visto da Tullio Pascoli
9 Dic 2015
Pubblicato pure su www.liberalcafe.it
COMUNISMO – di Richard Pipes (Recensione)
Cronaca dell’Utopia del XX Secolo
Richard Pipes è uno dei più qualificati storiografi a fornire al mondo un ricchissimo mosaico degli avvenimenti storici della Russia; infatti, avendo pubblicato una ventina di libri per descriverne le origini, le conseguenze ed il passato di una delle più dolorose illusioni che hanno segnato il tragico esperimento collettivista del secolo scorso, egli ha saputo sconfessare il Socialismo quando un enorme numero di intellettuali indottrinati lo difendevano a costo di mostrarsi ambigui.
Nato in Polonia, appena i Nazisti avevano invaso il Paese, riesce a fuggire con i genitori; trascorrono sei mesi in Italia, quando il Fascismo stava per entrare in guerra con Hitler ed allora si appellano agli Stati Uniti, ottenendo il permesso per stabilirvisi; qui dedicherà tutta la sua vita all’insegnamento della storia russa ed attualmente è docente emerito presso l’Università di Harvard. Pochi autori come lui sono riusciti proporzionare una radiografia così ampia e completa, partendo già dalla Russia zarista per giungere fino alla capitolazione della presunta società egualitaria; infatti, descrive come e perché del successo della Rivoluzione Bolscevica, e ciò che ne è seguito con delitti, intrighi politici e gli inevitabili fallimenti economici.
Nelle oltre 200 pagine del saggio l’autore presenta in sei capitoli un riassunto degli avvenimenti partendo:
1) dalla dogmatica utopia dell’egualitarismo, già teorizzata da Platone ne La Repubblica;
2) prosegue con l’ambigua ideologia del Collettivismo di Marx ed Engels;
3) per passare al Leninismo;
4) spiega la paranoica arbitrarietà messa in pratica senza compassione da Stalin, descrivendo
5) come l’astratto fascino esercitato dall’equivoca retorica delle buone intenzioni su buona parte dell’ingenua intellettualità occidentale, continuando con
6) il controverso successo delle illusorie speranze accese dall’ideologia nelle aree agricole più sottosviluppate del Terzo Mondo. Egli riassume, quindi, l’ascesa seguita dal declino del Comunismo e le conseguenti tragedie generate dall’ostinazione di comunque perseguire il modello che per sostenersi ha dovuto ricorrere a prepotenza, inganno ed alla violenta coercizione, reprimendo ogni forma del più elementare individualismo, ha eliminato la proprietà e dunque le libertà, per finalmente ridurre i cittadini a meri sudditi in cui solo la docile militanza e la passiva obbedienza venivano premiate. Allora, era possibile sperare in una vita che altrimenti sarebbe risultata oltremodo precaria; in compenso, sopportando con aperta rinuncia alle proprie ambizioni, la propria condizione poteva migliorare, purché ci si mostrasse fedelmente sottomessi e rassegnati, assimilando perfino il pensiero imposto di chi decideva per tutti, mentre bisognava seguire disciplinatamente le regole di tale ipotetico e presunto “interesse collettivo”.
Eppure, stranamente, ancora oggi certi nostalgici indottrinati non si sono ancora convinti di quanto nefasto fosse quel modello. Infatti, alla luce di ciò che ormai non può più essere negato, nonostante il conto delle vittime – si dice – sia stato di un centinaio di milioni che pagavano la repressione – nella migliore delle ipotesi – con l’internamento nei Gulag o, peggio ancora, con il dolore delle torture fisiche seguite da quelle psicologiche che includevano aperte minacce ai propri parenti ed amici, i perseguitati erano indotti a confessare anche il falso. A ciò si sono sommati i lutti derivati dalla fame generalizzata in seguito alle famose carestie, opera prima della collettivizzazione forzata. Era quello il reale cosiddetto Paradiso del Proletariato, costituito dagli abusi, dagli errori, dagli orrori e dalle miserie del fallimentare ed inutile tentativo di creare una presunta società giusta, ricorrendo alle più crudeli ingiustizie.
Il grande problema del Comunismo ce lo ha spiegato in maniera eloquente proprio uno dei più convinti marxisti, il Premio Nobel per la letteratura Albert Camus, condannato all’ostracismo dagli stessi Comunisti, per aver scritto L’UOMO IN RIVOLTA in cui mette sotto diretta accusa la stessa Rivoluzione, dove una pervicace cupola si impone per perseguire il sanguinario progetto del proprio dogma, negando qualsiasi deviazione, pur di raggiunge a qualsiasi costo il fine, naturalmente, mediante la conservazione del potere assoluto. Così, i rivoluzionari, com’era già avvenuto con la Rivoluzione Francese, si trasformano nei più spietati conservatori. Ma il progresso è evoluzione ed evoluzione è inevitabilmente innovazione, ossia, continuo cambiamento, proprio come lo difendono i liberali che sono gli autentici progressisti.
Ciononostante, molti degli impenitenti superstiti di questa controversa utopica dottrinaria ideologia, ancora attualmente, hanno la pretesa di attribuire tali tragedie non tanto all’illusorio miraggio, ma al metodo erroneo; alla pessima applicazione dei presunti altruistici ideali, mentre – sempre secondo loro – il socialismo interpretato in maniera coerente e corretta, sarebbe davvero la panacea in grado di correggere le ingiustizie che la legge della natura ahimè, riserva ai meno fortunati.
Pipes, al contrario, dopo aver potuto studiare a fondo la storia dei tragici eventi che hanno caratterizzato i diabolici metodi con cui si è messa in atto quella equivoca dottrina, sostiene giustamente che il Comunismo non è stato semplicemente “una buona idea che ha avuto un cattivo esito; ma è stato una cattiva idea”. Non per niente, in tutti i Paesi dove è stato introdotto il Socialismo, non solo, gli individui, perdendo le loro prerogative, sono stati ridotti ad una specie di schiavitù, dove il semplice dissenso veniva impietosamente punito, come Arthur Koestler ci ha così magnificamente descritto nei suoi romanzi. E la più palese e convincente prova di questa realtà la otteniamo dal paragonare degli odierni livelli di vita (e di libertà) di Paesi come Korea del Sud nei confronti della Korea del Nord, o di Cuba a confronto dello stesso regime dittatoriale di Batista che i castristi hanno sostituito, trasformando in povera quella che era una isola prospera, quando i Cubani vantavano anche il più elevato indice di alfabetizzazione di tutta l’America Latina, mentre oggi Cuba si è trasformata in una delle zone più povere al mondo, dove chi aspirava alla propria legittima libertà, pur di raggiungere le coste della vicina Florida, era disposto ad affrontare i pericoli del mare infestato dagli squali. Non per niente, oggi in Florida, vive un terzo della Popolazione cubana. Queste constatazioni dovrebbero dimostrare il divario che separa il modello economico della libera iniziativa dal modello pianificato da chi si aggiudica la messianica capacità di meglio conoscere ed interpretare le preferenze del Popolo, mentre gli individui stessi sono indotti al silenzio imposto, senza il mero diritto di spostarsi liberamente da un capo all’altro dell’isola.
Infatti, nel collettivismo, non è l’Ordine spontaneo del Mercato che si adegua alle aspirazioni dei consumatori ed alle prerogative degli individui, ma è il tiranno di turno con il suo indiscusso potere, indifferente a ciò che la moltitudine aspira, partendo dalle proprie soggettive convinzioni, impone le sue scelte a proprio insindacabile criterio, essendo tutta la Popolazione ridotta a sudditanza, obbligata ad accettare passivamente i suoi dettami, senza che possano in qualche modo manifestare il più elementare dissenso o di esprimere insoddisfazione per tali coercitive misure.
Orbene, oggi, finalmente, all’illustre autore viene concesso anche un giusto riconoscimento italiano, da parte di uno dei più prestigiosi “think-tank” del nostro Paese; quello dell’Istituto che porta il nome di un illuminato difensore delle libertà individuali – ahimè quasi sconosciuto in Patria – Bruno Leoni, autore de LA LIBERTÀ E LA LEGGE, opera originalmente scritta in inglese e considerata paradigmatica in tutto il mondo anglosassone. Così a Pipes – viene concesso, appunto, il “PREMIO BRUNO LEONI” per il merito al grande contributo dato in difesa del Liberalismo, con tanta competenza delle sue Opere a favore dei diritti individuali e principalmente per l’importanza delle sue analisi a favore di Proprietà e Libertà, ordini che non possono essere separati perché uno dipende intimamente dall’altro e per essersi finalmente distinto come straordinario consapevole anticomunista e libertario.
Ai naufraghi della fallimentare chimera socialista, agli orfani delle teorie marxiste sotterrate sotto le macerie del Muro di Berlino che, continuano ancora a nutrire dubbi a proposito degli equivoci che sono alla base delle tesi del collettivismo, nonché della perversità a cui i suoi teorici hanno fatto ricorso per mantenere in vita quel deludente modello, è certamente utile consigliare questa eccellente lettura e chissà che non imparino qualcosa. È un’ottima introduzione a quell’utopia che dopo settant’anni di tragici errori, con la fuga in massa dall’incubo dei Tedeschi di Berlino Est, ha in maniera del tutto empirica, palesemente dimostrato il suo inevitabile e tanto atteso quanto auspicato dissesto.
Del resto, il suo tracollo era già stato annunciato nel lontano 1922 da un altro autorevole economista, Ludwig von Mises, che con la sua opera SOCIALISMO, aveva, anticipato già allora – si potrebbe dire quasi profeticamente -, come e perché l’ambigua economia pianificata non sarebbe stata in grado di sostenersi proprio perché partiva da premesse economiche del tutto equivoche.
Purtroppo, la verità è emersa dalla cruda realtà con eccessivo ritardo perché il prezzo pagato per questo inutile sogno trasformatosi in un vero delirio, è stato fatalmente pagato con la vita di un centinaio di milioni di indifesi ed innocenti individui, il cui vano tragico sacrificio dev’essere ascritto principalmente a due campioni tiranni, coloro che nelle peggiori maniere hanno voluto portare a termine il devastante e nefasto esperimento: Stalin e Mao Zedong.
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