visto da Tullio Pascoli
11 Set 2011
L’OPINIONE PUBBLICA di Walter Lippmann (Recensione)
Pubblicato anche su www.politicamagazine.it
La Politica con le sue vane profezie
La mia curiosità per la lettura di Lippmann non è recente; manca poco e compie mezzo secolo: risale ai tempi della mia gioventù, quando a Londra, Parigi o Madrid nelle edicole trovavo il Corriere del giorno anteriore o l’ultimo numero di EPOCA e mi tuffavo nelle pagine di Montanelli e Riciardetto (alias Augusto Guerriero): due grandi figure liberali che segneranno la mia inclinazione ideologica per il resto della mia vita in una specie di atto di fede religiosa nella dottrina della Libertà.
Ebbene, dopo tanto tempo, grazie allo strumento del libero mercato del congegno di internet, pescando in fondo di un angolino dei cassetti della mia remota memoria, cercando trovo libri rari di autori che ogni tanto quei celebri giornalisti citavano; opere di Raymond Aron, Rudolph Bultmann e Walter Lippmann, per citarne tre.Di Aron ho già parlato altrove; Bultmann oggi è forse un po’ superato da ricercatori e teologi che hanno investigato la misteriosa vita del Gesù storico grazie a rivelazioni e scoperte più recenti. Quindi, parliamo dello spirito che ha guidato Lippmann in queste analitiche ricerche: dopo aver meticolosamente scandagliato le acque dei pozzi di psicologia, filosofia, sociologia etc., egli ha elaborato queste riflessioni sull’OPINIONE PUBBLICA. Nasce, dunque, il saggio pubblicato nel lontano 1922 – all’epoca in cui un altro grande liberale, Ludwig von Mises, con profetica intuizione anticipava, nero su bianco, le cause che avrebbero condotto al fatale fallimento la deleteria esperienza economica collettivista.
Con questo saggio, intanto, il perspicace autore americano, sembrava anticipare anche una delle illuminanti tesi di uno dei più acuti pensatori del secolo XX: il Premio Nobel Friedrich August von Hayek, conterraneo ed amico degli austriaci Mises e Popper, i cui principi plasmeranno il successo di quella benefica “rivoluzione” liberale tenacemente perseguita dalla Thatcher e da Ronald Reagan.
Nell’ampia indagine sviluppata da Lippmann egli espone, in modo analitico, singolari aspetti del volubile comportamento umano che spesso rende instabile l’impenetrabile e versatile maniera di pensare delle moltitudini. Un’infinita gamma di non sempre condivisibili soggettivi stereotipi condiziona la folla; vi si alternano e si consolidano le tante opinioni che sovente s’intrecciano in maniera incomprensibile. Con argomenti convincenti dimostra magistralmente che non è possibile prevedere, in modo chiaro, le inclinazioni del vasto pubblico perché ogni attimo che passa è uno stato di cose a sé che non si ripete. I pareri cambiano ed evoluiscono nel tempo in un grande ventaglio di molteplici imprevedibili alternative, ciascuna dipendente da altrettanti ignoti alterni contesti di difficile interpretazione. Ragione per cui ha senso considerare l’impossibilità di poter anticipare nel tempo e nello spazio le mutevoli preferenze degli individui: al mattino alimentano certe preferenze, potendo assumere atteggiamenti anche opposti di pomeriggio, mentre di sera potranno preferire nuove propensioni.
Per questo è avventato fissare a priori norme rigide, pianificando mete e preferenze a media scadenza e peggio ancora a lungo termine, come i collettivisti hanno sempre preteso di poter fare, perché convinti di saper interpretare profeticamente speranze ed aspirazioni delle masse, governate dall’alto verso il basso con i loro soliti metodi coercitivi.
Di fatto, se è già di per sé difficile interpretare le aspirazioni del singolo individuo, in un preciso momento, come pretendere di conoscere, intuire o indovinare in anticipo ambizioni di tutta una collettività intera? Il tempo scorre, non è statico e la gente si muove; dunque, tutto cambia. Inoltre, raggiunta una meta, l’individuo attivo non si accontenta e, fissando i limiti dell’orizzonte non si rassegna. Noi tutti siamo stimolati dalla curiosità che agisce sulla nostra illimitata immaginazione che di per sé si manifesta in modi, tempi, forme e pieghe distinte sull’indole di ogni persona e luogo specifici. L’ignoto seduce e siamo sempre attratti da possibili nuove prospettive di progredire, avanzare e scoprire; stuzzicati dal dubbio cerchiamo sempre nuove risposte agli ultimi quesiti dei nuovi limiti, accettando altre sfide nell’intuito di continuamente superarci; improvvisando proviamo e miglioriamo: mettiamo alla prova le nostre capacità anche per capire, imparare e conoscere meglio noi stessi e la nostra abilità d’individuare la nostra stessa dimensione nello spazio, fin dall’infanzia.
Tutto si muove, anche noi: insoddisfatti anche dopo ogni recente conquista materiale o spirituale, a tentoni si procede nell’eterna ricerca; sovente si sbaglia ma si correggono le misure, si perfezione la tecnica e si corregge la rotta, pensando a nuovi movimenti anche migratori; visitiamo e popoliamo luoghi e continenti sconosciuti da dove poter guardare più lontano, scrutare orizzonti e cieli da altre posizioni; troviamo altre realtà, avvistando nuovi indirizzi ed aggiustiamo la mira verso altre costellazioni. Poiché le vie sono infinite, intraprendiamo nuove direzioni in imprevedibili iniziative, e le mete sono quasi sempre incerte; non ci possiamo mai fermare anche perché tutto è volubile; e così niente si presenta mai allo stesso modo e non possiamo sostenere che seguendo determinati percorsi o metodi si raggiungano i traguardi previamente stabiliti.
Ebbene, niente è scontato in questa nostra transitoria esistenza; sappiamo solo che non esiste una logica semplice e ognora lampante; i fattori sono sempre molteplici ed osservandoli, dipendendo da tante circostanze che si presentano inavvertite, li vediamo in modi distinti; ed esse agiscono sulla nostra fantasia condizionate perfino dalla chimica del nostro particolare instabile umore. In fondo, è proprio ciò che una delle tesi di Hayek propugna; infatti, il grande economista e filosofo viennese insegna che con mezzi similari si possono ottenere risultati distinti, mentre con mezzi e metodi differenti – ed anche opposti -, gli individui possono raggiungere obiettivi similari. Per questo, senza concedere spazio al dogma delle verità rivelate, il suo amico Popper può affermare che l’avvenire è aperto; che la ricerca non ha mai fine e che la conoscenza non si esaurisce. Così, un altro importante liberale – Milton Friedman – in FREE TO CHOOSE (Liberi di scegliere) integrerà il concetto, difendendo il diritto degli individui alle loro libere scelte. Ecco, allora, completata una sintesi del moderno pensiero liberale…
Perciò, ci possiamo legittimamente chiedere se esista davvero, da un lato, il bene perfetto e dall’altro il male assoluto? Intendo che tanto il male, così come il bene, non si possono nitidamente separare: entrambi non sono altro che i due aspetti distinti complementari che si completano di un’unica stessa realtà, nella quale si fondono e si confondono; credo che ciò si regga sull’idea della legge universale che regola l’equilibrio dell’esistenza. Tuttavia, condizionati dalle nostre limitazioni, dipendendo sempre dalle circostanze, tendiamo focalizzare in modo alternato il diritto ed il rovescio, mentre gli aspetti contrari ci sfuggono; allora, si formano equivoci stereotipi che a loro volta generano provvisori paradigmi. Eppure, senza il male, il cattivo, il brutto come potremmo valutare il bene, il buono, il bello e viceversa? Possiamo determinare con precisione i confini fra negativo e positivo? Ogni definizione sarebbe mero esercizio d’incerta interpretazione. E ciò vale pure per la verità: quella assoluta è impenetrabile, mentre dietro ad ogni singola verità relativa se ne nascondono sempre altre.
Questo saggio, dunque, nonostante i suoi quasi novant’anni, giunto in Italia solo negli anni ’60 – mentre ormai era normale “ballare il Walzer”, con due giri a sinistra e mezzo giro a destra, strizzando con sempre di più insistenza l’occhiolino al socialismo -, ancora oggi si presenta attuale ed oltremodo utile. Può servire tuttora da lezione, soprattutto ai nostri politicanti; potendo giovare all’endemico provincialismo dell’incoerente politica nostrana, dove si persevera con l’ostinata pretesa di capire la volontà popolare delle moltitudini, senza concessioni agli spazi che gli individui reclamano, nella ricerca della loro intima felicità, per cercare di realizzare le loro legittime aspirazioni. I nostri politici, invece, credono di poter profeticamente indovinare l’avvenire, fissando ipoteche non solo sul frutto dello sforzo delle generazioni contemporanee, ma onerano perfino il futuro di cittadini di un lontano domani, caricandoli di debiti per i quali non avranno fatto niente; così, lasciano ai posteri l’onere di saldare il costo degli errori del nostro tempo. Tale è la somma degli eterni equivoci pianificati dai fedeli seguaci delle ambigue dogmatiche – quanto equivoche – dottrine di Keynes, allora di moda, per non parlare dei chimerici sogni ideologici e vane illusioni degli ultimi nemici della proprietà privata: gli ottusi collettivisti condannati dalla storia, sopravvissuti al tempo ormai scaduto, incapaci di capire che gli individui nascono in relativa libertà, alla quale non intendono rinunciare.
E se di fatto, in un certo senso, siamo un po’ schiavi, lo siamo solo delle casuali circostanze, ossia, delle imponderabili misteriose leggi della natura, alle quali possiamo adeguarci, reagendo con l’azione di misure applicate da individui creativi che assumono rischi accollandosi le rispettive responsabilità. Dunque, non giovano regali a chi può, sa e deve arrangiarsi; infatti, con la generosa gratuita solidarietà si soffocano, mutilano e neutralizzano le iniziative e le responsabilità individuali. Popolarmente si dice che non si regala pesce a chi è in grado di pescare; bisogna insegnare a come fare: il potenziale patrimonio dell’intrinseco capitale umano si usa e si sviluppa solo sotto l’impulso della necessità e del meritato premio.
In conclusione, questa non è una lettura così scorrevole da divorare in un solo fiato.. L’opera scritta dall’ex socialista in contrasto con le future preferenze socializzanti del “New Deal” di Roosevelt induce alla meditazione e mostra come Lippmann si ripensa: convertitosi al liberalismo, lascia intendere che la strada giusta non è quella degli interventi economici del potere politico – a noi tanto cari -, ma quella dell’ordine spontaneo del mercato. Il tempo e la storia ne sono la prova e presto confermeranno le origini della disastrosa grande depressione degli anni ’30; l’epilogo di quelle ambigue scelte che hanno ridotto la fertile libera iniziativa americana, stimolando la speculazione al punto di provocare il più grande collasso economico del secolo. L’affermazione è dello stesso Friedman che ne ha tutti i titoli.
Del resto, com’è avvenuto con il declino della gloriosa Repubblica di Venezia – ormai sazia e stanca – viene superata dall’innovazione e creatività delle nuove potenze; allo stesso modo, osserviamo il fenomeno anche oggi; e non solo nell’America di questi ultimi anni, ma anche – se non soprattutto – da noi: la catastrofica esperienza di ridurre la libertà all’iniziativa privata, oltre ad inibire l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo in generale, lede i fondamentali valori del merito ciò che spiega la grave crisi in atto nell’Europa burocratica di oggi.
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