visto da Tullio Pascoli
15 Gen 2004
Il paradiso del Circolo Virtuoso
L’ Italia ha urgente bisogno di riciclare il proprio modo di guardare al suo sistema ed al mondo. Deve modernizzare la propria visione, liberandosi da certe catene, da certi storici preconcetti. Si continua a parlare di Capitalismo come se fosse un demonio; in verità Capitalismo è un’ espressione troppo approssimativa ed il suo vero e corretto sinonimo è “mercato”. Ma i nemici dell’ ordine spontaneo preferiscono il termine che deriva da IL CAPITALE e si riferiscono proprio agli attributi descritti da Marx. E’ una parolaccia che evoca ogni male e viene sfruttata dai simpatizzanti del collettivismo da oltre un secolo e mezzo, per condannare quella magica azione che è l’ iniziativa degli individui.
Ma i nemici dell’ ordine spontaneo preferiscono il termine che deriva da IL CAPITALE e si riferiscono proprio agli attributi descritti da Marx. E’ una parolaccia che evoca ogni male e viene sfruttata dai simpatizzanti del collettivismo da oltre un secolo e mezzo, per condannare quella magica azione che è l’ iniziativa degli individui.
In Italia si continua a parlare di ricchi e di poveri, mantenendo viva quell’antica cultura dell’ invidia. Ma nessuno è ricco per sempre e nessuno è povero per sempre. Arrivano perfino a negare il legittimo diritto alla proprietà, che essi vorrebbero limitare ed in molti casi addirittura sopprimere. Credono che siano i valori materiali che possono fare la differenza fra insoddisfazione e felicità, come se non ci si potesse realizzare in altri modi. Negano il merito ed insistono a riferirsi alla dignità come se quest’ultima fosse un diritto. Ma dignità non è per caso merito? Gli umani non possono raggiungere la dignità attraverso la realizzazione di se stessi? Ed allora cosa ne facciamo delle aspirazioni e delle scelte degli individui? Possiamo negarle, calpestarle od eliminarle?
Il mercato è fatto di gente che sale e di altra gente che scende, premia il più abile, il più competente, il più creativo, e di solito non perdona molti errori; sì, sovente c’è la partecipazione della fortuna, come sull’ altra sponda agisce anche il suo opposto, la sfortuna; sia l’ una che l’ altra non discriminano e non scelgono a dito, ma vanno a caso, oggi tocca ad uno e domani ad altri. Essere ricco non significa essere felice, come il povero non è necessariamente infelice. Noi stessi siamo i timonieri del nostro destino, ed in genere siamo noi che cambiamo il corso della nostra vita con le nostre scelte e le nostre decisioni; infatti, possiamo cambiare rotta per il semplice fatto di aver spostato lo sguardo su di un oggetto caduto per terra. Nessuno è ricco o felice eternamente e nessuno è povero ed infelice per sempre, tutti si dondolano su questa ineluttabile altalena. Lo diceva già Pareto che “la storia è un cimitero di aristocrazie”, potremmo aggiungere che in questa storia vediamo salire sul podio molti umili, individui vincitori delle proprie competizioni, prendendo il posto dei potenti perdenti.
La cultura italiana è troppo impregnata di storicismo; ma la storia non si ripete mai: l’ acqua, infatti, non scorre due volte sotto il ponte. Qualcuno farebbe bene, ogni tanto, a leggersi qualcosa di diverso, magari scritto dagli economisti della Scuola Austriaca che dopo anni di ostracismo sono finalmente riusciti ad aver ragione nei fatti, svalutando quelle belle teorie che tanto hanno affascinato le ultime generazioni. In modo particolare ci sarebbe da consigliare qualche profetico passaggio di Hayek,che fino a qualche anno fa, nel nostro caro e vecchio bel paese, non era altro che un illustre sconosciuto.
Oppure, per non uscire dai nostri confini, basterebbe rileggersi un po’ di Einaudi o di Sturzo, giusto per rimanere in casa, senza parlare poi di Bruno Leoni che è famoso quasi esclusivamente all’estero.
La cultura latina, in generale e quella italiana in modo particolare, vantano una millenaria tradizione di pessimismo; essa nasce dalla nostra fede cattolica, dove lavorare è castigo, lucrare peccato ed aver successo è per forza di cose ingannare il prossimo. C’è un bellissimo saggio, del francese Alain Peyrefitte, a questo proposito: LA SOCIETÉ DE CONFIANCE, in cui descrive bene come nel nostro sistema non c’è fiducia nell’ individuo; egli, ad ogni momento, è chiamato a dimostrare la propria correttezza, da un sistema statale burocratico opprimente, invadente ed onnisciente. Non è così ovunque. Nemmeno più in paesi come la Cina e l’India, dove le privatizzazioni hanno portato uno sviluppo che sfiora un’ espansione del 10% all’ anno.
E noi qui, dall’ alto del nostro pulpito, stiamo a lamentarci, inutilmente… sì, ci possiamo vantare di essere Europei, i grandi maestri di ogni genere di sapienza… ma allora perché raramente ci affacciamo all’ altra finestra per dare uno sguardo ad altri paesaggi del nostro pianeta?
E nonostante ciò, ci sono anche molti Italiani che conoscono e si esprimono favorevolmente sul sistema di mercato; sovente, lo fanno pure con una certa nozione di causa; purtroppo, sono in pochi, personaggi rari, che il mondo della cultura ufficiale lascia in secondo piano; ed il gran coro diretto dal populismo, dalle voci piene di rancore di coloro che non capiscono questo fenomeno, copre le timide voci dei pochi.
Il progresso è sempre nato dall’ iniziativa degli individui e l’ opera collettiva può anche aver dato molti contributi, ma in genere l’ azione collettiva tende a non facilitare quella dei singoli; anzi, spesso la ostacola e tende a dettare proprio ai migliori, norme e limitazioni soggettive in nome di un presunto interesse generale. In nome di ambigui valori superiori condannano i benemeriti e li puniscono, togliendo il loro prodotto, frutto della loro competenza. Ma non si limitano a questo, li criticano, quando non li offendono, mentre sarebbe più corretto ed adeguato elogiarli. Li accusano di pensare solo a se stessi, come se gli altri non facessero altrettanto. Se andassero a vedere in giro cosa avviene altrove, capirebbero quali sono le nostre colpe.
Nel paradiso del famigerato capitalismo, a Hong Kong, a Singapore od a New York, però, ci sono i marciapiedi che facilitano il passaggio di chi circola inchiodato sulle sedie a rotelle; le costruzioni devono obbedire a norme di sicurezza anche per i meno abili; i semafori hanno i dispositivi acustici per i ciechi. Ai non fumatori viene concesso il diritto di non fumare contro la propria volontà, nei locali pubblici ed ai consumatori, in genere, viene riconosciuto il diritto di pentimento, potendo restituire i propri acquisti anche dopo averli portati a casa.
Ed allora, come la mettiamo con i nostri altruisti nostrani? Perché nel nostro caro Paese così progressista – almeno a parole – non si riesce a fare altrettanto? Il famoso altruismo di chi ha guidato il nostro paese per tanto tempo è solo verbale, demagogico?
Non sarebbe ora di smetterla con il solito paternalismo, che stimola solo piagnistei? Perché parlare solo di diritti, dimenticando i doveri? La Nazione deve formare individui maturi, responsabili, capaci e consapevoli del proprio dovere e bisogna farlo non con il dito alzato, ma con la libertà di poter provare e con la consapevolezza di dover pagare per i propri errori.
Si potrebbe andare avanti con pagine intere, ma in un Paese dove per decenni non si è mai fatto niente per insegnare ai cittadini il proprio vero ruolo, è quasi inutile; non è con poche pagine od alcuni capitoli che si rompono paradigmi formati in due millenni nelle chiese e consolidati sui banchi di scuola durante decenni di lavaggio di cervello. Certe pretesti comodi, certi alibi si sono inseriti con troppa forza nella nostra mentalità, nella cultura del nostro Paese per illuminare la cecità dei nostri critici.
Eppure, già nel 1922 Ludwig von Mises, con il suo saggio SOCIALISMO, aveva in modo – – potremmo dire – profetico, palesemente confutato le equivoche tesi economiche di Marx, avvertendo che quel sistema costituiva un inganno, un grande equivoco, perché era condannato all’ insuccesso dalla propria impossibilità di calcolare i costi di produzione.
E’ facile criticare il MERCATO, soprattutto in momenti di crisi, ma si dimentica come esso soffre continui interventi che lo danneggiano e lo condizionano. Il mercato è un Ordine Spontaneo e deve essere lasciato libero; solo così esso può produrre i suoi effetti benefici. Il mercato è virtuoso e sa adeguarsi correggendo i propri errori, proprio perché esso è pragmatico e non dottrinario.
E non è vero che in un sistema di mercato ci si dimentichi dei più bisognosi. E’ proprio nel sistema libero, dove non esiste un intervento forzato ed autoritario che nascono le fondazioni che si occupano spontaneamente di cultura. In esso, c’è pure chi può e decide di assumersi le proprie responsabilità di assistere i più bisognosi; ma ci si mettono di mezzo i demagoghi che si assumono le responsabilità di monopolizzare la solidarietà, coloro che possono e lo vorrebbero si sentono liberati dall’ onere civico che li lega alla società ed ai bisognosi: Questi individui agiscono volontariamente, spesso nel silenzio e nell’ anonimato, e la famiglia Rockefeller ci ha lasciato una grande testimonianza, senza che qualcuno dall’ alto dell’ autorità la obbligasse a partecipare a progetti in modo compulsivo.
Sono numerosi gli Italiani che parlano di Capitalismo, ma quanti fra questi si sono mai interessati ad approfondirsi sul suo vero funzionamento? Quando lo criticano lo fanno in base a ciò che credono di conoscere; non lo farebbero se comprendessero la logica dell’ anarchica legge della domanda e dell’ offerta. Perché non si interrogano sui peggiori capitalismi, che sono quelli dei monopoli di Stato? Il Capitalismo di Stato che è un Monopolio chiuso e protetto, per caso si preoccupa mai delle preferenze del consumatore?
Le società pubbliche non temono le reazioni dei consumatori; coloro che siedono alla cupola di queste entità hanno sempre la facoltà di mischiare le carte e se i prodotti ed i servizi che impongono vengono rifiutati dal mercato, perché non servono o perché sono scadenti od obsoleti, trovano sempre una scappatoia e la loro migliore arma che sono soliti ad usare, sono le famose concessioni, le licenze con tutte le rispettive e parafernali normative restrittive e limitative. E chi dirige questo deleterio capitalismo di Stato, nella maggioranza dei casi, sono i soliti politicanti, i quali, non raramente agiscono, con irresponsabilità e politicamente, infrangendo qualsiasi principio economico; ed il più delle volte, a loro turno, sono manipolati dai burocrati e dal corporativismo di altrettanti interessi particolari o di partito.
Possibile che tali interessi siano più importanti degli interessi privati? Già, loro hanno il diritto di affermare di conoscere la verità? Sono, per caso, più saggi? Non si può negare che i privati sono più agili e sanno adeguarsi alle preferenze del pubblico con maggiore versatilità; guai se non lo facessero, il mercato non li perdonerebbe. Loro, invece, protetti dall’istituzione, possono sbagliare perché coperti dalle loro stesse norme, fatte su misura.
Ogni tanto c’è chi rientra dagli Stati Uniti e punta il dito sulle contraddizioni che vi si osservano, dimenticando, forse di proposito, gli aspetti positivi. Eppure, non ignorano che il famoso paradiso terrestre ci è stato interdetto per causa della scelta fatta da Adamo ed Eva…
Qui viviamo in un mondo imperfetto, ma che grazie all’ azione degli individui, tende a migliorare ad ogni giorno che passa, anche se ogni tanto ci troviamo ad affrontare degli ostacoli perché certe onde economiche si sono esaurite. Ovunque dove si agisce si commettono degli errori; ma gli umani apprendono a correggerli, basta seguire e adeguare le preferenze dei consumatori che cambiano continuamente. Anch’io ho l’ occasione di viaggiare di qua e di là tutto l’ anno, e non solo nelle Americhe; vado anche in India, in Cina, a Taiwan, dove queste Nazioni fino a due decenni fa erano ancora povere, ma lo sono sempre meno, grazie all’entusiasmo per il lavoro. Esse sono state favorite dall’ iniziativa privata che genera tassi di sviluppo da capogiro, grazie alla riscoperta del vecchio e miracoloso sistema del merito e del mercato, il quale ha fatto esplodere un benessere mai conosciuto prima.
Ma per difendere questo famigerato Capitalismo non basterebbe un libro intero; limitiamoci ad osservare i fatti, questi, ci hanno semplicemente dimostrato che gli interventi pubblici sono inefficienti e funzionano male e ce lo aveva già detto Fréderic Bastiat più di un secolo e mezzo fa. Ma coraggio, le generazioni che seguiranno, probabilmente, potranno vivere un’ altra realtà; una realtà dove sarà restituito al suo posto il merito, dove colui che non merita capirà che ognuno deve fare la propria parte e gli risulterà inutile ricorrere ai soliti pretesti, e che certi alibi non inganneranno più nessuno. Arriverà, pure il giorno in cui gli umani saranno più liberi, soprattutto dalla persecuzione e dalla presunzione degli ultimi collettivisti che ancora oggi salgono sulle loro logore quanto inutili barricate, e che credono ancora nella mitica, ma falsa efficienza dell’ amministrazione pubblica.
Le future generazioni non si dovranno sorprendere, se perfino la giustizia di Stato, in avvenire sarà privatizzata. Del resto, non è difficile accettare una tale idea, perché lo sappiamo tutti che niente funziona peggio della sicurezza, della giustizia, della previdenza e dell’ educazione di Stato.
Pertanto, quando si parla di capitalismo, in primo luogo bisogna chiedersi a che genere di capitalismo ci si riferisce. C’è Capitalismo che anche noi liberali condanniamo: ed è proprio quello dei monopoli, il peggiore dei quali si mantiene in genere nelle mani di chi tiene anche il controllo delle redini del potere; anche il potere di modificare le leggi che si adattano meglio alla conservazione dei propri privilegi. Infatti, il peggiore dei capitalismi è il monopolio del potere. Il migliore di tutti i capitalismi è il capitale umano; quel potenziale che ogni individuo conserva dentro di sé e che non può essere collettivizzato e che produce al meglio se lasciato libero di sfogare la propria creatività, di creare senza ostacoli, nuovi paradigmi, rompendo con il passato, aggiungendo altri anelli all’interminabile catena del progresso umano.
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