visto da Tullio Pascoli
25 Ago 2018
STORIA SEGRETA DEL PCI di Rocco Turi (Recensione)
Il Dito nella Piaga dei Casi Moro-Berlinguer
Pubblicato pure su
http://www.store.rubbettinoeditore.it/il-dito-nella-piaga-dei-casi-moro-berlinguer-25/08/2018
La ricorrenza del cinquantenario dell’invasione delle truppe del Patto di Varsavia a Praga è una buona occasione per recensire un importante documento storico come il saggio STORIA SEGRETA DEL PCI, una di quelle letture che mettono sotto diretta accusa tutta una serie di funzionari, ex partigiani, membri di partito e politici e perfino magistrati che, però, l’autore con la sua competente e meticolosa ricerca riesce a smascherare. Come in uno di quegli enigmatici rompicapi composti da tanti confusi frammenti da comporre fino a formare un grande quadro a sorpresa in cui, dopo aver aggiunto le diverse tessere che lo compongono, dopo aver inserito la maggior parte dei diversi tasselli al loro posto, poco a poco un grande misterioso mosaico, forma e rivela intriganti macchinazioni fino a riprodurre tutta una serie di inedite congiure ed occulti complotti che per un pelo non modificano il destino del nostro Paese, cosa che l’autore di GLADIO ROSSA – già oggetto di un’altra recensione https://liberalismowhig.com/2016/12/31/il-vaso-di-pandora/ – Rocco Turi, ci presenta nella continuazione come se fosse il capitolo conclusivo, del perspicace e profondo studio di oltre 300 pagine, risultato della sua oltremodo meticolosa ed accurata ricerca di oltre 5 lustri, ma che, in realtà non si è ancora del tutto conclusa, principalmente per causa di chi (chissà per quali oscuri motivi…) dietro il sipario boicotta il suo diligente lavoro.
Si tratta di un’indagine iniziata con grande sensibilità nell’88 e messa a punto in oltre 25 anni di continue nuove e sorprendenti scoperte, originate da una intera catena di altrettante imbarazzanti, quanto inusitate inimmaginabili rivelazioni, troppo spesso ostacolate ambiguamente dall’omertà che avvolge soggetti anche noti, che si nascondono pure dietro pseudonimi dove tutto, troppo stranamente, è ridotto a preoccupante quanto singolare oscuro ostracismo da parte dei media, i quali, in connivenza con certi ambigui personaggi, al contrario, in modo eccezionale ed insolito, tendono a mescolare le carte per distrarre dall’attenzione i possibili scomodi curiosi, accentuando pure obiettivi del tutto fuorvianti. Ciò, con il poco evidente fine di evitare che si faccia luce sul passato, capaci di compromettere precise figure troppo esposte, da proteggere contro possibili accuse dirette nei confronti di chi, dietro il dissimulato sipario, partecipava a pericolosi stratagemmi, coadiuvati da quelle Brigate Rosse, ma che agivano sotto la segreta guida dei Sovietici; erano questi che, di fatto, tenevano i fili in mano e progettavano i controversi complotti. Tuttavia, come l’attento autore ben osserva, con l’arresto di Renato Curcio ed Alberto Franceschini l’Organizzazione delle BR, fondata nell’agosto del ‘71 era stata praticamente “decapitata” già nel ’74; pertanto, ciò che avviene dopo il loro arresto, dovrebbe essere addebitato ad un’altri sovversivi di un’Organizzazione ben meglio strutturata e che qualcuno ha, poi battezzato GLADIO ROSSA; infatti, gli esecutori italiani erano eterodiretti con la partecipazione diretta di espertissimi specialisti dell’Est.
Nell’opera, particolarmente utili risultano le pagine della Tavola Sinottica che servono da guida e contribuiscono ad una migliore comprensione del saggio che riassume come, passo dopo passo, pazientemente, stimolato da progressiva curiosità, nonostante il riserbo e le diffidenze, che Turi nel suo dedicato lavoro da vero certosino deve superare, riuscendo a seguire più di una pista, in direzione alle trame segrete ordite dagli avversari delle libertà con la precisa finalità di portare l’Italia sotto la “tutela” della trappola collettivista. Era un vecchio piano tutto studiato all’estero, da portare a termine nel cuore del nostro Paese, ricorrendo ad azioni tattiche di terrorismo e perfino con schemi di interventi armati, come l’invasione da parte della stessa potenza comunista. Dunque, Gladio Rossa poteva pur essere un’espressione inventata, ciononostante, nel ’91 niente meno che Andreotti scopre dell’esistenza di liste dei sovversivi italiani, di spie reclutate dal servizio dei collettivisti, nomi che in Cecoslovacchia, poi nel ’92 verranno pubblicati, mentre in Italia, dove la Resistenza ed i partigiani sono dei veri intoccabili, l’assunto rimarrà un inviolabile tabù.
Ebbene, la complicata iniziativa di dipanare l’enigmatico e perverso groviglio, comincia quasi per caso nel lontano ‘88, quando, in qualità di sociologo ricercatore, gli era stata assegnata la borsa di studio congiunta da parte della Repubblica Cecoslovacca e del Governo italiano, insieme al Consiglio Nazionale di Ricerche, per raccogliere dati sull’emigrazione italiana nell’allora Cecoslovacchia. Uno studio, dunque, che egli accetta per realizzare diligentemente una analisi seria, totalmente estranea a possibili intrighi militari e del tutto distaccato dalle eventuali vicende politiche; perciò, è solo per un’occasionale sequenza di coincidenze diverse che l’analista inciampa in situazioni molto, anzi troppo insolite, dove per l’incrocio di circostanze, in cui ad un tratto – come in un romanzo poliziesco -, tutto concorre a quello che Nassim Taleb definisce CIGNO NERO, ed avendo intuito che “gatta ci covava”, si trova improvvisamente invischiato in una specie di ragnatela di eccessivamente strane contraddizioni che lo coinvolgono e lo appassionano, perché non fanno altro che stuzzicare la perspicace curiosità di un qualificato ed ardente ricercatore che procede diplomaticamente. Al centrare l’obiettivo, forse, aveva deluso proprio chi sapeva ed auspicava la sua passività o perfino l’insuccesso, nella speranza che non sarebbe stato in grado di appurare niente, e senza riuscire a far luce sui rumori ai quali qualcuno della Prima Commissione d’Inchiesta sul caso Moro, aveva vagamente accennato; è ben possibile che l’idea di costoro, magari, fosse di poter sfruttare un lavoro abbastanza superficiale e con esso, chissà dissipare i dubbi, quindi, escludere la Cecoslovacchia da qualsiasi rapporto con il caso del terrorismo in modo conclusivo.
Invece, ecco che, appena giunto a Praga, iniziando il sondaggio sociologico, fin dai primi approcci, gli si accendono ben presto strani lumi dai quali si originano gli iniziali sospetti: allora, da diversi indizi, si accorge che in Cecoslovacchia si muovono personaggi curiosamente diffidenti che lo schivavano e che con i più diversi pretesti evitavano o sospendono appuntamenti come se temessero di rivelare la loro presenza e di doversi spiegare, adottando discrezione sulle rispettive attività svolte in quel Paese. Tuttavia, ad ogni nuovo incontro, astrusi comportamenti ed insolite coincidenze si sommano e stimolano il perplesso dedicato sociologo a cercare una logica nelle contraddittorie ed ambigue spiegazioni. Così, all’improvviso, dinanzi alle perfino ingenue scuse ed evidenti falsità riscontrate, che convergono, si incrociano e sovrappongono, sorprendentemente, ad un certo punto, si trova in mano l’estremità di un primo filo rosso del ingarbugliato intreccio della confusa matassa; allora, superando un ostacolo dopo l’altro, risale a tutta una serie di nomi e pseudonimi che solo aumentano il numero e la dimensione dei sospetti.
Dunque, sedotto da certe nuvolose concomitanze, l’accorto osservatore, sempre più incuriosito dai dubbi ed insoddisfatto delle incoerenti ed intriganti risposte che ottiene alle sue domande, quando intervista esuli che sembrano schivarsi a proposito della loro presenza e sui nomi dei rispettivi colleghi o conoscenti che, inspiegabilmente, sembrano doversi nascondere, mentre sorgono nuovi interlocutori, collegati come da successivi anelli di una lunga catena, gli sono anche fortuitamente indicati altri riferimenti e cominciano a risultare improvvisi nuvolosi, ma sempre più solidi indizi, dove qualcosa di poco trasparente si cela. Infatti, come improvvisi lampi che gettano luce sulle ombre al riparo di porte socchiuse, giunge alla conclusione che dietro gli eccentrici comportamenti qualcosa di più concreto ed occulto ci doveva essere da scoprire. Con il concorso di nomi di misteriosi individui, fra i quali di fuoriusciti politici, ricercati ed in parte anche condannati in contumacia, scopre come, quasi sempre ed atipicamente, sono aiutati dal PCI e finalmente protetti dallo stesso Partito Comunista Cecoslovacco che non solo li ospita ma anche li mantiene.
Le ormai seducenti convergenze aumentano nella misura in cui riesce a localizzare ed incontrare personaggi che, anche involontariamente, in modo ingenuo, si lasciano sfuggire seppur – in apparenza – innocenti particolari o nomi e soprannomi che guidano l’attento Turi sempre più vicino ai misteri nascosti dietro al muro dell’omertà che abilmente affronta, fino a trovarsi in mezzo ad un singolare coinvolgimento di tenebrose forze e figure implicate nel mondo politico ed in modo particolare di quella Sinistra; è quando si accorge di coloro che, mai rassegnati ad un’Italia sotto l’influenza e nella sfera dell’America capitalista, avrebbero dovuto e potuto ancora riconquistarla, portandola sotto la “protezione” sovietica, attraverso azioni segrete. Non per niente, poi si saprà come certe iniziative convergessero verso lo sventato colpo di Stato, che contemplava addirittura l’invasione dall’EST, partendo da basi militari pronte e di sabotaggio, non solo all’interno della Cecoslovacchia, ma anche da una base aerea ai confini dell’Ungheria, dove a tale scopo, già stanziavano truppe armate pronte all’azione.
Del resto, i stratagemmi intesti a cospirare contro i Paesi dell’Europa occidentale – e non solo -, erano già stati programmati con molto anticipo fin da prima della Seconda Guerra Mondiale. È ciò che si apprende, fra l’altro, anche dal saggio HOTEL LUX –https://liberalismowhig.com/2017/02/01/il-rufugio-trappola/ – scritto dall’ex militante austriaca convertita, pure lei, Ruth von Mayenburg in cui descrive come gli esuli marxisti, ospitati in quell’albergo-residenza, si occupavano di spionaggio e “controinformazione”, ma dove non era tollerato nessun tipo di dissenso per cui, ogni tanto, qualcuno degli inquilini veniva inspiegabilmente, e senza tanti complimenti, prelevato dalla polizia e di questi non si sarebbe mai più saputo niente… Vi si apprende, inoltre, pure che vi alloggiavano diversi importanti futuri dirigenti politici comunisti di distinti Paesi come Walter Ulbricht, Chu-En-Lai, Tito, Ho Chi Minh e fra questi, alla stanza N° 1!, alloggiava niente meno che la famiglia Ercole Ercoli, alias Palmiro Togliatti che i suoi proseliti in maniera molto equivoca definivano il Migliore, mentre il suo stesso segretario Massimo Caprara nel suo saggio QUANDO LE BOTTEGHE ERANO OSCURE https://liberalismowhig.com/2016/09/07/debiti-storici-riscossi/ lo aveva qualificato come il Peggiore e che – sempre secondo Caprara – lo stesso Gramsci considerava l’ex segretario dell’internazionale comunista ” un doppiogiochista non meritevole di fiducia”…
Ebbene, grazie alla collaborazione con gli Americani, quell’ abortito complotto del 1953 – come lo stesso Giulio Andreotti anni più tardi ammetterà -, era stato scoperto dai servizi segreti italiani di controspionaggio, sotto l’allora denominazione Gladio Stay Behind; un allestimento predisposto per controbattere i noti pericoli che si sapevano orditi oltre “Cortina” anche con il diretto ausilio dei nostri esuli comunisti ricercati. Infatti, ex partigiani che avevano integrato la famosa Volante Rossa – organizzazione paramilitare che aveva operato dal ’44 al ‘49, dunque, proseguendo la lotta a conflitto ormai già concluso, ma che aveva continuato a perseguitare ex collaborazionisti fascisti -, struttura armata della quale si diceva che si era negata di togliersi l’elmetto, e che, aiutata dal PCI, si era rifugiata prima in Jugoslavia ed Ungheria, per stabilirsi poi in Cecoslovacchia. Da qui, gli ostinati militanti trasmettevano notiziari radiofonici italiani via Radio Praga oltre alla clandestina Radio Oggi in Italia, questa con sede ufficiale a Berlino Est. Non c’è dunque da meravigliarsi della rivelazione – se non ricordo male – proprio di Massimo Caprara –, particolare comunque riferito pure da Gianni Mastrangelo e Vasilï Ivanovich Mitrokhin in IL COMPLOTTO COMUNISTA, secondo chi, all’interno delle Botteghe Oscure, sede del PCI, tanti anni dopo la guerra, si conservava ancora un arsenale di armI, sull’utilità delle quali è più che lecito chiedersi a quale scopo; ma se contempliamo anche questa coincidenza in rapporto a quanto appurato da Turi, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo…
Parallelamente, è noto come altri Italiani (ma non solo), specialmente militanti comunisti e socialisti, che con l’ascesa del Fascismo, si erano rifugiati in URSS; ma a questi si erano aggiunti anche ex combattenti dell’ARMIR (dei 228.960 soldati dell’Armata Militare in Russia), fatti prigionieri, in parte eliminati, fra i quali diversi opportunisti, trattenuti o rimasti in URSS per non finire nei Lager, scegliendo di collaborare, ben 462 erano stati miracolosamente risparmiati e – fascisti o meno – pur sapendoli vivi con certezza, “casualmente”, non erano mai rientrati in Italia, senza che da Mosca fossero date plausibili spiegazioni; dunque, sopravvissuti miracolosamente a quel tragico e delittuoso GRANDE TERRORE staliniano, ampiamente descritto da Robert Conquest – https://liberalismowhig.com/2016/01/02/il-silenzio-dei-comunisti/ – come pure da Marco Messeri in UTOPIA E TERRORE, ma soprattutto da Giancarlo Lehner e Francesco Bigazzi in CARNEFICI E VITTIME – sulle cui responsabilità accusano direttamente Togliatti e suo degno cognato Paolo Robotti. Ed ecco che su diversi di questi nostri conterranei, essendo stati inviati in Cecoslovacchia dalla KGB, Turi scopre i fascicoli proprio a Praga, a fare gli insegnanti, o come pure a frequentare corsi di indottrinamento e sabotaggio, presso la nota Scuola Politica del Compagno Synca che, come si vedrà, culmineranno nei noti attentati sanguinari, ad opera anche delle Brigate Rosse & C. Questo “corpo”, poi, una volta privato dei suoi iniziali fondatori, vede gli attentati, sequestri e le azioni di terrorismo proseguire da altri elementi sovversivi che agivano sotto nuove sigle, ma comunque sempre sostenuti da tutta un’efficientissima rete della forza organizzativa straniera, che parte sempre dall’Est, formata presso quella scuola di addestramento e di attività sovversive, che si avvaleva pure del giornale Democrazia Popolare.
Ma per meglio poter comprendere le rispettive non troppo casuale e stravaganti circostanze, da cui derivano certi avvenimenti, è utile ricorrere ad un’ulteriore digressione, partendo dall’inizio, appunto, quando si formano i primi inconvenienti per la solidità del blocco coeso voluto dai sovietici: infatti, con l’invasione dell’Ungheria nel ‘56, la compattezza soffre un primo grave incidente di percorso. Ebbene, nel 1964, dopo la morte del devoto e fedelissimo Togliatti gli succede il suo delfino Luigi Longo, già membro del Komintern dal ‘33, quando ad assecondarlo alla segreteria del PCI, che durante la gestione dell’allora stalinista ortodosso, che seguiva religiosamente i dogmatici dettami di Mosca, una nuova giovane leva si inserisce nella segreteria. Ne faceva parte anche Enrico Berlinguer, già incaricato dei rapporti esteri fin dal ’62, il quale, già dai fatti di Budapest, a poco a poco, andava coltivando una discreta dissidenza verso quella vecchia dottrina che nel ’68, toccherà il momento più critico, provocando una vera crepa. Infatti, quando le truppe del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia per sopprimere la famosa Primavera di Praga di Alexander Dubček che, a sua volta, per realizzare il Socialismo dal Viso Umano minacciava di seguire una politica indipendente da Mosca, una parte dei giovani comunisti italiani, aveva apertamente manifestato il suo dissenso, provocando ai Sovietici già allora il più evidente dissapore.
Orbene, con l’assenza di Togliatti, sostituito da Luigi Longo – colpito da ictus – subentrava alla segreteria proprio Enrico Berlinguer, niente meno che quel militante poco allineato con Mosca ed il rapporto si incrina ulteriormente per il fatto che difendeva una linea del tutto eterodossa – che i media già definivano come Eurocomunismo -, non per niente, mentre prima il PCI già manteneva con la DC queii taciti accordi della non sfiducia, ora, fra i nostri eurocomunismi, si presentava la concreta prospettiva di una vera alleanza al governo, apertamente caldeggiata dal democristiano di sinistra Aldo Moro e così il dissenso nei confronti della politica sovietica si era accentuato ancora di più. Come?… Il più importante partito comunista di tutto l’Occidente non avrebbe potuto integrare un governo, oltretutto membro del sistema di difesa antisovietico della NATO: era davvero troppo…
E qui, a chi dovesse nutrire dubbi, a complemento delle illuminanti osservazioni riportate dal solerte autore Turi, serve ricordare anche l’utile testimonianza di uno dei diretti responsabili della nuova politica eurocomunista; appunto, quella dell’incaricato di portare a termine il distacco del PCI dall’URSS, mentre, di fatto, ci si preparava a governare addirittura insieme ai più tradizionali alleati degli Americani. Ed a prova di ciò, la questione di tale dissenso è ottimamente riassunta proprio da Gianni Cervetti stesso, che doveva preparare l’indipendenza del PCI nei confronti dei Sovietici, i quali con fondi neri, finanziavano da sempre giornali e giornalisti, riviste, cooperative, l’industria cinematografica, intellettuali allineati, l’apertura di nuove sedi del partito, campagne elettorali e quant’altro, oltre che a garantire – con pensioni pagate in contanti – in cambio del necessario silenzio delle povere vedove di quegli antifascisti che si erano rifugiati nel cosiddetto Paradiso del Proletariato, ma che dietro qualsiasi pretesto erano stati fucilati al bordo di fosse comuni, o fatti morire nei Lager e Gulag per ordine di Stalin.
A questo proposito è opportuno e molto pertinente ribadire come, durante le purghe staliniane, autentici devoti militanti comunisti erano stati ambiguamente eliminati – con la “benedizione” di Togliatti e del suo degno cognato Paolo Robotti – perché sospetti di non essere abbastanza ossequenti ai dogmi del sistema, o per essersi semplicemente lamentati delle difficoltà affrontate, del duro lavoro, o della qualità delle abitazioni e solo dell’insufficienza degli alimenti ecc. Così, improvvisamente prelevati in casa o dalle fabbriche, venivano interrogati e torturati fino a confessare ciò che durante le surreali istruttorie, veniva loro suggerito; non pochi con il braccio sinistro rotto, dovevano firmare autoaccuse assurde, per essere condannati, nella migliore delle ipotesi ai lavori forzati nei Gulag – dove, come si apprende bene dai RACCONTI KOLYMA di Varlam Salomov, la maggioranza periva sfinita o per malattie -, mentre, nei casi più comuni, erano fucilati sul ciglio delle fosse comuni con una pallottola alla nuca.
Allora, con la fine della gestione filosovietica, certe dolorose verità denunciate dallo stesso Nikita Chruščëv durante il XX Congresso, pur non essendo sbandierate dai bravi compagni, non potevano nemmeno più essere tacitamente ignorate e meno ancora negate, come invece pretendeva sostenere l’imperturbabile fondamentalista Paolo Robotti nel suo ipocrita libro NELL’UNIONE SOVIETICA SI VIVE COSÌ, al quale per poco, i soliti generosi sodali di dottrina stavano per assegnare niente meno che il Premio Strega. Pertanto, dopo decenni i funebri delitti della Grande Purga erano – ed in parte permangono – tabù, nascosti sotto il tappeto dell’omertà bolscevica, anche da parte di intellettuali disonesti come Sartre; dei quali però, per ciò che concerne almeno gli oltre mille Italiani innocentemente uccisi, apprendiamo i più drammatici particolari dalle descrizioni e dalle riproduzioni dei kafkiani processi descritti da Giancarlo Lehner, storico giornalista, già direttore del giornale socialista dell’ AVANTI!, insieme al giornalista Francesco Bigazzi che per diversi anni aveva coperto la funzione di addetto stampa e cultura presso il Consolato Generale Italiano a San Pietroburgo, già direttore dell’ANSA a Mosca e a Varsavia, i quali, con la fine dell’URSS avevano avuto accesso e potuto consultare anche gli archivi della KGB e della NKVD, mentre Bigazzi pubblicherà inoltre insieme a Valerio Riva ORO DA MOSCA, in cui forniscono dati complementari che nelle “confessioni” di Cervetti non constano.
Ed è proprio da Valerio Riva che si apprende come quei finanziamenti, a chi sostenuto per esaltare e condizionare la (dis)informazione sul paradiso del proletariato, era una pratica tradizionale fin dall’inizio del regime bolscevico. Infatti, da un suo articolo – Libro Nero e Libro Paga – il noto autore commenta il libro di Albert Londres del 1920 – NELLA RUSSIA DEI SOVIET (Ideazione) – e Riva ironicamente, dettaglia come già dai tempi di Lenin si foraggiavano i giornalisti stranieri ma, allora, mancando valuta forte, Cecerin – il cassiere di Lenin – pagava con diamanti e gioielli confiscati agli zar, ed osserva: “Cecerin che mangia pane con mortadella in un ex albergo ridotto a letamaio, con la luce tagliata illuminato con candele, e intanto con l’altra mano profonde miliardi a dei mascalzoni di giornalisti di sinistra che li usano per far la bella vita in Europa e in America. Com’è possibile conciliare questi estremi?” Spiega, inoltre che presso una banca sovietica a Parigi un altro autore francese, Jean Montaldo, aveva scoperto che esistevano conto correnti intestati a tutta una miriade del fior fiore degli intellettuali francesi. L’autore, definito da Riva “un cane da tartufi di particolare buon fiuto” aveva avuto accesso perfino ai rispettivi numeri e Riva completa: “[…] mise fortunosamente le mani sui tabulati della banca sovietica a Parigi, scoprì tra i correntisti i più bei nomi della cultura francese.” Fra i tanti fedeli collettivisti, naturalmente, non poteva mancare il bravo Sartre, sempre fra i primi ad esaltare il Paradiso del Proletariato… E Riva completa: “E li spiattellò in pubblico, facendo fare a molta gente delle figure davvero barbine. Infatti, Montaldo, al tema aveva dedicato tutto una particolareggiata indagine, denunciato gli imbrogli in serie da parte dei comunisti francesi, riservando diversi capitoli alla complessa ragnatele di società che prestavano servizi soprattutto ai comuni da loro controllati ed anche parecchie pagine alle operazioni, più o meno segrete, praticate attraverso la sovietica BANQUE COMMERCIALE POUR L’EUROPE DU NORD, in un saggio del 1977 di oltre 230 pagine: LES FINANCES DU P.C.F.
Ma per tornare al dirigente del P.C.I., dunque, apprendiamo dalle pagine de L’ORO DI MOSCA, di Gianni Cervetti che descrive, come il PCI era largamente sovvenzionato dai Sovietici, con sussidi che in cambio, da sempre, contemplavano la completa ed indiscussa lealtà, ma ai quali, dopo che il Parlamento italiano aveva approvato il finanziamento ai partiti, lo stesso PCI della nuova gestione, ormai, si preparava a rinunciare, non avendo nemmeno più bisogno dei compromettenti fondi neri provenienti dall’estero e così, i dissidenti si potevano considerare liberi di decretare la propria indipendenza, anche di poter governare, insieme alla DC, tradizionale alleata degli Americani.
Eppure, Cervetti, pur facendo riferimento al dissenso con Mosca, per via del famoso Compromesso Storico, in modo palese, nelle sue pur oneste ammissioni, omette del tutto le attività dei militanti in Cecoslovacchia. Allude, tuttavia, a certe palesi resistenze interne da parte del nocciolo duro nell’ambito del proprio PCI, specialmente da parte dei nostalgici della Resistenza. Ecco la chiave della stanza dei segreti che perfettamente coincide con quanto lo stesso Rocco Turi – come se fosse un enigmatico rebus – meticolosamente ricostruisce con tanto di nomi, riproducendo ampia documentazione, nei suoi due oltremodo ricchi saggi, GLADIO ROSSA prima, e STORIA SEGRETA DEL PCI, a complemento del primo.
Ma come spiegare tanto silenzio? Come mai i media non pubblicano questi fatti? E perché la stessa Giustizia italiana non ha diretto le investigazioni nella direzione giusta? Già, avverte l’autore: non niente avviene per caso, i rapporti fra il PCI con il nucleo duro della Volante Rossa e quello che aveva aiutato numerosi di quei partigiani già condannati per gravi delitti e che non si rassegnavano alla nuova realtà, erano più che noti. Lo stesso Turi spiega come alcuni di loro, dopo essere stati favoriti dalle distinte amnistie concesse, a partire da Togliatti, nel ’46, passando da Giuseppe Saragat eletto presidente nel ’64 prima e dall’ex partigiano Sandro Pertini dopo, i quali non solo ottenevano la grazia ed il permesso di rientrare, ma era loro riconosciuta perfino una pensione – del tutto gratuita – dalla famosa Legge Mosca, direttamente gestita da un altro presidente di sinistra: Napolitano. Ma non bastava, a questi benemeriti “eroici” compagni, bisognava riservare anche una concreta sistemazione, preferibilmente strategica, non solo nel cuore di mamma RAI, o presso giornali e riviste simpatici alla propria causa, ma addirittura in certe posizioni nell’ambito della stessa magistratura, come l’autore in un video accessibile su YouTube, ed in maniera appunto estremamente chiara espone: https://www.youtube.com/watch?v=_-7c5t35atQ
Ecco, chiariti parte dei misteri secondo i quali le indagini erano state guidate di proposito, verso vicoli ciechi, quando non addirittura in direzioni fuorvianti del tutto opposte, svincolando ed affrancando la KGB dai noti e forti sospetti o da evidenti responsabilità per le stragi di Aldo Moro – così bene esposte dall’autore in GLADIO ROSSA – di cui il Link della mia recensione – , mentre alcuni scaltri interessati non tardano ad attribuirle, ancora oggi, addirittura ai servizi segreti americani. Nel frattempo, altre bizzarre conclusioni diffondono con una fitta coltre di fumo che avvolge l’improvvisa, quanto altrettanto sospetta, morte di Berlinguer, al quale, durante un comizio a Padova, avevano dato da bere un bicchiere d’acqua, senza che qualcuno notasse niente, in seguito dello stesso, successivamente, interrompeva il discorso per un improvviso malore; portato in ospedale con notevole ritardo, si coprivano le circostanze con poco convincenti spiegazioni, liquidando il caso con un debolissimo e ritardato parere medico, mai dimostrato tecnicamente in maniera comprensibilmente attendibile…
A dimostrazione delle sue più che solide e convincenti tesi, Rocco Turi, solo al testo della STORIA SEGRETA DEL PCI nelle oltre 320 didattiche pagine, di cui 32 di note, alle eloquenti spiegazioni delle circostanze che lo hanno portato alle del tutto fondate convinzioni, seguendo una coerente e concreta logica, presenta anche un’appendice di circa 60 pagine di copie di pedagogici documenti che difficilmente possono essere contestati. È davvero scarsamente concepibile che tanta evidenza non sia stata debitamente appurata. Evidentemente, con l’intervento di occulti poteri non dichiarati, gli interessati sono riusciti a distrarre l’attenzione proprio come l’autore osserva, ricorrendo, fra l’altro, concentrando l’enfasi anche sugli scandali di Mani Pulite, in modo che i casi di Moro e Berlinguer, che stavano per prendere la piega giusta, passassero opportunamente in secondo piano.
Ebbene, se dovessero ancora persistere dubbi sulla validità delle straordinarie scoperte che hanno rivelato le indagini svolte dal Turi, basterebbe consultare le 60 pagine della ricca appendice documentaria che egli inserisce alla fine del suo libro. Del resto, su internet è possibile rintracciare un documento che dà pieno credito alle rivelazioni che il diligente e scrupoloso ricercatore espone, basta considerare come esse vengono avallate perfino dal giudice Dott. Guido Salvini che il 26 dicembre del 2016, in una lettera indirizzata all’On. Giuseppe Fioroni – Presidente della Commissione Aldo Moro – Documento n.844/1 RISERVATO della Commissione Moro presieduta da Giuseppe Fioroni, declassificato il 17 gennaio 2018 –, che qui vale la pena riprodurre una parte:
“[..] La sua più recente pubblicazione è “Storia segreta del PCI : dai partigiani al caso Moro “, ed. Rubbettino, 2013, che ho avuto modo di leggere e che ritengo di estremo interesse.
Il ricercatore è partito dall’analisi di una serie di documenti rinvenuti negli archivi cecoslovacchi relativi ai partigiani della linea “secchiana” fuggiti in tale paese a partire dall’inizio degli anni ’50 con la protezione comunque del PCI e rimasti in tale paese riuniti intorno al circolo “Democrazia popolare” e alla radio “Oggi in Italia” diretta verso il nostro paese.
Lo studioso è giunto la [SIC] conclusione che costoro, impegnati anche in campi di addestramento, abbiano costituito il cuneo che si è inserito tra le “vecchie” Brigate Rosse di Curcio e Franceschini e le “nuove” Brigate Rosse del periodo successivo utilizzando Mario Moretti per spingere tale organizzazione ad un’azione come quella del rapimento dell’on. Moro che sarebbe servita a spezzare la strategia del compromesso storico cui tale area, “tardo- resistenziale e legata al KGB, era assolutamente contraria.
In sostanza l’on. Moro sarebbe rimasto vittima di una convergenza di interessi : quelli dei Servizi dell’est che tramite le Brigate Rosse e Mario Moretti intendevano colpire la linea del compromesso storico e quelli di alcuni Servizi occidentali che erano portatori della medesima linea e che avrebbero lasciato che il sequestro si sviluppasse sino al suo esito tragico e in seguito avrebbero “sterilizzato” le indagini su quanto era avvenuto.
I primi quindi con un ruolo attivo, i secondi con un ruolo omissivo […]”
Naturalmente, il fatto che queste raccomandazioni ed i rispettivi rilievi non siano stati debitamente accolti e che, per i suoi motivi Fioroni abbia fatto orecchie da mercante, produce una minima curiosità degna di necessarie giustificazioni che, piuttosto stranamente non sono mai state esposte. Ma, in compensazione, le fornisce lo stesso Turi, in questo saggio, producendo una più che plausibile spiegazione dei motivi per cui la sua indagine non viene presa in considerazione dai diversi inquirenti e membri delle commissioni ecc. che, di fatto, avrebbero dovuto, senza alcun indugio, appurare i fatti concreti. È, pertanto, palesemente esplicita la mancanza di volontà di fare luce, poiché certe verità risultavano, evidentemente, non solo troppo scomode, ma addirittura pericolose per i soliti distinti amici della congrega. Possibile che per scoprire tutta la verità si dovrà attendere che gli ultimi testimoni diretti di quelle vicende passino ad una “vita migliore”?
Infatti, dietro a tutto questo deleterio silenzio, si cela un imbarazzante tacito connubio dei nostalgici della falce e martello, insieme ad alcuni oscuri membri della DC, coinvolti o meno, ma se proprio non conniventi, certamente scarsamente aperti e disponibili, magari, perché già graziati dai presidenti della Repubblica ex partigiani, dopo che il partito aveva strategicamente piazzato gli esuli rientrati, sistemandoli in posizioni chiave; così, i propri compagni, ai quali sono state riservate importanti poltrone, tanto nell’ambito della Magistratura come negli organi della comunicazione – tanto pubblica come privata -, affinché dettagli poco convenienti potessero essere taciuti e manipolati, deviando opportunamente fittizi, ma totalmente incongruenti indizi verso altri immaginari colpevoli. Infatti, per distrarre lo sbadato pubblico, approfittando una straordinaria opportunità, si è convenientemente provveduto a dare massimo sfogo e particolare enfasi agli scandali di Tangentopoli, sfruttando in maniera confacente il momento con assunti d’impatto nuovi, puntando, così, l’indice su Craxi, Andreotti, Buscetta e Berlusconi eccetera in modo che il pubblico potesse dimenticare certe altre scottanti verità.
Ecco che, nell’ambito dei media, giusto per citare una curiosa coincidenza, un caso emblematico, fra i numerosi personaggi accomodati in posizioni strategiche, emerge addirittura l’ex partigiano Sandro Curzi, il quale, prima di rientrare in Italia, aveva già collaborato attivamente proprio con la radio clandestina Oggi in Italia che, come abbiamo visto, avendo come sede un indirizzo fittizio presso una cassetta postale a Berlino, trasmetteva appunto da Praga. Tale importante collaborazione era, quindi, stata ripagata con un eccellente riconoscimento: per poi essere accasato in modo propizio come dirigente alla RAI e direttore del TG3. Perciò, in qualità di membro di Rifondazione Comunista, ossia dell’ala impenitente e nostalgica del fallito collettivismo, poteva contribuire al controllo e condizionamento delle compromettenti rivelazioni di Turi; da qui l’ambiguo silenzioso ostracismo, tipico della sinistra militante, dall’eterna doppia morale, che non perdona nemmeno i propri membri di partito, quando questi,esternando anche un minimo dissenso, osano mettere in dubbio i propri dogmi. È capitato a niente meno che allo stesso Gramsci – oggi santificato – ma già condannato da Stalin e Togliatti, come del resto, lo stesso criterio era già stato applicato perfino nei confronti del dissidente Albert Camus il quale – come tanti altri prestigiosi intellettuali analogamente ai Raymond Aron, François Furet, ecc. -, al rientro dall’URSS, del tutto perplesso per ciò che lo aveva indignato, decideva di pubblicare il suo famoso L’UOMO IN RIVOLTA https://liberalismowhig.com/2016/03/27/onesta-e-coerenza/ che tanto aveva scandalizzato compagni fra cui il campione dell’ipocrisia Jean-Paul Sartre…
Tuttavia, proprio mentre ricorre pure il 40° anno dalla tragica fine di Aldo Moro che aveva tanto perorato per la causa del Compromesso Storico, tanto avversato e temuto dai Sovietici, sarebbe stata un’eccellente opportunità per finalmente fare chiarezza e mettere in luce ciò che in realtà è avvenuto e chi aveva progettato non solo l’eliminazione la sua tragica fine, ma anche per riaprire il poco chiarito caso del malore di Berlinguer. Curioso è, inoltre, il fatto che anche una personalità dal credito di Leonardo Sciascia, pure lui ex militante comunista, non erano affatto sfuggiti certi coincidenti particolari, ma non lo si poteva ammettere. È, quindi, più che evidente che ci sono in giro ancora troppi testimoni – anche direttamente implicati – da proteggere; per cui, per alcuni è molto più vantaggioso non esporre sotto i riflettori i fatti come si sono concretamente svolti. Eppure, ad onore della storia e della pur amara verità, la nuova generazione, avendo dovuto imparare quanto fosse “sacra” la Resistenza ed il valore presunto del prestigio dei combattenti dell’ANPI, dovrebbe pure apprendere chi fossero quei soggetti che sotto l’impudente quanto ambigua protezione di quel PCI, in tacita combutta di democristiani e con la complicità della KGB, si erano rifugiati all’estero, da dove poi cospiravano, tramando di rovesciare perfino lo stato democratico costituito, con l’esplicita finalità di privarci delle ben più sacre Libertà conquistate. Invece, il nostro potere politico, pur sapendo, per proteggere certi propri discepoli, mantiene ancora oggi tutto sotto segreto, quando in Cecoslovacchia, già nel ’92, i nomi di questi individui erano stati ampiamente resi pubblici ed il bravo quanto diligente sociologo, coraggiosamente, non se li lascia sfuggire ed alla pagina 238 ce li fa conoscere.
Ciononostante, facendo finta di niente, regna un poco dissimulato ostracismo; allora, Turi, nella speranza di essere ascoltato, decide di appellarsi allo stesso presidente Napolitano, ma inutilmente; del resto, io, da uno che nel ’56 aveva giustificato il sanguinario intervento dei carri armati del Patto di Varsavia a Budapest, non mi sarei aspettato nessuna conciliante reazione a favore. Ma, l’ostinato autore non disarma e cerca di contattare altri personaggi, sempre augurandosi di essere seguito, scrive al Prof. Mattarella, al Presidente del Senato Pietro Grasso ed in qualità di figura importante del PCI a Piero Fassino, ma o lo ignorano o gli rispondono di non essere interessati alle domande sui chiarimenti che vorrebbe loro porre… Malgrado ciò, indirettamente, qualcuno si accorge del suo operato e pare riconoscergli un certo credito; infatti, lo sceneggiato LA PIOVRA 6, opera del tutto fantasiosa, concentrata su attività mafiose come il traffico di droga coinvolge ex comunisti cecoslovacchi… chissà, non a caso – la miniserie, include un personaggio con lo pseudonimo del Prof. Canevari – e sembra riferirsi proprio a colui che, a suo tempo, era stato l’unico nostro studioso inviato a Praga, appunto, per indagare, sugli esuli ex partigiani stranamente coinvolti con ex comunisti cecoslovacchi. Una coincidenza? Un segnale? Oppure un intenzionale inquinamento mediatico, un appropriato depistaggio, in cui, in maniera equivoca, si ricorre ad una indiretta allusione che contempla parte delle davvero sconcertanti scoperte del Turi? Salta all’occhio, in modo piuttosto bizzarro – ma forse nemmeno tanto – il fatto che la sceneggiatura, mette gli ex comunisti in diretto rapporto con mafiosi, i quali, in realtà, non centrano affatto, come si evince da quanto ampiamente descritto nel saggio – ma non solo da questo – proprio per distrarre l’opinione pubblica… Si tratterebbe, per caso di un buon pretesto, una strumentalizzazione per deviare l’attenzione dalle azioni sovversive mirate al caso Moro o agli attentati subiti da eccessivamente curiosi giornalisti (come Mino Pecorelli e Walter Tobagi) che intuiscono e scrivevano articoli compromettenti, od ai generali che sanno troppo (come Antonio Varisco, Enrico Risiero Galvaligi e Carlo Alberto Dalla Chiesa) od ai Magistrati (come Giovanni Falcone), che si avvicinavano pericolosamente a certi spinosi coinvolgimenti, potendo rivelare quelle contagiose complicità, a sua volta, capaci di contribuire a scoperchiare definitivamente il Vaso di Pandora che in troppi temevano?
In fondo, come spiegare i continui e ripetuti pellegrinaggi da parte dei più importanti membri del partito, di dirigenti sindacalisti della CGL, che si recano a Praga o Brno, in vacanza o ad eventi culturali ed artistici, anche da aspiranti a carriere politiche, prima di farsi eleggere, non possono essere spostamenti semplicemente casuali. In fondo, non si può ignorare un’eclatante ammissione, dell’esistenza di una tale stretta relazione con certi militanti, già pronunciata in pubblico dall’ex partigiano, presidente Pertini, quando, a Genova, in occasione del grande funerale del sindacalista Guido Rossa, “gambizzato” da un commando di brigatisti e freddato da Riccardo Dura per vendetta, avendo la vittima denunciato il membro delle Brigate Rosse Francesco Berardi; ecco come il presidente decide di affrontare gli scaricatori del porto, riuniti in un capannone, dichiarando dall’alto di una pedana: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!” Ci sono, quindi, ancora altri dubbi sulle ambigue attività di quei partigiani?
In conclusione, questa è un’ulteriore eloquente lettura ed anche la più completa ed attendibile, così, come già evidenziato con l’incandescente GLADIO ROSSA – saggio che dopo essere stato pubblicato dalla casa editrice MARSILIO, in maniera del tutto misteriosa, in modo opportunamente subdolo, è stato fatto sparire dagli scaffali delle librerie, mentre si restituiscono i diritti di autore. Dinanzi ad una palese polemica e frustrante scelta, il diligente Turi chiede – senza riuscirci – di incontrare Cesare de Michelis – che era stato presidente della casa editrice, non a caso, fratello del socialista Giovanni. La questione era più che chiara: scoperchiava in modo spettacolare, ma anche in maniera davvero pedagogica quel Vaso di Pandora dal contenuto esplosivo tanto imbarazzante e compromettente, sul quale la stessa autorità competente sembra essersi incaricata di apporre il sigillo del tosco silenzio, con il proprio timbro del più che necessario, doveroso, ma obliquo ostracismo.
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