visto da Tullio Pascoli
13 Set 2014
O Confronti di Antagonismi Epocali?
Il controverso paradigma del cosiddetto Scontro di Civiltà ipotizzato allo scadere del secolo scorso dal noto saggio di Samuel Huntigton, sembra emulare un po’ il concetto di un’altra opera di similare ispirazione –Tramonto dell’Occidente – teorizzato da Spengler ed introdotto in Italia dall’autore nostrano Evola tuttora noto per le sue inclinazioni razziste, su tesi che saranno opportunamente prese in prestito dai reazionari nostalgici della romanità con le quali pretendevano attribuirsi l’eredità del glorioso passato storico, che l’italica stirpe, legittima depositaria, doveva rivivere con tanto di sfarzo architettonico imperiale e saluto romano del “virtuoso” regime fascista.
Quel periodo è tramontato ed i deleteri risultati che, purtroppo, ne sono derivati li conosciamo abbastanza bene anche se, considerato da un altro punto di vista poco convenzionale, il nazi-fascismo ha, di fatto, salvato l’Europa e forse tutto l’Occidente da un male probabilmente peggiore; infatti, non solo il nostro Continente si stava ormai avviando a lunghi passi verso il collettivismo ma, perfino Roosevelt negli Stati Uniti, guardava con palese ammirazione al modello messo in marcia da Stalin. Infatti, in seguito agli inopportuni interventi nell’economia condizionata politicamente, proprio questo presidente provocherà la grande crisi finanziaria degli anni ’30.Più tardi, ai teorici che suonano l’allarme sullo Scontro di Civiltà si sono puntualmente associati anche leve politiche eurocentriche come, per esempio, Jean-Marie Le Pen in Francia ed in Italia fra gli intellettuali, soprattutto la popolare scrittrice Oriana Fallaci. Infatti, con pubblicazioni di successo e di forte impatto, con insistenza, dava fiato alle trombe sull’imminente pericolo dell’invasione islamica e la conseguente presunta perdita della nostra tradizionale identità. Esortava, quindi, a reagire per arginare la sfida in difesa dei nostri sacri valori contro lo scontato pericolo ”saraceno” e, facendo di ogni erba un fascio, non esitava a sostenere che l’enorme superiorità della nostra democratica civiltà cristiana era seriamente minacciata – per così dire – dall’incivile intolleranza orientale, costituita principalmente dall’aggressività degli intolleranti infedeli.
Personalmente, condivido l’idea che le civiltà nascono, si sviluppano e, raggiunto un determinato livello di progresso, oltre il quale la gente non sente più la necessità di perseverare sulla via dell’ascesa, i Popoli, godendosi gli allori dei privilegi del benessere conquistati, tendono ad avviarsi inesorabilmente verso il declino. La storia stessa sembra confermare tale fenomeno, infatti, Popoli barbari, dopo aver – più o meno – imparato le basiche lezioni dai più civilizzati, raccolgono il testimone e – bene o male – proseguono sulla strada che i maestri, ormai sazi, sono avviati ad abbandonare. Questo si riproduce ciclicamente in diversi modi, ma solitamente, seguendo la luce dal Levante procedendo verso Ponente. Lo apprendiamo dagli avvenimenti del passato; e se è vero che noi Europei, da un po’ di tempo, abbiamo imboccato la parabola discendente, l’America ci ha prontamente sostituito, conquistando a passi da giganti una prosperità ad ampio raggio, mai vista prima. Tuttavia, oggi, non ci sono dubbi che il benessere stia prendendo la direzione del Pacifico e dopo aver raggiunto Giappone e Korea, si parla già apertamente del secolo cinese, mentre, in ragione della politica del figlio unico – recentemente sospesa -, si prevede un inevitabile invecchiamento della Popolazione cinese, al passo in cui l’India, al contrario, disponendo di una ricca riserva di giovani, promette prenderne il posto, realizzando la sua prossima grande rinascita.
Orbene, non posso condividere, invece, l’idea dello scontro delle civiltà, così come questi stessi autori ed altrettanti Occidentali pessimisti la concepiscono e non credo nemmeno che l’umanità abbia raggiunto la fine della storia come interpretata da Francis Fukuyama. Anzi, credo che la civiltà continui, come sempre i suoi giri, generando nuove onde di progresso e nuovi cicli economici soggetti ad evolversi a gradi di sviluppo in costante mutazione. Del resto, in questa esistenza, tutto è in eterno cambiamento, perciò, credere che il grado evolutivo, in una determinata regione geografica possa essere mantenuto in permanente ascesa e superandosi senza soste, o conservarsi intatto, secondo me, è semplicemente illusorio. E se la storia ci insegna qualcosa, essa conferma pure come ogni grande civiltà, ad una certa fase, si esaurisce. Tuttavia, ora, ciò avviene a ritmi ben diversi: se prima i cicli duravano secoli e addirittura millenni, oggi, grazie al libero scambio, alla circolazione delle idee, merci e delle persone, l’espansione del dinamico progresso si riproduce a cicli di ascesa/declino in tempi enormemente più brevi.
Inoltre, non mi convince l’idea che le ideologie siano giunte al capolinea; non credo affatto che esse siano del tutto superante; infatti, mi sembra che l’umanità subisca ancora non pochi malefici effetti prodotti dalle ideologie continuano a condizionare la vita quotidiana degli individui. Basterebbe osservare come, proprio in casa nostra, ma anche in altre zone dell’Europa, la controversa dottrina dell’assistenzialismo, spacciato per ideologia della solidarietà sociale, resista ancora, sostenuta dall’ostinata incomprensione e perfino dall’avversione per l’ordine spontaneo del mercato libero. Eternamente sotto accusa, gli si addebitano pure i disastri ecologici che – come ora sappiamo -, sono stati infinitamente peggiori nelle zone in cui l’esperimento collettivista è stato applicato e, fortunatamente, sconfitto dalla storia stessa. Del resto, l’ideologia dell’ecologismo settario, coltivato proprio dagli ultimi sopravvissuti naufraghi ed orfani del peggiore esperimento che l’umanità sia riuscita a mettere in pratica, con quella disumana repressione e totale negazione delle più elementari libertà, si presenta oggi come ultima erede della fallita ideologia socialista.
Inoltre, se in passato era ancora possibile distinguere nettamente le diverse civiltà, fra continenti e da un Paese all’altro, oggi, con la globalizzazione, le differenze tendono a diminuire sempre di più; ed a questo proposito basterebbe paragonare città come Shanghai di quarant’anni fa con l’odierna modernissima metropoli che, orgogliosa, esibisce un complesso di centinaia fra i più spettacolari grattacieli al mondo; oppure, confrontando il centro di Bombay di trent’anni fa, quando, con le impassibili vacche immobili in mezzo alle movimentate vie centrali, bloccavano il disordinato traffico dei veicoli, sotto il caotico quanto insistente concerto stonato dei claxon degli impazienti conducenti, in attesa che si scomodassero spontaneamente, con l’attuale Mumbai di oggi, quella della Bollywood – sede della più grande industria cinematografica al mondo -, per rendersi conto come i contrasti, nei confronti dell’Occidente si sono immensamente ridimensionati ed è molto probabile che questa tendenza di relativa armonizzazione, continuerà, mentre nella misure del passare dei prossimi anni, le differenze non cesseranno di ridursi sempre di più.
Sì, non ci sono assolutamente dubbi che, un po’ ovunque, non solo in Asia, sopravvivono ancora forti sacche conservatrici, prigioniere delle tradizioni più retrograde; perfino negli Stati Uniti sopravvivono comunità retrive, avverse al progresso che avanza, si rifiutano addirittura di usare la luce elettrica, conservano costumi primitivi, vestendo indumenti dei loro bisnonni arrivano all’estremo di declinare le cure dei moderni mezzi della medicina, sovente, preferiscono lasciar morire i propri figli… Ma è altrettanto vero che la modernità, poco a poco, supera molti ostacoli e raggiunge zone sempre più lontane, rompendo il secolare isolamento di comunità che fino a poco tempo fa, non conoscevano nessun tipo di comodità, vivono totalmente prive di qualsiasi comunicazione all’infuori delle loro religioni. Nonostante ciò, la conoscenza tende a circolare sempre di più velocemente, al passo in cui anche con il contributo dell’informatica e dell’elettronica, l’ignoranza e la superstizione, se proprio non periranno, con molta probabilità, in maniera inevitabile, saranno condannate a fatale indebolimento. Così, il ritardo potrà essere mantenuto solo in quelle società ermeticamente chiuse – sempre più rare – e ciò nel limite in cui l’informazione, trasmessa con moderni mezzi della comunicazione, ogni volta più difficili da ostacolare, riuscirà a rompere l’assedio dell’ignoranza e delle superstizioni, filtrando attraverso le maglie dell’obsolescenza, potendo finalmente demolire le mura in cui la repressione le mantiene segregate dal resto del mondo civilizzato, portando in fine opportunità negate agli ignari sudditi. Oggi, i Paesi che sono ancora in grado di negare la circolazione dell’informazione, mantenendo un rigido controllo sulla conoscenza, si possono contare in un’unica mano ed i tristi campioni di tale modello sono ancora i soliti regimi socialisti, ormai rappresentati solo da Nazioni depresse come Cuba e Korea del Nord.
Infatti, la circolazione del sapere fra gli umani, ormai, può essere controllato con grandi difficoltà e solo fino ad un certo limite; prima o tardi arriverà il momento in cui le barriere diventeranno totalmente inutili; infatti. Del resto, perfino per Cuba, è solo una questione di pochissimi anni. Molti Cubani hanno rotto l’incolto, mantenendosi in contatto con i propri parenti esuli per mezzo di Internet; inoltre, dopo il ritiro di Fidel Castro il fratello Raul ha sta già sperimentando un timido disgelo e nessuno potrà più frenarne il corso. Nemmeno a Cuba, dove ben un terzo della Popolazione, per progredire, è fuggita, l’imposizione del collettivismo è riuscita ad eliminare le legittime ambizioni degli individui, ognuno dei quali, aspira ad agire a seconda delle proprie particolari preferenze e necessità. E’ naturale che più numerosi sono i bisogni e più ci si sforza per soddisfarli; non per niente, tanti Cubani hanno affrontato il pericolo del mare aperto pur di liberarsi da quella schiavitù.
Da noi, invece, a conclusione del ventennio fascista, dopo aver sconfitto la secolare miseria, ricostruite le macerie delle due guerre, dopo aver realizzato il miracolo economico, con grande contributo dell’iniziativa privata, dopo che il potere pubblico si è aggiudicato l’incarico di risolvere la maggioranza dei problemi quotidiani degli individui, una parte della gente, in un ambiente di relativa abbondanza e, soprattutto, coperta dall’eccessiva protezione politica, molti ha perso gli stimoli e non alimenta più nuove aspirazioni. Ed ora, purtroppo, sono in tanti che non si sforzano a cercare lavoro ed non sono pochi quelli che rifiutano attività che considerano umilianti o servili; ed in altri tempi, quando la fiscalità non era tanto intransigente, molti si avventuravano in nuove iniziative particolari. La politica è riuscita ad avvilire anche i più intraprendenti; ed è così che viviamo in un ambiente di rassegnazione in cui, ci si accomoda, affidandoci ai benefici pubblici ogni volta più scarsi, mentre molti altri si arrendono ad equivoche artificiali soddisfazioni e, come spesso avviene quando si raggiunge l’apice di una civiltà, si dimenticano le cause virtuose per le quali quel benessere a fatica è stato conquistato.
Detto questo, non riesco ad immaginare come il mitico “scontro” possa veramente essere attribuito alle sole diversità di fede. Non ci sono dubbi che modeste ma agguerrite minoranze intolleranti che piuttosto di guardare all’avvenire terreno alle realizzazioni mondane, si illudono di conquistare il merito in paradiso; così, rifiutano di assimilare i cambiamenti dettati dai ritmi della modernità e, credendo di seguire certi canoni della loro religione, possano incutere timore. Non ignoro nemmeno come questi gruppi condizionati dai rigori della loro fede, ostinandosi ancora a coltivare il fanatismo delle loro antiche tradizioni belliche, alimentano odio e rancore per tutto ciò che è diverso da loro e, difendendo valori arcaici di conio medievale, respingono i mutamenti in atto sulla base di mere credenze e preconcetti, derivanti principalmente dalle secolari superstizioni ed, in parte, nutriti da altrettanta frustrazione di non poter riuscire a realizzare le proprie unioni nazionali o per non potere ancora usufruire dei vantaggi e comodità del benessere del mondo moderno attuale. Così si affidano ai dogmatici nella speranza di conquistare l’eterna felicità, come presunti martiri, sacrificando la propria vita nel mostruoso terrorismo.
Succubi della schiavitù dell’ignoranza, non concepiscono la vita come opportunità per realizzarsi in vita, sono incapaci d’interpretare il senso del vero progresso umano. Certo, il fenomeno incute paura e cela reali rischi: in questi giorni assistiamo all’oscena disumana esibizione del più cieco fanatismo che fermenta e si sviluppa in modo davvero preoccupante tale miserabile ambiente. Tuttavia, non le considero minacce abbastanza serie per la potenza delle nostre democratiche libertà. Oso credere che certe reazioni siano un mero canto del cigno dei sistemi che non riescono più a mantenere i propri individui in soggezione; incapaci di sostenere il paragone con la modernità che avanza, si appellano all’irrazionalità che, tuttavia, proprio per questa ragione i loro obsoleti modelli sono destinati a soccombere alla globalizzazione. Ammetto che le azioni violente degli intolleranti islamici, nel Medio Oriente, in Africa o degli hindi in India creino inaudita perplessità ed altrettanta rivolta; tuttavia, non possiamo generalizzare per questi pochi elementi demenziali, attribuendo singole azioni e metodi di minoranze, alla totalità di centinaia di milioni di pacifici abitanti. Evidentemente, i sanguinosi attentati, gli inauditi delittuosi massacri impressionano di più del silenzio delle loro ordinate ed umili maggioranze silenziose.
In particolare, è utile osservare che anche l’Islam difende principi di tolleranza, di fratellanza e di carità; ed al pari della straordinaria etica predicata dal nostro Profeta storico, ma introdotta in Occidente dal Cristianesimo fondato da Saulo – alias San Paolo -, pur esaltando l’amore, il perdono e la misericordia, proprio coloro che si definiscono legittimi successori, non sempre hanno applicato questi principi con altrettanta coerenza; anzi, in moltissime occasioni, hanno promosso sanguinose Crociate contro, non solo i seguaci del Profeta Maometto, ma pure contro gli stessi Cristiani eretici, o quando gli Europei, alla conquista delle Americhe, hanno crudelmente distrutto intere civiltà. Allo stesso modo, proprio ai nostri giorni, nella stessa India – che dovrebbe essere pacifica per natura -, assistiamo ad esplosioni di violenti conflitti di religione, in diretta contraddizione con i propri canoni, secondo i quali non dovrebbero sopprimere qualsiasi espressione di vita animale. Invece, vediamo i rispettivi correligionari trasformarsi in barbare belve dalla massima intransigente intolleranza, capace di massacrare conterranei sorpresi nella pratica delle loro funzioni confessionali in chiese cristiane o moschee musulmane: e questa non può essere certamente definita come civiltà, bensì barbarie, praticata proprio là dove, allo stesso tempo, si rispetta la vita delle bestie, permettendo a vacche, scimmie, roditori od insetti di liberamente circolare indisturbati senza minimamente importunarli.
Eppure, dopo i sanguinosi conflitti fra Croati, Bosniaci, Serbi e Kosovari, dopo aver ottenuto ognuna delle comunità la propria autonomia, l’equilibrio si è abbastanza bene ristabilito. Ed oggi, pur resistendo gli antagonismi, le differenze fra queste etnie si sono certamente appianate. Perciò, visti questi episodici esempi, non me la sento di sostenere che scontri di questa natura siano esclusivamente dettati dalle differenze di civiltà; non mi sembra adeguato aggiudicare a tali manifestazioni d’intolleranza la qualifica di scontri di civiltà. Li considererei, piuttosto, conflitti fra modernità e primitivo ritardo, fra tradizioni ed identità, fra preconcetti ed ignoranza; in fine, rivalità epocali fra sviluppo e conservazione. Certamente, giocano un importante ruolo pure gli episodi d’intolleranza religiosa, gli antagonismi etnici che, osservate le rispettive dimensioni, pur assumendo connotazioni clamorose, possono degenerare in vere guerre regionali. Ciononostante, la principale causa di tutto questo deriva dalla superstite schiavitù dell’incomprensione e dell’ignoranza proprie dei preconcetti che ai nostri tempi non dovrebbero più essere così diffusi.
Nel caso specifico del terrorismo praticato da alcune fra le peggiori fazioni più radicali, spesso finanziate da potenze interessate al controllo di risorse naturali, con il pretesto di rivalità etniche o dispute territoriali, sostengono membri di minoranze, giustificando la presunta difesa delle stesse con la banale pretesa di imporre piuttosto la propria egemonia politica, difendono soggetti impopolari che, perseguono con la massima determinazione e ferocia il raggiungimento del potere per il predominio di giurisdizioni. Così, con l’intervento esterno, si sovverte lo stato di disequilibrio esistente con altro disequilibrio che, altrettanto spesso, non sempre rappresenta adeguatamente le minoranze discriminate che, sentendosi ridotte all’impotenza, non accettate, non riconosciute in maniera equa, private di diritti e spazio vitale, si ribellano ed a tale scopo, qualsiasi pretesto e metodo serve loro per ricorrere ad azioni insensate, disperate ed estreme.
Tuttavia, i distinti movimenti popolari che reclamavano più diritti e libertà da quei regimi non proprio democratici, hanno fatto esplodere diverse crisi di potere che, a loro volta, in tale ambiente favorevole, sono state sfruttate dai soliti abili dogmatici. Ed ecco che con infiammati discorsi nazionalisti accusano l’Occidente decadente e corrotto, vantando le proprie presunte virtù o verità rivelate, sulla base di interpretazioni obsolete, caldeggiano il ritorno ad un preteso passato migliore, sovente appoggiati e sostenuti dai propri Paesi occidentali. E’ stato il caso dell’Iran – quando Khomeini ha detronizzato lo Scià Reza Pahlavi -, della Tunisia, dell’Egitto e della Libia, ormai finita nella più selvaggia caotica anarchia. Dinanzi a tali estremi equivoci, la comunità mondiale non può rimanere indifferente; pertanto, i Paesi sviluppati dovrebbero sentire l’urgente bisogno di agire per isolare i fanatici retrogradi, ridimensionando la loro influenza. Comunque sia, a prescindere dal fatto se è stato giusto o meno intervenire nelle questioni interne di alcune di queste Nazioni, forse, ora possiamo concludere che le decisioni di abbandonare l’Iraq a se stesso e di non gestire in maniera più adeguata la questione dell’Afghanistan, sono state scelte affrettate. Ora a molti di noi risulta sbagliato aver deciso di stimolare e perfino sostenere l’eliminazione di dittatori come Mubarak e Gheddafi; eppure, l’Occidente ha anche finanziato la guerra civile in Siria, creando un problema molto più serio di prima; errori gravi che ci costeranno cari, così come caro ci costerà l’attuale confronto sosteniamo con la Russia che vanta le sue ragioni per non abbandonerà la sua minoranza in Ucraina.
Con tutta la scienza e la tecnologia, l’Occidente potrebbe pur operare con maggiore intelligenza strategica; agire più efficacemente con l’informazione, penetrando questi Paesi con un’adeguata comunicazione, avvalendosi di trasmissioni radiofoniche e televisive. Inoltre, proprio noi Europei, potremmo fornire loro opportunità di partecipare attivamente ai benefici del nostro mercato; e non tanto con concessioni di crediti facili e fondi come quelli criticati dalla brillante economista africana Dambisa Moyo ne LA CARITA’ CHE UCCIDE, ma dando spazio e tariffe preferenziali ad attività produttive, fomentando lo sviluppo ed investimenti diretti in loco e concessioni commerciali, principalmente in settori a vocazione agricola, zootecnica e di pastorizia. Infatti, l’Europa sbaglia ancora una volta, in maniera grossolana e palese, praticando lo sleale protezionismo con sussidi dati ai propri produttori agricoli che non rappresentano più del 2% del totale della Popolazione europea, mentre il 98% dei cittadini ne subisce i costi. Risorse queste che, invece, potrebbero essere meglio destinate alla ricerca tecnologica ed applicate all’innovazione per produrre valore aggiunto. E con ciò si arginerebbe pure una parte dei movimenti migratori che tanto fastidio arrecano ad una parte dei soliti egoisti nostrani che, privi di memoria storica, dimenticano come, fino ad un secolo fa, milioni e milioni di Italiani, hanno invaso altrettanti Paesi che, in un certo modo, li hanno generosamente accolti, creando spazio pure a coloro che sono rimasti in Patria.
In fine, è anche utile ricordare come, una volta concluso il ciclo della guerra fredda, seguita al termine della Seconda Guerra Mondiale e, con il cedimento del Muro di Berlino ed il rispettivo e definitivo fallimento del collettivismo, dinanzi al disordine e disequilibrio che tali cambiamenti hanno generato e, principalmente, dinanzi alla nuova crisi politica nella controversia dell’Ucraina che si sta inasprendo fra Europa e Stati Uniti nei confronti della Russia, sia giunto il momento di, urgentemente, promuovere una grande conferenza internazionale, un po’ sullo stesso criterio adottato con l’organizzazione fatta a Bretton Woods nel 1944, per definire nuovi accordi capaci di regolare non solo una maggiore cooperazione fra le Nazioni, ma anche guidare il mondo verso un giusto equilibrato convivio fra le diverse economie e le distinte minoranze etniche e religiose.
Infatti, è assolutamente necessario che i responsabili delle singole Nazioni si possano riunire, confrontare in un ampio dibattito per trattare un nuovo ordinamento in grado di ristabilire nuovi equilibri nel buon senso comune ed aumentare la comprensione e l’accettazione delle distinte diversità che ci caratterizzano e che arricchiscono l’umanità. La comunità mondiale deve ricomporre una nuova disposizione e definire una concreta necessità di collaborazione nel reciproco rispetto ed in piena tolleranza fra Paesi di lingue e religioni specifiche, garantendo sempre un maggiore libero scambio come pure la libera circolazione di idee, merci e persone, senza la quale, questi conflitti non solo non tenderanno a diminuire ma, al contrario, potranno solo aumentare i rischi di scatenare nuovi conflitti ancora più violenti ed eventualmente generalizzati.
Potrebbe anche essere un’eccellente opportunità per far partecipare pure le comunità scientifiche ad un confronto pragmatico ed onesto, dove chiarire il bisogno ed i mezzi per un efficace controllo sanitario, in vista delle nuove e gravi minacce delle pericolose epidemie, dei super virus resistenti che si riscontrano ormai con sempre maggiore frequenza nelle unità sanitarie, nonché una maggiore coscientizzazione della necessità di ridurre gli sprechi delle risorse; di limitare l’inquinamento, definendo un più razionale sfruttamento delle energie con enfasi alle rinnovabili, senza necessariamente ricorrere a sussidi, ma detassando i rispettivi investimenti ed, allo stesso tempo, chiarire le attuali ambiguità ideologiche che circolano come una specie di nuova religione ecologista che altrettanti indottrinati vorrebbero spacciare per assolutamente autentica e veritiera ma che, invece, è carica di retoriche ambiguità; onda questa che viene difesa non tanto dalla comunità scientifica, bensì dai politici dogmatici confusi che, dopo aver militato nel socialismo, perdendo la scommessa nel confronto con l’Ordine Spontaneo del Libero Mercato, cercano pretesti per accusare la libera iniziativa di colpe sulla base di elementari puri criteri ideologici.
In conclusione, dunque, una conferenza mondiale di tale natura potrebbe essere ampliata ed estesa ad altri urgenti argomenti su problemi di attualità. Anche con la sana finalità di incoraggiare la ricerca scientifica, a 360 gradi e definire apertamente, non solo la sua innocuità, ma anche l’imponderabile utilità e soprattutto il bisogno di sviluppare nuove tecnologie, nuove colture. Dare origine anche a nuove specie vegetali, lasciando da parte ogni preconcetto, privilegiando, in fine, la pragmatica ricerca sugli Organismi Geneticamente Modificati, già ampiamente adottata nelle Americhe, in Oceania ed Asia, ma ahimè, tanto discriminata da pregiudiziali prevenzioni di natura puramente politica dal sistematico indottrinamento ideologico, in alcuni dei nostri Paesi, mentre sono proprio queste tecniche le vie più razionali in grado di poter prevenire potenziali carestie e non solo per essere preparati ad affrontare i rischi di flagelli determinati da improvvisi cambiamenti climatici, con le gravi conseguenze che potrebbero sorprenderci e compromettere l’esistenza di moltitudini. Inoltre, potendo così, migliorare pure le coltivazioni, migliorare le irrigazioni in maniera più razionale, aumentando l’abbondanza, allo stesso tempo, su aree minori, soprattutto, nelle zone sottosviluppate, ancora oggi soggette a regimi politici chiaramente incapaci di fomentare il benessere e di stimolare un giusto progresso per i propri abitanti penalizzati da politiche ambigue a scapito di una feconda economia reale.
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