visto da Tullio Pascoli
21 Set 2004
Molti scienziati, che più saggiamente, non vanno in giro a manifestare con le bandiere iridate da agitare, le quali sostituiscono le vecchie bandiere vermiglie insanguinate, preferiscono dedicarsi alle loro ricerche, senza confondersi con certi estremismi, e si guardano bene a non solidarizzasi con le conclusioni del coro di Kyoto, di Porto Alegre. Quelle voci, infatti, appartengono alla specifica ristretta categoria dei soliti allarmisti che nella pratica della religione del pessimismo sempre annunciano e predicano disastri che, secondo loro, dovrebbero verificarsi in un domani abbastanza vicino, ma che potrebbero tardare magari millenni se non milioni di anni. Con il tempo, poi, ci si accorge che i drammi “scientificamente” descritti non si verificano, ma non si sa nemmeno se per caso si verificheranno davvero.
In questo modo, essi, si anticipano ai fatti, e proprio come facevano i marxisti, vorrebbero farci soffrire prima che il dolore si faccia sentire; vorrebbero farci prendere il medicinale che è più nocivo del possibile, ma non probabile danno immaginato; vorrebbero curarci addirittura prima che i sintomi del male si manifestino; vorrebbero vederci morire prima che la signora morte bussi alla nostra porta. Ma per certe cose, secondo la mia modesta opinione, c’è sempre tempo ed è meglio attendere di soffrire; perché anticiparci?
A sentir loro la morte del pianeta Terra è decretata; c’erto un giorno qualcosa avverrà… ma loro non si rendono conto che a qualsiasi momento una gigantesca meteorite può colpire il mondo e tutti finiremo per arrenderci agli eventi senza la minima possibilità di reazione?
L’unica alternativa per cercare di assicurare la sopravvivenza umana e della vita in generale, in questo universo, è quella di scoprire quanto prima un nuovo pianeta ospitale, capace di accogliere una nuova “arca di Noè” da spedire là dove si spera poter di assicurare la sussistenza; tutto il resto, secondo me, è pura e vana poesia.
Per ridurre il rischio di perire prima del tempo è necessario, dunque, mettersi all’opera senza tergiversare, accelerando i tempi ed i metodi, facilitando l’opera dei veri scienziati; lasciando ai “paladini” del popolo di piantone, con le eterne messianiche prerogative che si esibiscano sulle loro preferite barricate.
I veri ricercatori, invece di manifestarsi in pubblico, si muovono soprattutto grazie allo stimolo che l’intraprendenza umana riceve dall’ egoismo e dal timore; qualità queste che producono quello spirito di sopravvivenza che ci fa agire nello sforzo costruttivo e non quello distruttivo dei rivoluzionari di turno.
Ciò che è più grottesco è il fatto che i preti del pessimismo, i predicatori della “morte” del pianeta, attribuiscono le responsabilità della fine del mondo proprio ai cittadini più creativi e intraprendenti, i quali in realtà sono quelli che hanno da sempre più contribuito al benessere degli abitanti terrestri ed al loro progresso tecnologico. Sono loro gli artefici dello sviluppo che non si può negare e che noi possiamo osservare fin dai giorni in cui abbiamo imparato a scheggiare la selce.
Io non ne sono sicuro, ma ho la vaga impressione che si tratti, ancora una volta, del solito canto del cigno, da parte di una certa sinistra che ha perso non solo la rotta, ma anche i paradigmi tradizionali ai quali si era aggrappata per decenni, ed ora, orfana di Marx e Lenin – condannati dagli eventi e dalla storia – essa cerca disperatamente una nuova onda da cavalcare, pur di salvare la propria esistenza, se non proprio un prolungamento della propria agonia.
Credo che in fondo questi sinistri stiano solo cercando di ritardare la propria fine e così, nuovamente, cercano di aggredire, questa volta, in un modo nuovo i propri tradizionali avversari: gli autentici responsabili diretti del progresso umano; in questo tentativo si avvalgono delle tesi e dei discorsi presi in prestito dai romantici ambientalisti.
Come sarà il futuro non lo sa nessuno, per questo motivo, noi liberali, seguendo la maestra prudenza, raccomandiamo di VEDERE PER CREDERE. Solo i mancini sembrano sapere cosa ci stia per cadere addosso, perché il lemma della loro fede continua ad essere CREDERE PER VEDERE. A noi umili mortali rimane solo la possibilità di immaginare come potrebbe presentarsi l’avvenire. Nella nostra eterna illusione e nel nostro incorreggibile ottimismo, siamo convinti che sarà migliore del passato, perché negli ultimi millenni abbiamo proceduto pur sempre verso il progresso, anche se con qualche imprevista tappa di fermata intermediaria e con qualche inconveniente breve marcia indietro o cambiamento di direzione.
Ma per arrivare finalmente all’ assunto, per ciò che riguarda l’ agricoltura europea, osserviamo che buona parte di essa si sostiene solo grazie ai lauti e generosi sussidi, che poi vengono compensati da altrettante tassazioni che ora la matrigna Europa continua ancora a difendere con la massima ostinazione, spalleggiata dalla brava Francia. Ma anche questo dovrà finire, infatti, c’è da attendersi e da sperare che i Paesi sviluppati, prima o poi, capiscano che ad ognuno corrisponde la propria vocazione, la propria naturale aspirazione ed inclinazione; e che è dannoso non permettere che i Paesi sottosviluppati possano dedicarsi all’agricoltura per via di una spietata concorrenza sleale da parte dei Paesi ricchi, i cui governi tolgono il merito a chi produce ricchezza con profitto, per distribuire sussidi agli agricoltori autoctoni che questa ricchezza la consumano. Così si creano gravi squilibri e danni al terzo mondo che si vede costretto a far scommettere ai propri individui più intraprendenti, la propria vita sui battelli arrugginiti, sui barconi e sui gommoni della speranza…
Credo che probabilmente molte delle coltivazioni intensive che oggi si praticano in Europa (la barbabietola da zucchero è solo uno degli esempi), in avvenire si concentreranno in quei Paesi di più elevata produttività, e di più basso costo produttivo, grazie anche al clima favorevole alla crescita della canna da zucchero che si riproduce tutto l’anno, senza i sussidi. In Brasile, per esempio – tanto per dare un’ idea a chi non lo sa – si possono ottenere quattro raccolti di riso all’anno. In certe zone, la vigna produce uva durante dodici mesi, senza interruzioni invernali… Pertanto, c’è da attendersi grandi cambiamenti nel settore agricolo ed anche dell’ allevamento. Io credo che l’ evoluzione si imporrà:
A) Riduzione delle aree coltivate in quasi tutta l’Europa.
B) Specializzazione con prodotti agricoli di maggior valore aggiunto e di maggiore carattere tecnologico, con novità che la scienza probabilmente dovrà ancora inventare. Possiamo attenderci nuovi ibridi rivoluzionari, più nutrienti e meno costosi. In questa gara tecnologica non dormono nemmeno Paesi che in Europa si classificano come “terzo mondo”. Gli scienziati brasiliani, per esempio, stanno separando elementi presi dalle ragnatele per inserirli nella genetica del cotone; otterranno presto nuove fibre infinitamente più resistenti ed elastiche! Altro che ambientalisti verdi!
Per concludere, dunque, prima di condizionare consapevolmente il naturale processo evolutivo economico/industriale, ostacolando la costruzione di capannoni o quant’altro, io ci penserei più di due volte. I verdi dovrebbero moderare certe drammatizzazioni. Lasciamo pure costruire, se è il mercato che lo richiede; nella peggiore delle ipotesi si potranno poi trasformare quei capannoni in circoli ricreativi e palestre da ginnastica, per mantenere gli umani attivi ed in buona forma, visto che diventeranno sempre più anziani e senza attività produttive.
Chi deve decidere ciò che si deve fare o non fare non sono quei quattro fanatici “verdi”, o certi presunti saggi filosofi, né i soliti politici, senza che ricevano una specifica delega per intervenire in questo senso. Siamo noi, liberi consumatori, che dettiamo le nostre preferenze al mercato. Sua maestà il mercato, nella sua saggia ed infallibile sensibilità – nell’ interazione degli individui che si confondono nella folla – reagirà in sintonia per soddisfare le esigenze e le preferenze di coloro che hanno davvero la prerogativa di scegliere le proprie particolari priorità del momento, e che oggi hanno una natura, ma che domani potrà non più essere la stessa.
Gli umani sono di certo ed eternamente soggetti all’errore, ma hanno – non dimentichiamolo – il grande privilegio di saper correggere anche le proprie convinzioni; le loro interpretazioni di oggi possono essere benissimo degli equivoci del domani e viceversa.
Una delle cose a cui l’essere umano è più abituato è quella di interpretare la realtà in funzione del particolare momento in cui egli vive ed egli sa, pertanto, quando riparare agli errori una volta constata la natura degli equivoci. In questo il filosofo della scienza, Karl Popper, ci può insegnare qualcosa.
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