove non c’è un autentico proprietario, ma i titoli vengono venduti sul mercato azionario, mentre qualsiasi più umile risparmiatore, nel suo anonimato, può diventare azionista e la gestione viene affidata da un consiglio di azionisti eletti dai soci che votano liberamente per i candidati delegati alla gestione e dove – come avviene negli Stati Uniti -, il presidente – retribuito in funzione dei risultati, dovendo presentare un bilancio ad ogni trimestre e dinanzi a ripetuti risultati deficitari, viene semplicemente dimesso.
Inoltre, quando una società assume una dimensione esagerata, essa tende a burocratizzarsi; allora, come avviene nelle imprese pubbliche controllate dal potere politico, esse perdono grande parte della proprie efficienza, mentre a poco a poco diminuisce il rispettivo dinamismo, quando in molti casi inizia un inevitabile declino.
In più casi analoghi, si sono conclusi con la chiusura di quelle imprese. In tali circostanze succede che i migliori tecnici – che magari avevano lavorato su progetti mai realizzati -, con un po’ di coraggio, di fortuna e qualche risparmio, iniziano un’attività in proprio; e con il dinamismo tipico dell’interessato diretto, con la creatività e lo spirito d’intraprendenza individuale, creano nuove piccole società capaci di produrre proprio quei prodotti e servizi, che spesso si definiscono di nicchia, ma che sovente sono di elevato valore, che la grande organizzazione, spesso, non è in grado di seguire. Pertanto, non è affatto detto che il gigantismo tende ad aumentare sempre di più; anzi, sovente, esiste un punto di equilibrio costituito dal compromesso fra capacità produttiva, capacità di risposta in tempi abili nella penetrazione e mantenimento delle posizioni nei mercati specifici.
LE CERTEZZE CHE ILLUDONO: I collettivisti di tutto il mondo si nutrono più di certezze E di solito, non coltivano dubbi; ragione per cui, si ostinano a perseverare nei loro piani anche a lungo termine, perché – sostengono – che alla fine le loro previsioni si realizzeranno. Invece, dovrebbero imparare a diffidare delle certezze perché esse ingannano; perciò, è meglio lasciarsi condurre dai dubbi che alimentano la nostra curiosità e ci inducono a verificare; ovvero, ci rendono prudenti e responsabili. Le certezze, invece sono una vera trappola.
E non c’è niente di più corretto realizzare sperimenti; è parte della legge naturale, infatti, l’evoluzione agisce proprio così, adeguandosi continuamente alle nuove circostanze; infatti, dietro ogni scelta si cela sempre un’inevitabile incognita; perciò, non c’è niente di più razionale ricredersi, correggendo i propri errori; non a caso, impariamo più dagli errori che dai successi.
Quindi, per concludere, sappiamo che, quando gli umani, si avviano su nuove strade sconosciute possono facilmente sbagliare la direzione e di, perdersi “cammin facendo”. Tuttavia, è altrettanto noto quanto sia saggio avanzare con prudenza ed al minimo dubbio, fermarsi per una verifica della propria meta. In ambiente di libertà, dove si può procedere per tentativi, gli individui possono e sanno porre rimedio ai propri equivoci; è una lezione che ci proviene dal nostro grande scienziato Galilei che insegnava giustamente come la scienza progredisce, procedendo attraverso l’esperienza ottenuta dai diversi esperimenti, sbagliando sì, ma apportando di continuo le necessarie modifiche. I più coraggiosi, i più creativi, i più audaci e temerari sanno rischiare anche di tasca propria: ma nuovi tentativi possono generare i risultati non immaginati. Per cui, è imprescindibile che si permetta loro di mettere alla prova le proprie potenzialità in iniziative innovatrici. Come la Thatcher giustamente osservava, sono gli individui che pensano, e non la collettività. Sono loro, nella libertà che hanno – per dirla con Schumpeter – di realizzare la cosiddetta distruzione creativa, dove demoliscono modelli e concetti anche consolidati per creare paradigmi nuovi. Sono individui insoddisfatti che, convinti di poter ottenere risultati e soluzioni nuovi, deviano dalle rotte abituali a prescindere delle mete sicure e note, cercando nuove scorciatoie, pur sapendo di poter errare.
I migliori tentano sulla propria pelle; non sono funzionari di entità pubbliche, dove si preferisce delegare altri, per timore di assumersi responsabilità, quando possono declinarle, scaricando lo scomodo peso sugli altri. Sono individui che non temono il confronto, desiderando realizzarsi proprio come fanno i bambini più attivi che osano trasgredire per conoscere i propri limiti e scoprire la propria dimensione nello spazio. L’individuo attivo non teme di esporsi, scommette sulle sue capacità, nella fiducia che il mercato libero ed aperto, apprezzi le sue innovative iniziative ed accetti ciò che meglio ha da offrire.
L’individuo intraprendente è ben diverso dal burocrate, indifferente e spesso annoiato, seduto dietro la sua scrivania intento ad interpretare le norme restrittive che gli permettono di imporre la propria autorità, pur di difendere il suo piccolo impero di competenza. Altro che ozio creativo esaltato da quel sociologo mancino. Creativo è l’individuo attivo, affamato di risultati che pur temendo l’insuccesso, ci prova, facendosi guidare dai dubbi, piuttosto che dalle certezze; per cui si sforza, inappagato, estrae il massimo delle sue energie dal suo agitato organismo, per correre dietro al suo prossimo cliente, dovendolo convincere che il suo prodotto, i suoi servizi sono migliori e più convenenti di tanti altri suoi concorrenti. Non si lascia ingannare dalla sazietà: egli non si può accomodare perché il suo profitto dipende dal suo successo e non può affidarsi solo sulla fortuna. Il burocrate è un funzionario che, spesso accomodato in una usurata poltrona, apprezza il modello collettivista, dove non è necessario sforzarsi o pensare troppo lontano; basta applicare il regolamento, stando attento a non face concessioni all’eccezione, così, non. ha molte preoccupazioni: si accontenta delle sue certezze, mentre l’individuo che dipende da se sesso non sa mai come e da cosa potrà ricavare il suo sostento nei giorni e negli anni che seguiranno.
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